«È proprio in ambito regionale che alcuni valori non negoziabili possono trovare accoglimento oppure essere rigettati». Lo spiega al Giornale monsignore Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro. I vescovi dell’Emilia Romagna sono stati i primi, nelle scorse settimane, a diramare una nota sulle prossime elezioni amministrative, indicando alcuni criteri orientativi per i cattolici di fronte al voto.
Qual è la sua preoccupazione di vescovo in vista delle regionali?
«È duplice. Innanzitutto dobbiamo riproporre quel nucleo centrale della Dottrina sociale della Chiesa che Benedetto XVI ha sintetizzato mirabilmente con l’espressione “valori non negoziabili”. Bisogna riprenderli e riproporli, altrimenti nelle polemiche un tempo ideologiche e oggi mass-mediatiche, questo nucleo si rischia di perderlo. La seconda preoccupazione è questa: dopo aver fatto delle affermazioni di principio importanti, bisogna aiutare le persone ad assumerle personalmente e responsabilmente. Occorre, come la Nota dei vescovi dell’Emilia Romagna lasciava balenare, un processo di assimilazione, che consenta ai laici di fare delle scelte in libertà e responsabilità, a partire dalla loro coscienza illuminata dalla fede».
Questo vale anche nel caso di elezioni amministrative? Non dovrebbe prevalere, in questo caso, l’ottica locale, legata al territorio?
«In realtà ci sono valori sostanziali che proprio a livello delle Regioni possono trovare accoglimento oppure essere rigettati. Faccio un esempio: sono intervenuto a commentare con profondo dolore i dati forniti dall’assessorato regionale alla Sanità sulla diffusione della pillola abortiva Ru486 in Emilia Romagna, una Regione che conta circa quattro milioni di abitanti ma dove si compiono ben 16mila aborti all’anno, 12mila dei quali chirurgici e 4mila per mezzo della pillola Ru486. Ci sono dunque delle ricadute locali, provinciali, regionali, molto concrete. Senza contare altri problemi legati ai servizi sanitari, alla viabilità, alla valorizzazione delle attività culturali. Le elezioni possono offrire la possibilità di coniugare valori e fatti. Su questo ci si deve confrontare, se possibile si deve collaborare, se necessario ci si deve anche dividere».
Non crede che con questi appelli così espliciti ci sia il rischio di coartare le coscienze dei laici cattolici impegnati in politica e dei loro elettori?
«Si coarterebbero le coscienze se si facessero degli appelli di voto espliciti e concreti per un candidato o per una forza politica. Ma non si coarta nessuno se si mette in moto un cammino di educazione, che è la via della libertà. Il problema è che oggi non si è più capaci di educare».
Mi scusi, ma certi passaggi dei pronunciamenti dei vescovi come pure della prolusione del cardinale Bagnasco sono suonati come un altolà preciso verso certi candidati, come ad esempio Emma Bonino…
«È inevitabile che questo avvenga se ci sono candidati o gruppi politici che si mettono contro questi valori per noi irrinunciabili e li negano nei loro programmi elettorali. Così facendo, credo siano coscienti che un elettore cattolico non dovrebbe votarli».
Non dovrebbe, lei dice. E se invece li vota lo stesso?
«Se li vota, è un problema della sua coscienza. Certo così facendo non compie un gesto di reale comunione ecclesiale. Mi sembra chiaro, come ha spiegato bene il cardinale presidente della Cei nella sua prolusione, che non si possono scegliere alcuni valori dimenticandone altri. La dignità della persona umana; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, non possono venire accantonati in nome della solidarietà sociale, dell’impegno per il lavoro, della lotta per la legalità. Questi valori rappresentano un complesso indivisibile di beni».
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