DA B OLOGNA S TEFANO A NDRINI
« E non abbiam bisogno di parole per spiegare quello che è nascosto in fondo al nostro cuore » . Questa canzone di Ron potrebbe essere il manifesto di una generazione, quella attuale, che comunica a colpi di emoticon ( le riproduzioni stilizzate delle principali espressioni facciali umane che si manifestano in presenza di un’emozione), guarda troppa televisione, ama il computer ( e non troppo i giornali) ignora, o quasi, le letture e la letteratura. E che per questo pare sempre più povera dal punto di vista del linguaggio. Eppure c’è chi non s’arrende. E lancia una sfida, in primo luogo al mondo della scuola. Come l’italianista
Ezio Raimondi che ha ideato un’originale Storia e antologia della letteratura italiana Leggere come io l’intendo . Del volume ( pubblicato dalle Edizioni scolastiche Bruno Mondadori) si parlerà oggi a Bologna (a partire dalle 16.30) in Cappella Farnese. Sul tema «Con le parole non si scherza. Riflessioni fra lingua, letteratura ed etica » si confronteranno alcuni grandi letterati italiani.
Oltre a Raimondi, saranno presenti Claudio Magris, Luca Serianni e Piero Boitani. L’ideatore dell’antologia non ha dubbi sugli scopi dell’iniziativa: « I testi suggeriti dal volume si prefiggono di fornire ai ragazzi un lessico più ampio. Si vorrebbe che dopo la lettura restassero parole, e con le parole concetti e aperture sul passato e il presente » . Ma la povertà lessicale è davvero una realtà? Il linguista
Luca Serianni ricorda che nel rapporto tra giovani e letteratura il problema si pone soprattutto per i classici « perché ormai la distanza linguistica di un giovane dalla letteratura storica, fino a Manzoni compreso, è notevole. Nell’antologia ho apprezzato in particolare una rubrica: si parte da una parola e se ne vedono i significati in rapporto con i vari momenti culturali. Per esempio fratello: dal valore di legame di sangue si arriva al valore di fratello di fede e al valore patriottico » . Premesso questo Serianni non ritiene la situazione così drammatica.
« Abbiamo una visione distorta - osserva - del linguaggio dei giovani di 40 anni fa. Non parlavano certo come libri stampati. Il loro era un italiano collo- quiale, se mai accompagnato dall’uso del dialetto, questo sì ormai scomparso. Sul fronte della scrittura, poi, non direi che i nuovi mezzi di comunicazione, dagli sms al computer, abbiano impoverito la lingua. Al contrario hanno creato dei canali in più. Non c’è stata dunque perdita di espressività ma un progressivo distacco dal linguaggio del passato, quello dei classici letterari » .
Da parte sua Piero Boitani , filologo e critico, osserva: « I giovani di oggi hanno una scelta lessicale minore perché privilegiano altri media i quali, a loro volta, sono poveri di linguaggio. Per questo si ritrovano a parlare con 500 vocaboli invece di 1500 » . Si può vivere in questo modo? « Si campa ma si vive meno bene - prosegue Boitani - perché il linguaggio è anche godimento. Senza quest’ultimo ci sono conseguenze negative anche sul lavoro. E non solo in quello connesso con la comunicazione. Ma anche, per esempio, negli affari e nell’ingegneria » . Cosa possono fare la scuola e l’università? « I nuovi strumenti tecnologici - afferma Raimondi - non sono da condannare perché aprono degli spazi che non si erano mai avuti. Sono piuttosto da usare e da neutralizzare perché non diventino un’ideologia». L’antologia - annota ancora Raimondi - « termina con un’apertura sulla globalizzazione e si interroga su cosa può fare la letteratura nel momento in cui il linguaggio è minacciato da grigiori nuovi. Si vive tra le minacce: di queste bisogna prendere atto e
studiare i modi per respingerle. L’università potrebbe introdurre alcuni servizi culturali puntando così a costruire nello stesso tempo uomini tecnici, ovvero specializzati e uomini comuni » .
La parola letteraria, insiste Raimondi « è ricca di memoria. Non si deve fare della memoria un sistema commemorativo ma un sistema conoscitivo per superare la frammentazione dell’individuo. L’insegnamento, infatti, per definizione parte da due esseri, da due persone totali che si incontrano. Quello che un tempo si chiamava il mondo socratico e a cui non si dovrebbe mai rinunciare » . Con le parole non si scherza, conclude Raimondi: «Il Novecento ha mostrato che bruciare i libri, distruggere il linguaggio è l’anti- camera della distruzione dell’uomo » . Annota Serianni: « La letteratura classica ha anche un forte significato identitario. Perdere il contatto con questa tradizione sarebbe il vero impoverimento. E allora bisogna lavorare perché Dante, per il cittadino italiano, abbia lo stesso ruolo che ha Cervantes in Spagna » . Per raggiungere questo obiettivo, aggiunge Serianni, tutti gli strumenti vanno bene: dai videogiochi sulla Divina Commedia
alle letture di Benigni e Sermonti. « Da parte sua la letteratura deve rinunciare all’ambizione di disegnare minutamente il percorso storico attraverso i minori e si deve soffermare invece sulle grandi voci. Gli insegnanti, se riescono a superare il deficit motivazionale, sono in grado di farlo » . Questa invece la ricetta di Boitani. « La scuola deve aiutare gli studenti ad appassionarsi di nuovo all’identità e alla tradizione. Bisogna trasmettere la passione del leggere » . E non sarebbe anacronistico ritornare, utilizzando anche i nuovi media, alla tv pedagogica degli anni ’ 60 che ha fatto conoscere i classici al popolo italiano. « L’Odissea prodotta dalla Rai nel 1968 potrebbe essere tranquillamente utilizzata anche oggi - conclude Boitani. - Perché ai giovani dobbiamo dare il seme. Poi tocca a loro andare a cercarsi le cose » .
© Copyright Avvenire 17 marzo 2010