Roma. Foreign Policy dichiara guerra
alla rucola. Che non è poi vera e propria
antipatia per la piccante insalatina, quanto
per chi negli Stati Uniti ne ha fatto l’icona
di un mangiare “naturale” che in
realtà non è detto che faccia bene, certamente
non aiuta a combattere la fame nel
mondo, e probabilmente non sarebbe
neanche troppo ecologico. Così spiega il
bimestrale fondato da Samuel Huntington,
e peraltro nel gruppo editoriale non propriamente
conservatore del Washington
Post, in un lungo pamphlet pubblicato sull’ultimo
numero, a firma di Robert Paarlberg.
Non un qualunque giornalista un po’
polemico ma un docente di Harvard, specialista
in agricoltura, ambiente e biotecnologie.
“Attenzione ai venditori di cibi integrali”,
è il titolo. “Basta con l’ossessione
per la rucola. Il vostro mantra della ‘sostenibilità’
– organico, locale, e lento – non è
una ricetta per salvare i milioni di affamati
del mondo”. Il problema principale, secondo
Paarlberg, è l’inceppamento di
quella Rivoluzione verde che tanto aveva
contribuito a ridurre il dramma della sottoalimentazione,
raddoppiando ad esempio
tra 1964 e 1970 la produzione di grano
indiana. “Il cibo è diventato una preoccupazione
dell’élite nell’occidente, ironicamente,
proprio mentre modi più concreti
per affrontare la fame nei paesi poveri sono
andati fuori moda”. C’erano 850 milioni
di persone denutrite nel mondo prima dei
rincari dei prezzi del 2008, e in seguito
questo numero ha passato per la prima
volta la soglia del miliardo. Il 62 per cento
di loro è costituito da contadini poveri dell’Africa
e dell’Asia le cui tecniche di coltivazione
assicurano a malapena redditi da
un dollaro al giorno. Ma secondo i teorici
del cibo organico, denuncia Paarlberg, sia-
mo noi che dovremmo imparare da loro
come si produce il cibo! Paarlberg incolpa
gli attacchi alla Rivoluzione verde fatti da
Vandana Shiva o dal vertice di ong che ebbe
luogo a Roma nel 2002, se il numero
delle persone a rischio alimentare in Africa
è cresciuto del 30 per cento in un decennio.
Da quando le crescenti pressioni
delle lobby ambientaliste hanno indotto a
togliere determinati programmi di modernizzazione
dell’agricoltura dai finanziamenti
per la cooperazione allo sviluppo.
Paarlberg evidenzia l’esistenza anche di
altri pericolosi “miti organici”. Ad esempio:
negli Stati Uniti con i sistemi industriali
di trattamento dei cibi muoiono
5.000 persone ogni anno per infezioni di
origine alimentare; in Africa, dove si usano
per lo più i sistemi tradizionali, i morti
sono 700.000. Uno studio pubblicato l’anno
scorso dall’American Journal of Clinical
Nutrition ha evidenziato come dal materiale
raccolto negli ultimi cinquant’anni
non sia emerso alcun vantaggio per la salute
del cibo organico rispetto a quello
non organico. Quanto ai fertilizzanti, è vero
che negli Stati Uniti hanno inquinato
fiumi e creato una “zona morta” nel Golfo
del Messico. Ma proviamo a immaginare
che invece di cercare fertilizzanti chimici
meno inquinanti la quota di organico cresca
dall’attuale uno per 100 all’intera agricoltura
americana. Quanto bestiame ci
vorrebbe per assicurare la quantità di
concime necessario? Almeno cinque volte
lo stock attuale. Cioè, cinque volte più immissione
di metano di origine animale
nell’atmosfera e cinque volte più pascoli,
con relativi disboscamenti. In Europa si
dovrebbero tagliare tutte le foreste che restano
in Francia, Germania, Regno Unito
e Danimarca.
© Copyright Il Foglio 30 aprile 2010