Per raccontare la sua storia di catecumeno un ricercatore del Cnr di Roma ha usato questa metafora: «Pensavo che dietro la porta della fede ci fosse un bugigattolo soffocante. E invece ho trovato la stanza più grande della mia vita». A Padova nella prossima veglia di Pasqua diventeranno membri della Chiesa, tra gli altri, un direttore di banca e uno di supermercato, un avvocato, uno chef. Anche Irish Pighi, 28 anni, ingegnere a Roveleto (Pc), sarà battezzato a Pasqua insieme al fratello Fabien, di un anno più giovane: «È una scelta maturata nel tempo, la nostra. Da aprile dell’anno scorso facciamo incontri di formazione ogni 15 giorni con una coppia di sposi, i nostri catechisti. Per me il battesimo è un passo verso Dio che prima non avevo fatto: ora lo compio da persona adulta e consapevole». Così è anche per Marco Manfredi, pediatra di Castelnovo ne’ Monti (Re): «Partecipando ad incontri della parrocchia ho cominciato a sperimentare personalmente che cosa vuol dire 'parlare col Signore'. Ogni volta mi sentivo sempre più contento, sempre più 'pieno'. Proprio così, più 'pieno' – ha raccontato il medico al settimanale diocesano – . Avvertivo che il vuoto interiore che accompagnava la mia esistenza andava progressivamente riempiendosi di una Presenza finora sconosciuta. Prima non avevo mai sperimentato nulla di simile». Il dottor Manfredi si accosterà al fonte battesimale durante la prossima veglia pasquale nella sua nuova «casa», la comunità parrocchiale del suo paese, adagiato sull’Appennino. Altri 32 catecumeni faranno lo stesso nella cattedrale di Reggio Emilia: 13 sono nostri connazionali. Irish, Marco, il ricercatore del Cnr, i professionisti di Padova non sono mosche bianche. Il cattolicesimo italiano del 2010 ha anche il loro volto, di quegli adulti di casa nostra che – insieme a stranieri immigrati – consapevolmente chiedono di entrare a far parte della Chiesa con il sacramento del battesimo. La sapienza millenaria del cristianesimo li chiama catecumeni, ovvero «coloro che sono istruiti» nella fede. E anche tra la gente d’Italia d’oggi tale numero, a piccoli passi, cresce. Sorpresa della post-modernità, che vuol far sempre più a meno di Dio? Una rivincita della fede rispetto alla secolarizzazione considerata straripante nel XXI secolo? Beh, le cifre non sono eclatanti, si parla di numeri contenuti. Eppure non sono in regresso, quasi a testimoniare l’invitto fascino che il Nazareno, la sua vita e il suo messaggio infondono sull’uomo di ogni tempo e luogo. Già il quadro generale che offre don Walter Ruspi, responsabile del Servizio nazionale per il catecumenato della Cei, è indicativo: «Gli ultimi dati disponibili sono del 2008 e parlano di 1500 catecumeni, per il 30% italiani. Quando nel 1997 iniziai ad occuparmi del fenomeno, il numero era di 600 e gli italiani erano circa il 50% ». Dunque un leggero, ma costante trend di crescita.
Conferma don Andrea Fontana, delegato per l’arcidiocesi di Torino: «I catecumeni italiani sono in aumento, lo percepisco rispetto a 15 anni fa, quando iniziammo questo percorso: diventare cattolici da adulti non è più qualcosa di cui vergognarsi». Alcuni altri dati forniti dalla Cei lo confermano: nel 2005 ci sono stati 1044 battesimi di adulti; nel 2007 si era a 1302, di cui 543 italiani e 727 immigrati. Cifre da considerarsi per difetto, perché non tutte le 223 diocesi italiane fanno pervenire a Roma i loro dati. In base alle ultime rilevazioni, la regione con il maggior numero di battesimi è stata la Lombardia, seguita a ruota da Toscana, Lazio, Emilia-Romagna e Sicilia. E gli indici si confermano, in maniera più o meno precisa, in un rapido sguardo di orizzonte nelle Chiese locali del Belpaese. A Firenze gli adulti battezzati a Pasqua sono 31, di cui 12 italiani.
Genova presenta un totale di 19 catecumeni: 4 sono «locali». A Novara, su 16, 5 sono italiani; statistiche simili a Verona, dove su 14 futuri nuovi cristiani gli italiani sono 6. I 26 battezzandi di Padova comprendono 5 italiani, la cui età varia tra i 17 e i 50 anni. A Milano nel 2010 riceveranno il battesimo 41 italiani: i catecumeni della Chiesa ambrosiana sono in tutto 143. In quel di Roma, su 88 imminenti cattolici, la metà sono «nostrani», provenienti soprattutto dal mondo universitario. Torino quest’anno conta 58 nuovi membri della comunità cattolica: 25 gli italiani. Spiega don Andrea Lonardo, responsabile dell’ufficio catechistico di Roma: «Queste persone hanno bellissime storie di libertà. Vengono dalla generazione del ’68, quando tante famiglie non battezzavano i figli». Otto hanno compiuto un cammino comune nella parrocchia di Santa Francesca Romana, dove il parroco don Fabio Rosini da anni tiene un corso d’introduzione alla fede basato sui Dieci comandamenti. Da dove vengono – religiosamente parlando – questi nuovi cattolici? Risponde Filippo Margheri, dell’équipe diocesana per il battesimo degli adulti di Firenze: «Vi sono varie tipologie: c’è chi, alla soglia del matrimonio, non ha un percorso di fede e quindi approfondisce la questione insieme al futuro marito o moglie, loro sì battezzati, e giunge a domandare i sacramenti. Oppure c’è chi ha vissuto esperienze del limite, difficoltà o un lutto che li ha chiamati a una ricerca spirituale ulteriore. A volte capita una felice coincidenza: il percorso del catecumeno diventa un volano per la comunità parrocchiale cui appartiene, che ne approfitta per un cammino di rinnovamento nell’annuncio ai non credenti». L’identikit del catecumeno italiano? «Per la quasi totalità al fondo c’è una domanda religiosa – spiega don Ruspi – , un interrogativo di fede che sfocia nel battesimo. Tale domanda nasce nel mondo studentesco o universitario, nell’ambito del volontariato, e porta a scoprire il senso di un’appartenenza ecclesiale». Don Ruspi annota come tanti catecumeni si ritrovino a «rimpiangere» il fatto di non esser stati battezzati da piccoli: «Ricordo una ragazza di 27 anni, culturalmente molto quotata, che mi diceva: i miei non hanno voluto farmi battezzare da piccola, ora scopro che mi hanno privato della mia infanzia religiosa». Don Gianfranco Calabrese, delegato dell’arcidiocesi di Genova per il catecumenato: «Questi catecumeni sono figli della cultura del 'scelgono loro'. Risentono molto di una certa ideologia che ha segnato molte famiglie, dove il battesimo veniva visto come un’imposizione.
Ma il loro non è un ritorno infantile, sono credenti 'smaliziati': accostano il senso del sacramento in maniera più integrale di tanti battezzati. Sono interessati a Cristo e basta, non hanno paura di essere presi in giro per la loro decisione. Anche chi si battezza in vista del matrimonio non fa una scelta 'coreografica', giusto per sposarsi in chiesa: sono motivati dalla fede in Cristo». Don Ruspi annota: «Dovrebbe stupirci di più un adulto italiano che oggi chiede il battesimo rispetto a tanti che abbandonano. Questo deve diventare motivo di meraviglia per noi: è una novità non fragorosa ma che indica una rottura rispetto a un movimento ormai dato per scontato. La scelta ideologica di tante coppie del ’68 di non dare il battesimo ai figli segna un impoverimento delle persone». Don Fontana, della diocesi di Torino, vede in questo fenomeno un segno di cambiamento: «Tutto questo è il sintomo di una diversità che si sta introducendo nella nostra società, per cui è possibile non essere più cristiani per tradizione, ma per convinzione.
Questi catecumeni cercano qualcuno che dia senso alla vita e lo hanno già incontrato. Si sente che lo Spirito era già là con loro quando noi, come Chiesa, non eravamo ancora presenti. Diventano anche uno stimolo per le nostre parrocchie, che devono cambiare stile per prendere su serio le domande di chi non crede e si vuole accostare al cristianesimo».
© Copyright Avvenire 28 marzo 2010