Roma. Per dieci giorni nell’agosto del
2003, mentre l’America contava i marines
trucidati in Iraq dai kamikaze, a Montgomery,
nello stato dell’Alabama, il giudice
Roy Moore, da presidente della Corte suprema
dello stato, fece costruire, a sue
spese, un monumento di tre tonnellate in
cui erano incisi i Dieci Comandamenti. Lo
fece installare di notte sul prato della Corte.
Una corte federale stabilì poi che la
roccia infrangeva la “separazione fra stato
e chiesa”. Moore si rifiutò però di evacuarla
e nacque il mito della Roy’s Rock,
“la pietra di Roy”. Mercoledì la Corte suprema
di Washington ha deciso la sorte di
un altro monumento cristiano, la piccola
croce bianca del deserto del Mojave. In un
momento in cui in Germania si parla di
mettere al bando crocefissi e veli islamici,
i nove magistrati diWashington hanno deciso
che quel lontano simbolo nel deserto
della California, eretto nel 1934, ha il diritto
di ricordare i veterani americani e che
non viola la “separazione di stato e chiesa”
del primo emendamento.
“Siamo i morti sbagliati”, aveva detto
Joe Davis dei Veterans of Foreign Wars a
proposito della campagna liberal contro
la croce. La croce di tre metri sorge a 125
miglia a nordest di Los Angeles, su un alto
sperone roccioso. Il suolo allora non faceva
parte della Mojave National Preserve,
il parco nazionale. Quando fu istituito
il parco, l’area ne entrò a far parte e divenne
proprietà pubblica, fornendo però
il destro ai liberal di reclamare l’applicazione
del primo emendamento. A intentare
causa è stato un ex dipendente del
Mojave, il cattolicissimo Frank Buono.
Per risolvere il problema, nel 2003 il Congresso
aveva cercato di ottenere il trasferimento
dell’area dallo stato a una associazione
di reduci, in modo da “privatizzare”
lo spazio e consentire la riapertura
del monumento. La Corte suprema ha affermato
che il monumento non viola il
principio costituzionale di separazione,
perché il Congresso con la sua intenzione
di trasferire la proprietà ha di fatto risolto
la questione. Nel 2004 una corte di appello
aveva stabilito che il memoriale violava
il primo emendamento e ne aveva ordinato
la rimozione. La disputa legale è
stata fra i partigiani della Establishment
Clause, che proibisce alla legge civile di
istituzionalizzare la religione attraverso
l’uso delle tasse pubbliche, e della Freeexercise
Clause, che impedisce al governo
di interferire con il libero esercizio
della religione.
Decisivo è stato il voto del conservatore
swing Anthony Kennedy, cruciale in
ogni materia divisiva su cui la Corte è
stata chiamata a pronunciarsi. “Privati
cittadini hanno posto la croce nella roccia
per commemorare i soldati americani
morti nella Prima guerra mondiale”,
ha detto Kennedy. “Sebbene sia certamente
un simbolo cristiano, la croce non
fu eretta per promuovere un messaggio
cristiano”. Il giudice John Paul Stevens,
che si è ritirato dalla Corte e che Obama
sostituirà a breve, ha scritto l’opinione di
minoranza. L’anziano giudice ha sostenuto
che il trasferimento della proprietà
del terreno non scioglie i dubbi di costituzionalità,
perchè “non mette completamente
fine al sostegno del governo al crocifisso,
per il favoritismi che sono stati
fatti e perchè la croce rimarrà designata
come monumento nazionale”. “Il fine di
evitare un sostegno governativo non richiede
di sradicare tutti i simboli religiosi
dallo spazio pubblico”, gli ha replicato
Kennedy. “La Costituzione non obbliga
il governo dall’astenersi da ogni riconoscimento
pubblico del ruolo della religione
nella società”. Se avesse vinto il
cattolico Buono, le autorità si sarebbero
trovate di fronte a richieste di rimozione
di simboli religiosi sul suolo pubblico.
Secondo Kennedy la croce bianca “evoca
le migliaia di piccole croci nei cimiteri
stranieri che segnano le tombe degli
americani che sono morti in battaglia”.
Ieri i veterani sono tornati a Sunrise
Rock, dove i reduci della Prima guerra
mondiale innalzarono la croce per non
dimenticare i giorni del combattimento
e, insieme, per ringraziare Dio d’averli
fatti tornare in patria sani e salvi.
Giulio Meotti
© Copyright Il Foglio 30 aprile 2010