del Cardinale William J. Levada*
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì,  31 marzo 2010 (ZENIT.org).
Nel nostro melting pot di popoli,  lingue e background, gli americani non sono considerati esempi di "alta"  cultura, ma possiamo essere orgogliosi della nostra passione per la  giustizia. In Vaticano, dove lavoro attualmente, i miei colleghi - sia i  confratelli Cardinali durante gli incontri che gli officiali nel mio  ufficio - vengono da vari Paesi, continenti e culture. Scrivendo questa  risposta oggi (26 marzo 2010), ho dovuto ammettere con loro di non  essere fiero del quotidiano New York Times come esempio di giustizia.
Lo  dico perché il Times di oggi presenta sia un lungo articolo della nota  commentatrice Laurie Goodstein intitolato "Warned About Abuse, Vatican  Failed to Defrock Priest" ("Avvertito degli abusi, il Vaticano non ha  sospeso un sacerdote") che un editoriale di accompagnamento dal titolo  "The Pope and the Pedophilia Scandal" ("Il Papa e lo scandalo della  pedofilia"), in cui i redattori definiscono l'articolo della Goodstein  un rapporto inquietante che fa da base alle proprie accuse contro il  Papa.
Sia l'articolo che l'editoriale mancano di qualsiasi  ragionevole standard di giustizia che gli americani hanno ogni diritto  di trovare - e si aspettano di trovare - nei loro media principali. 
Nel  primo paragrafo, la Goodstein si basa su quelli che descrive come  "dossier rinvenuti di recente" per sottolineare ciò che il Vaticano (ad  esempio il Cardinale Ratzinger e la sua Congregazione per la Dottrina  della Fede) non ha fatto - "sospendere padre Murphy".
Uno scoop, in  apparenza. Solo dopo otto paragrafi di prosa altisonante la Goodstein  rivela che padre Murphy, che ha abusato in modo orribile di circa 200  bambini audiolesi mentre lavorava in una scuola dell'Arcidiocesi di  Milwaukee dal 1950 al 1974, "non solo non è mai stato processato o  punito dal sistema giudiziario della Chiesa, ma ha anche ottenuto un  'lasciapassare' dalla polizia e dai procuratori che hanno ignorato i  racconti delle vittime, in base ai documenti e alle interviste con  queste ultime".
Nel paragrafo 13, tuttavia, commentando una  dichiarazione di padre Lombardi (il portavoce vaticano) per cui il  Diritto Canonico non proibisce ad alcuno di riportare casi di abuso alle  autorità civili, la Goodstein scrive: "Non ha spiegato perché non sia  mai accaduto in questo caso".
Ha dimenticato, o i suoi  revisori non hanno letto, ciò che ha scritto al paragrafo 9 sul fatto  che Murphy ottenne "un 'lasciapassare' dalla polizia e dai procuratori"?  In base al suo racconto, sembra chiaro che le autorità penali erano  state informate, molto probabilmente dalle vittime e dalle loro  famiglie. 
Il resoconto della Goodstein rimbalza avanti e  indietro come se non fossero passati circa vent'anni tra i racconti  degli anni Sessanta e Settanta all'Arcidiocesi di Milwaukee e alla  polizia locale e la richiesta di aiuto dell'Arcivescovo Weakland al  Vaticano nel 1996. Perché? Il fulcro dell'articolo non riguarda i  fallimenti da parte della Chiesa e delle autorità civili nell'agire  correttamente in quel momento. Io, ad esempio, guardando questo  rapporto, sono d'accordo sul fatto che padre Murphy meritasse di essere  sospeso dallo stato clericale per il suo comportamento criminale, cosa  che sarebbe stata la conseguenza normale di un processo canonico.
Il  fulcro dell'articolo della Goodstein, però, consiste nell'attribuire il  fatto di non aver proceduto alla sospensione a Papa Benedetto anziché  alle decisioni diocesane dell'epoca. 
L'autrice usa la  tecnica di ripetere le tante accuse di varie fonti (non ultime quelle  del suo stesso giornale) e cerca di usare questi "dossier rinvenuti di  recente" come base per accusare il Papa di indulgenza e mancanza  d'azione in questo caso e presumibilmente in altri.
Dall'altro lato,  mi sembra che abbiamo nei confronti di Papa Benedetto un grande debito  di gratitudine per aver introdotto le procedure che hanno aiutato la  Chiesa ad agire di fronte allo scandalo degli abusi sessuali sui minori  da parte di sacerdoti. Questi sforzi sono iniziati quando il Papa era  prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e sono  continuati dopo che è stato eletto Pontefice. Il fatto che il Times  abbia pubblicato una serie di articoli in cui viene ignorato  l'importante contributo che ha fornito - soprattutto nello sviluppo e  nell'implementazione della Sacramentorum  Sanctitatis Tutela, il Motu proprio di Giovanni Paolo II del 2001 -  mi sembra tale da giustificare l'accusa di mancanza di giustizia che  dovrebbe essere la caratteristica di ogni giornale che goda di buona  reputazione.
Lasciatemi dire quella che a mio avviso  sarebbe una giusta lettura del caso di Milwaukee. Le ragioni per cui la  Chiesa e le autorità civili non hanno agito negli anni Sessanta e  Settanta non sono apparentemente contenute in questi "dossier rinvenuti  di recente". E il New York Times non sembra interessato a capire perché.  
Ciò che emerge, però, è questo: dopo quasi 20  anni come Arcivescovo, Weakland ha scritto alla Congregazione chiedendo  aiuto per far fronte a questo caso terribile di gravissimi abusi. La  Congregazione ha approvato la sua decisione di intraprendere un processo  canonico, visto che il caso coinvolgeva istigazioni nella confessione -  uno dei graviora delicta (crimini più gravi) per i quali la  Congregazione aveva responsabilità di indagare e agire in modo  appropriato.
Solo quando ha saputo che Murphy stava morendo, la  Congregazione ha suggerito a Weakland di sospendere il processo  canonico, visto che avrebbe implicato un lungo processo di acquisizione  di testimonianze di una serie di vittime sorde e del sacerdote accusato.  Ha quindi proposto misure per assicurare che venissero imposte  appropriate restrizioni al suo ministero. La Goodstein suggerisce che  questa azione implica "indulgenza" nei confronti di un sacerdote  colpevole di crimini orribili. La mia interpretazione è che la  Congregazione aveva capito che il complesso processo canonico sarebbe  stato inutile se il sacerdote stava morendo.
Di recente  ho ricevuto una  lettera non richiesta dal vicario giudiziario che presiedeva il  giudizio nel processo canonico, che mi dice di non aver mai ricevuto  alcuna comunicazione di sospendere il processo e che non sarebbe stato  d'accordo con questa decisione. Ma padre Murphy nel frattempo era morto.  Da credente, non ho dubbi sul fatto che Murphy si troverà davanti a  Colui che giudica i vivi e i morti.
La Goodstein  riferisce anche di quelle che chiama "altre accuse", relative alla  riassegnazione di un sacerdote che aveva in precedenza abusato di  bambini a un'altra Diocesi da parte dell'Arcidiocesi di Monaco, ma  l'Arcidiocesi ha più volte spiegato che il Vicario Generale  responsabile, monsignor Gruber, ha ammesso il suo errore nel compiere  quell'assegnazione. E' anacronistico che la Goodstein e il Times  sostengano che la conoscenza degli abusi sessuali che abbiamo nel 2010  avrebbe dovuto essere in qualche modo intuita da quanti detenevano  l'autorità nel 1980. Non è difficile per me pensare che il professor  Ratzinger, nominato Arcivescovo di Monaco nel 1977, avrebbe fatto quello  che fa la maggior parte dei nuovi Vescovi: permettere a chi era già  incaricato di amministrare 400 o 500 persone di continuare a svolgere il  lavoro che gli era stato assegnato.
Guardando indietro alla mia  storia personale di sacerdote e Vescovo, posso dire che nel 1980 non  avevo mai sentito alcuna accusa di abusi sessuali di questo tipo da  parte di un sacerdote. E' stato solo nel 1985, quando assistevo come  Vescovo ausiliare a un incontro della nostra Conferenza Episcopale  Statunitense durante la quale vennero presentati dati sulla questione,  che sono venuto a sapere di questi fatti. Nel 1986, quando venni  nominato Arcivescovo di Portland, iniziai a far fronte personalmente  alle accuse di abusi sessuali, e anche se la "curva di apprendimento"  era rapida era anche limitata dai casi particolari presentati alla mia  attenzione.
Ecco alcune cose che ho imparato da allora: molti bambini  sono riluttanti a riferire casi di abusi sessuali da parte del clero.  Quando si presentano da adulti, il motivo più frequente non è chiedere  una punizione per il sacerdote, ma informare il Vescovo e il direttore  del personale di modo che ad altri bambini possa essere risparmiato il  trauma che hanno subito.
Nel trattare con i sacerdoti, ho imparato  che molti presbiteri, di fronte alle accuse del passato, ammettono  spontaneamente le proprie colpe. Dall'altro lato, ho anche imparato che  non è rara la negazione, che in alcuni casi neanche i programmi  terapeutici sono riusciti a far venir meno. Anche terapeuti  professionisti non sono giunti a una chiara diagnosi in alcuni di questi  casi; spesso le loro raccomandazioni erano troppo vaghe per essere  utili. I terapeuti sono stati però molti utili alle vittime nel far  fronte agli effetti a lungo termine degli abusi infantili. Sia a  Portland che a San Francisco, dove ho affrontato casi di abusi sessuali,  le Diocesi hanno sempre messo a disposizione fondi (spesso attraverso  la copertura assicurativa diocesana) per la terapia delle vittime degli  abusi sessuali.
Dal punto di vista delle procedure  ecclesiastiche, l'esplosione della questione degli abusi sessuali negli  Stati Uniti ha portato all'adozione, in un incontro della Conferenza  Episcopale a Dallas nel 2002, di una "Carta per la Difesa dei Minori  dagli Abusi Sessuali". Questo testo fornisce linee guida uniformi su  come riportare gli abusi sessuali o sulle strutture di riferimento  (Consigli che includono clero, religiosi e laici, compresi esperti),  rapporti a un Consiglio nazionale e programmi educativi per parrocchie e  scuole per aumentare la consapevolezza e la prevenzione degli abusi  sessuali sui bambini. In molti altri Paesi le autorità ecclesiali hanno  adottato programmi simili: uno dei primi è stato quello della Conferenza  Episcopale di Inghilterra e Galles in risposta al Rapporto Nolan, opera  di una commissione di alto livello di esperti indipendenti nel 2001.
E'  stato solo nel 2001, con la pubblicazione del Motu proprio di Papa  Giovanni Paolo II "Sacramentorum  Sanctitatis Tutela" (SST), che la responsabilità di guidare la  risposta della Chiesa cattolica al problema degli abusi sessuali di  minori da parte del clero è stata assegnata alla Congregazione per la  Dottrina della Fede. Questo documento papale è stato preparato per Papa  Giovanni Paolo II sotto la guida del Cardinale Ratzinger come prefetto  della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Contrariamente  a ciò che affermano alcuni media, l'SST non ha eliminato la  responsabilità del Vescovo locale di agire nei casi di abusi sessuali  sui minori da parte di chierici. Né, come altri hanno teorizzato, era  parte di un progetto per interferire con la giuridizione civile in  questi casi. L'SST ordina ai Vescovi di riferire accuse credibili di  abuso alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che può aiutare i  presuli ad assicurare che i casi vengano gestiti in modo appropriato, in  base al diritto ecclesiastico applicabile. 
Ecco  alcuni progressi compiuti da questa nuova legislazione della Chiesa  (SST). Ha previsto un processo amministrativo semplificato per arrivare a  una sentenza, riservando l'iter più formale del processo canonico a  casi più complessi. Ciò è stato particolarmente utile nelle Diocesi  missionarie e di piccole dimensioni, che non hanno un forte complemento  di giuristi canonici. Prevede l'erezione di tribunali interdiocesani per  assistere le piccole Diocesi. La Congregazione ha la facoltà di  derogare dalla prescrizione di un crimine per permettere di fare  giustizia anche in casi "storici". L'SST ha inoltre emendato il Diritto  Canonico nei casi di abusi sessuali stabilendo i 18 anni come limite di  età di un minore per essere conforme al diritto civile in vigore in  molti Paesi. Prevede un riferimento per i Vescovi e i superiori  religiosi per avere consigli uniformi su come gestire i casi che  riguardano i sacerdoti. Al di sopra di tutto, forse, c'è il fatto che ha  definito i casi di abusi sessuali sui minori da parte dei chierici  graviora delicta, crimini più gravi, come quelli contro i sacramenti  dell'Eucaristia e della Penitenza, sempre affidati alla Congregazione  per la Dottrina della Fede. Ciò mostra la serietà con cui la Chiesa di  oggi assume la propria responsabilità di assistere Vescovi e superiori  religiosi per evitare che questi crimini vengano commessi in futuro e  per punirli quando si verificano. Ecco un'eredità di Papa Benedetto che  facilita enormemente il lavoro della Congregazione che ora ho l'onore di  guidare, a beneficio di tutta la Chiesa.
Dopo la Carta di Dallas del  2002, sono stato nominato (all'epoca come Arcivescovo di San Francisco)  per far parte di un team di quattro Vescovi che doveva ottenere  l'approvazione da parte della Santa Sede delle "Norme Essenziali" che i  Vescovi americani hanno sviluppato per permetterci di far fronte alla  questione degli abusi. Visto che queste norme si intersecavano con il  Diritto Canonico esistente, richiedevano un'approvazione prima di essere  implementate come diritto particolare per il nostro Paese. Sotto la  presidenza del Cardinale Francis George, Arcivescovo di Chicago e  attualmente presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli  Stati Uniti, il nostro team ha lavorato con esperti canonisti vaticani  in molti incontri.
Abbiamo trovato nel Cardinale Ratzinger e  negli esperti che ha scelto perché ci incontrassero una cordiale  comprensione dei problemi che affrontavamo come Vescovi americani. E'  stato soprattutto grazie alla sua guida che siamo riusciti a far sì che  il nostro lavoro si concludesse con successo. 
L'editoriale  del Times si chiede "come gli officiali vaticani non abbiano tratto  lezioni dall'enorme scandalo negli Stati Uniti, dove in tre anni più di  700 sacerdoti sono stati sospesi". Posso assicurare il Times del fatto  che il Vaticano non ignorava allora e non ignora oggi quelle lezioni, ma  l'editoriale prosegue con i soliti pregiudizi: "Ma quando leggiamo  l'inquietante rapporto di Laurie Goodstein... su come il Papa, mentre  era ancora Cardinale, venne personalmente avvertito su un sacerdote...  Ma i leader della Chiesa scelsero di difendere la Chiesa anziché i  bambini. Il rapporto illustrava il tipo di comportamento che la Chiesa  voleva scusare per evitare lo scandalo". Scusatemi, revisori. Perfino  l'articolo della Goodstein, basato su "dossier rinvenuti di recente",  pone le parole relative alla volontà di difendere la Chiesa dallo  scandalo sulle labbra dell'Arcivescovo Weakland, non del Papa. E'  proprio questo tipo di fusione anacronistica che penso giustifichi le  mie accuse sul fatto che il Times, affrettandosi ad emettere un verdetto  di colpevolezza, manca di giustizia nei confronti di Papa Benedetto  XVI.
Come membro a tempo pieno della Curia Romana, la struttura di  governo che adempie ai compiti della Santa Sede, non ho il tempo di far  fronte agli articoli quasi quotidiani del Times, scritti da Rachel  Donadio e altri, e men che meno allo scimmiottamento di Maureen Dowd  dell'"inquietante rapporto" della Goodstein. Ma quando parliamo di un  uomo con cui e per cui ho il privilegio di lavorare, come prefetto suo  "successore", un Papa le cui Encicliche sull'amore, la speranza e la  virtù economica ci hanno sorpresi e ci hanno fatto pensare, le cui  catechesi quotidiane e le cui omelie della Settimana Santa ci ispirano, e  sì, la cui azione per aiutare la Chiesa a far fronte efficacemente agli  abusi sessuali sui minori continua ad aiutarci, chiedo al Times  di riconsiderare il suo attacco contro Papa Benedetto XVI e di dare al  mondo una visione più bilanciata di un leader su cui può e dovrebbe  contare.
* Il Cardinal Levada è Prefetto della  Congregazione per la Dottrina della Fede