di  Iván de Vargas 
Nel momento in cui l’esecutivo  di Zapatero celebrava   l’approvazione della legge  sull’aborto in Spagna, Joaquín  Manuel  Montero, vice-sindaco  del Partito socialista (Psoe) nella città di  Paradas, vicino a Siviglia, annunciava le proprie dimissioni dal partito  cui apparteneva e rinunciava a tutti i suoi incarichi. Difendere la  cultura della morte non era ciò che gli avevano insegnato i vecchi  militanti dai quali aveva appreso a essere un buon socialista. 
 Montero, come le sembra il fatto che si parli di aborto come un  diritto? 
 «È una profonda contraddizione, ancor di più quando chi parla  appartiene alla sinistra. Non si può essere contro la 
 «Come ho detto nella lettera di dimissioni, non permetterò mai  che il mio nome appaia insieme a quello di un’organizzazione che  legittima la morte di innocenti per mezzo di leggi inique» 
 pena di morte, affermare, come Zapatero, che 'nessuno può disporre  della vita umana, nemmeno gli Stati', e poche ore più tardi approvare  una legge che legittima come un diritto la morte di esseri umani non  nati». 
 Perché da uomo di sinistra crede ci sia bisogno di difendere la  vita dal  concepimento fino alla  morte naturale? 
 «Perché è il diritto sul quale si reggono tutti gli altri. Perché  forma parte della nostra cultura, della storia e dell’umanesimo  universale». 
 Nel Psoe c’è gente che la pensa come lei? 
 «Certamente. Il Partito socialista è pieno di persone di buona  volontà, uomini e donne per bene che hanno visto distrutte le proprie  aspettative con l’approvazione di leggi come quelle sull’aborto e sugli  immigrati. L’assenza di democrazia interna nelle grandi organizzazioni  politiche fa sì che queste voci vengano soffocate. Così persone che si  sono pronunciate contro l’aborto hanno abbandonato il partito, com’è  successo alla senatrice Mercedes Aroz, cofondatrice del Partito  socialista di Catalogna». 
 C’è chi sostiene che alcuni socialisti spagnoli che si  dichiarano pubblicamente cattolici vivano una profonda contraddizione.  Lei cosa ne pensa? 
 «La corrente dei Cristiani socialisti all’interno del Psoe ha un  atteggiamento che non esito a definire vergognoso, e la sua  testardaggine nel voler conciliare la condizione di cattolici nella vita  pubblica con l’appoggio attivo a leggi come quella sull’aborto non è  altro che il tentativo di giustificare il tradimento  dell’ideale  che  professano». 
 L’accettazione dell’aborto può considerarsi come un problema  culturale o solo politico? 
 «Certamente oggi è un problema culturale, per questo la nuova  legge sull’aborto reca una parte sostanziale che si riferisce  all’educazione. Si pretende infatti che le future generazioni vedano  come qualcosa di normale la possibilità di interrompere una vita prima  ancora della nascita.
  Questo, insieme ad altri fattori, non può che  portare poi a giudicare normali l’eutanasia e l’eugenetica, che sono i  frutti di una cultura del relativismo in cui la vita di un animale, o di  una specie in via d’estinzione, può valere di più di quella di un  essere umano. La Spagna, da questo punto di vista, è un riferimento  culturale per molti altri Paesi, specialmente in America Latina, dove si  stanno portando avanti progetti legislativi in materia di aborto, come  nel caso dell’Argentina». 
 Dopo aver partecipato alla prima manifestazione per la vita, un  anno fa, lei ha vissuto momenti particolarmente difficili... 
 «Non è stato certamente un periodo facile, ma allo stesso tempo ho  potuto vivere momenti molto gratificanti nell’assistere alla risposta  della società spagnola: non quella fotografata dai mass media spagnoli  di fatto schierati al servizio del governo, ma quella che fa sentire la  sua voce per strada difendendo il valore della vita e la dignità umana». 
 Perché si è dimesso dal Psoe? 
 «Come ho detto nella lettera di dimissioni, non permetterò mai che  il mio nome appaia insieme a quello di un’organizzazione che legittima  la morte di innocenti per mezzo di leggi inique». 
 Adesso continuerà in politica con un nuovo progetto: la  piattaforma «socialistasporlavida.org», socialisti per la vita. Qual è  il suo fine? 
 «Dalla piattaforma Socialisti per la Vita vogliamo informare e  formare militanti di sinistra che difendano il valore della vita e la  dignità umana, perché questo è il fondamento della nostra società. È  questo il nostro contributo alla politica, sebbene la piattaforma non  pretenda di essere un partito politico, ma uno spazio dal quale poter  diffondere conoscenze, un centro di documentazione e un osservatorio per  la vita. Tutto ciò mantenendo la nostra identità di sinistra». 
 Cosa si può fare ora, dopo l’approvazione della nuova legge  sull’aborto? 
 «Risvegliare la coscienza sociale.
  Denunciare e annunciare  che siamo protagonisti della nostra storia e che niente e nessuno ci può  strappare la nostra speranza. Smascherare la falsa politica di sinistra  che pretende imporre il Psoe tradendo i militanti socialisti che  crearono il partito».  
© Copyright Avvenire 25 marzo 2010