DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Nessuna indulgenza, ma preghiamo per i carnefici La riflessione di mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

ROMA, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo a firma di mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, apparso su Il Corriere della Sera del 23 marzo scorso.




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“Che cosa pensa dei casi di pedofilia tra sacerdoti e religiosi venuti alla luce solo in questi ultimi tempi?”. La domanda del giovane liceale era diretta e richiedeva la risposta leale che mi ero impegnato a dare a quelle diverse centinaia di ragazzi iniziando il mio dialogo con loro. Non esitai a rispondere quello di cui sono convinto: che la pedofilia è un fenomeno mostruoso, di assoluta gravità morale, perché ferisce personalità indifese nella maniera più indegna e brutale. Le si possono applicare senza esitazione le parole di Gesù: “Guai a colui a causa del quale avvengono scandali. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli” (Luca 17,1-2).

Aggiunsi, però, quanto sia necessario stare attenti a non generalizzare: alcuni casi - in percentuale pochissimi, sebbene anche uno solo basterebbe a suscitare una rivolta morale - non devono far dimenticare l’immensa maggioranza che c’è fra il clero di persone fedeli alla loro vocazione, serie e generose con Dio e con gli altri. Una maggioranza, questa, che ho potuto conoscere in ogni parte del mondo nel mio servizio di teologo e che ora da Vescovo di una Chiesa diocesana riconosco nella fede e nella carità dei preti e dei consacrati, miei collaboratori. Proprio in nome di questa maggioranza silenziosa è giusto che il Papa e i Vescovi insieme con lui siano inflessibili nel condannare questi scandali, nel sostenere in ogni modo le vittime, nel correggere, punire e curare i colpevoli. Il silenzio sarebbe connivenza. L’indulgenza complicità.

Mai, però, bisogna perdere di vista la persona umana da salvare, tanto nella vittima, quanto nel carnefice. La Chiesa crede nella parola del Signore: “La verità vi farà liberi” (Giovanni 8,32), e perciò non solo non ha paura della verità, ma ha fiducia nella sua forza liberante e sanante. D’altra parte, il fatto che su tanti casi di pedofilia che stanno emergendo quelli che più colpiscono i media e l’opinione pubblica siano gli episodi che coinvolgono sacerdoti e consacrati, è un segno eloquente dell’esigenza con cui giustamente si guarda alla Chiesa, del suo dovere di stare in alto, cioè nella grazia e nella fedeltà dell’amore di Dio e del prossimo. Solo a questo prezzo, la sua parola risuonerà libera e liberante e la fiducia che tanti - credenti e non credenti - ripongono negli uomini di Chiesa non sarà tradita.

E il celibato? Alcuni nel chiasso mediatico sviluppatosi intorno allo scandalo pedofilia hanno puntato il dito contro questa legge ecclesiastica, quasi che chiedere ai sacerdoti l’impegno di rimanere celibi per tutta la vita sia una fonte inevitabile di deviazioni. Se così fosse, non si spiegherebbe quella stragrande maggioranza di cui ho parlato: nel suo senso più vero e profondo, il celibato non è una frustrazione imposta, ma una libera risposta d’amore a una vocazione che supera certamente le capacità umane e che tuttavia è possibile vivere con fedeltà se essa viene da Dio ed è continuamente confortata dal Suo aiuto e dalla Sua presenza.

Vissuto fedelmente, nella durata dei giorni e nel sempre nuovo sì della fede al Signore vicino, il celibato è un segno meraviglioso della verità di ciò in cui crede chi crede: che, cioè, Dio non è una proiezione dei nostri desideri, un frutto del nostro bisogno di rassicurazione e di consolazione, ma il Vivente, che ti sovrasta ed insieme ti accompagna, che è infinitamente sopra di te ed insieme è dentro il tuo cuore umile, aperto a Lui. Chi ha esperienza di preghiera sa bene di che cosa sto parlando. Proprio così, il celibato e la verginità consacrata, vissuti con serena convinzione come una risposta alla chiamata e al dono di Dio, sono come una freccia puntata verso il cielo: ci dicono che Dio c’è, che Lui solo basta al nostro cuore inquieto, che Lui è la speranza del mondo e la patria promessa del nostro comune cammino.

Così il Signore ha dato a me e a tanti la grazia di vivere la nostra consacrazione a Lui: e questo, lungi dal farci sentire meno umani, più fragili o vuoti di amore, ci fa sentire una grandissima gioia, lo slancio di donarci e di testimoniare con la vita l’amore che viene dall’alto e che ci fa liberi, la bellezza di Dio che supera ogni bellezza e dà senso alle opere e ai giorni. Dico queste parole con umile fierezza: umilmente, perché tutto in questa esperienza è grazia immeritata; ma con fierezza, perché nessuno va ingannato, soprattutto i giovani, e ad essi la Chiesa può e deve continuare a dire a testa alta non solo che Cristo è la verità e il bene, ma anche che Lui è il pastore bello, e la bellezza del Suo amore crocifisso e risorto è la sola che salverà il mondo. Con buona pace di quanti vorrebbero vedere nella triste e squallida infedeltà di qualche pedofilo, ahimé presente fra le file del clero, la smentita della buona novella, che è il Vangelo dell’amore più grande, speranza per tutti.