Baby senza tetto: nel 2009 + 40%
  |      Il tribunale della famiglia di New York ha visto impennarsi i casi  di minori trascurati, abbandonati o maltrattati. Sono passati da  210mila nel 2005 a 256mila nel 2009. In più ci sono in casi che sfuggono  al radar della giustizia. Ogni anno negli Usa un milione e 600mila  minorenni scappano di casa. In tre quarti delle fughe i genitori non  denunciano la scomparsa dei figli. Più della metà dei ragazzi torna a  casa nel giro di una settimana, gli altri finiscono alla deriva. Nel  2008 i programmi pubblici federali per il recupero dei minori di strada  ne hanno contattati più di 760mila, contro i 550mila del 2002. Nel 2009  il numero dei « minori che vivono da soli » è cresciuta del 40 per  cento, mentre il numero dei senza tetto adulti aumentava fra il 10 e il  20 per cento. Stando a studi dei servizi sanitari e sociali Usa, circa  un terzo dei minorenni che scappano di casa o che si perdono fra le  maglie del sistema dei servizi sociali e delle famiglie affidatarie  vendono il proprio corpo, abitualmente o occasionalmente, per cibo, un  rifugio o droga.   |  
 
 
 da  New York  Elena Molinari  Il palazzo del tribunale della famiglia di New York, a  due  passi dal ponte di Brooklyn, è tozzo e  metallico, stride con le torri  di pietra Art Deco che  lo circondano. Un bimbo nero sui tre anni che la  madre chiama Jalal si fa trascinare fra le colonne rettangolari,  guardando stupito i ragazzini che fanno la fila all’entrata senza  lamentarsi. Sono quelli abituati al metal detector, alle stanze enormi,  alle toghe. C’è la fila anche all’ascensore e ci vuole un po’ ad  arrivare al settimo piano, nell’anticamera dell’aula del giudice Rhoda  Cohen. Qui le ragazze latine e afroamericane che vociavano si mettono a  sussurrare. Un bambino serio di non più di cinque anni si affretta  dietro un uomo dai pantaloni molli sul sedere che fa passi troppo  lunghi, poi si mette a sedere in silenzio. Avvocati con enormi faldoni,  per lo più giovani, per lo più donne (il tribunale della famiglia qui è  la gavetta della professione), salutano i poliziotti di servizio,  bisbigliano fra di loro o mandano e-mail. L’agente chiama il primo caso:  Janik contro Black, e una piccola folla si stringe nell’aula con una  ventina di posti a sedere. Janik è il cognome del padre di M. di cui si  sa solo che è nero e che ha sei anni. Quando M. ne aveva cinque c’è  stata una lite a casa sua, nel Bronx. Suo padre ha tirato fuori una  pistola, ha sparato. Forse alla madre, forse a un 'amico'. Nessuno è  stato colpito, c’è stato un processo, il padre è stato condannato con la  condizionale e M. si è trovato in affido. Non era la prima volta che la  polizia andava al loro indirizzo. La madre era tossicodipendente. Le è  stato ordinato di disintossicarsi, e al padre di completare un ciclo di  psicoterapia e un corso professionale. Ora la giudice Cohen deve  decidere se M. può tornare a casa.   «Avvocato, dov’è il suo  cliente?», chiede a un uomo dai lineamenti giapponesi che si è alzato  davanti a lei, sulla destra. «Credo che sia in North Carolina, vostro  onore».   «Come sarebbe, credo? Non doveva essere qui?».    «Sissignora, dice di non poter venire». «Non può venire a decidere il  destino di suo figlio?». L’avvocato tace e si risiede. La giudice guarda  ora una giovane bianca, alta,   con un paio di   pantaloni grigi  attillati. «Miss Cardy, e la sua cliente?». «Mi  piacerebbe sapere dove si trova, vostro onore». È la seconda volta che  né la madre né il padre di M. si presentano a un’udienza. Il bambino  rimane alla famiglia affidataria, mentre la giudice cercherà di  organizzare una sessione telefonica con il padre. Quanto alla madre,  Cohen emette un mandato di cattura che scatterà se non contatterà il  tribunale entro 24 ore. «Questi due devono prendersi qualche  responsabilità». Nel caso successivo i genitori avevano almeno avvertito  che non sarebbero venuti in tribunale: non vogliono aver nulla a che  fare con il figlio 'grande'. Ha 14 anni. È scappato di casa, dicono  loro. Lo hanno sbattuto fuori, dice lui. I genitori non hanno mai  denunciato la sua scomparsa. Dopo due mesi sulla strada, è stato  sorpreso a rubare in un supermercato. Il minorenne è andato a una  famiglia, ma questa si lamenta: lui urla, disobbedisce, fuma marijuana,  sparisce per giorni. Nessuno lo vuole, lui non vuole nessuno. Un  rappresentante dei servizi sociali propone di provare una 'casa di  gruppo' per adolescenti ma la giudice non è convinta. «Questo ragazzo ha  bisogno di una casa vera». L’udienza è aggiornata.   «Bisogna  lavorare con la famiglia d’origine – spiega più tardi Cohen – ma a volte  sembra impossibile. Genitori drogati, mentalmente instabili,  alcolizzati. Non c’è molto su cui lavorare». Negli ultimi anni il  tribunale della famiglia di New York ha visto impennarsi i casi di  minori trascurati, abbandonati o maltrattati. Sono passati da 210mila  nel 2005 a 256mila nel 2009. Poi ci sono quelli  che non arrivano in aula. Ogni anno negli Usa un milione e seicentomila  minorenni scappano di casa. In tre quarti delle fughe i genitori non  chiamano nemmeno la polizia. E se più della metà torna a casa nel giro  di una settimana, gli altri svaniscono nel nulla. Nel 2008 i programmi  pubblici per il recupero dei minori di strada ne hanno aiutati più di  760mila: erano 550mila nel 2002. «La recessione ha peggiorato la  situazione, ma non si tratta solo di un tracollo economico», continua  Cohen, che dal suo scranno segue la famiglia newyorkese da 35 anni.    «Questo è il risultato dell’accumularsi di diverse generazioni di  abbandono: la società ha abbandonato la famiglia e la famiglia abbandona  i suoi figli».    La droga, a partire dagli anni ’80, ha accelerato il   processo, spiega ancora la giudice, ma i tagli ai  servizi sociali e  alle scuole pubbliche sono forse il  fattore determinante. Ogni crisi  economica scava un po’ di più il buco in cui sono scivolate queste  famiglie per caso, madri e padri cresciuti in case sempre in bilico,  senza soldi, senza lavoro, senza progetti, e quando si trovano con uno o  più figli non sanno bene cosa farne. «I genitori che oggi maltrattano o  abbandonano i loro figli non hanno mai avuto qualcuno che li aspettava a  casa, che li voleva mandare a scuola, all’università. Non hanno  imparato cos’è una famiglia». Prima di fine mattina Cohen  sarà costretta a togliere una bambina ai genitori eroinomani che non  vanno neanche alle visite che la  piccola chiede in continuazione, anche se sa che l’agenzia (privata)  che segue il suo caso non fa ispezioni regolari alla famiglia  affidataria. «Ma è piccola, con un po’ di fortuna, e un po’ d’amore,  dimenticherà». A fare ancora più tristezza alla giudice sono gli  adolescenti, quelli «arrivati ai 12, 13 anni fra botte, caos e adulti  senza controllo, e che pensano che possono fare di meglio da soli.  Finiscono drogati, in galera, o si prostituiscono». Una statistica  compilata dalle scuole a livello nazionale rivela che nel 2009 la  categoria assurda dei «minori che vivono da soli» è cresciuta del 40 per  cento. «Questi sono ragazzi difficili, è raro trovare un famiglia che  li accetti – spiega Cohen –. Lo scorso anno ho dovuto mandare in un  istituto tre ragazzini dai 10 ai 14 anni. La sorella minore era morta  praticamente davanti a loro, dopo anni di maltrattamenti da parte dei  genitori. Siamo intervenuti tardi. La piccola è stata trovata in un  armadio e quei tre passeranno il resto della vita fra istituti, carceri,  ospedali psichiatrici». Ma nel pomeriggio la giudice riesce a  restituire Jay John, 4 anni, ai genitori. Christina e John sono  tutt’altro che perfetti. Vivono di sussidi di disoccupazione e per  disabili, vista la depressione della madre. Ma sono lì tutti e due,  vestiti bene, con i loro certificati di disintossicazione in mano. Lei è  in terapia in un consultorio pubblico e lui frequenta un corso per  idraulico. C’è una zia disposta a dare una mano e i servizi sociali li  terranno d’occhio. Jay John torna a casa».      |