DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Donne & sofferenza: basta con i luoghi comuni

di Paola Ricci Sindoni
C’

V
è un aspetto più corrosivo di altri nella gestione del potere massmediatico, ed è quello le­gato alla diffusione – con il suo effetto moltiplicatore – dei pre­giudizi e degli stereotipi pilo­tati con raffinata strategia persuasiva, che finisce per far apparire una verità che non c’è. È il caso dei continui attacchi alla Chie­sa e alla sua costante attenzione critica nei confronti della pillola abortiva Ru486, che – così tuonano alcune firme di importanti testate nazionali – finirebbe per condan­nare questa pratica indolore in nome della 'dottrina' (da qui lo stereotipo duro a mo­rire) secondo cui sin da Genesi la donna, obbligata a partorire con dolore, dovrebbe pur continuare a soffrire se vuol abortire – una forma di 'pena' per il suo peccato – in­vece che servirsi della modalità più sempli­ce e indolore dell’uso di un farmaco.
ale la pena smontare questi pregiudizi con almeno due differenti ordini di con­siderazione. Il primo è quello connes­so allo stereotipo sul presunto maschilismo della Chiesa cattolica, colpevole a causa del sacerdozio maschile di soffiare da secoli sul­l’antifemminismo e dunque sempre pron­ta a condannare quando vengono pretesi dei diritti delle donne, incluso quello di aborti­re. Si dimentica così facilmente quanto si sia impegnata la Chiesa sul fronte di una corretta visione del mondo delle donne: basti pen­sare al costante e innovativo magistero di Giovanni Paolo II sull’antropologia femmi­nile e anche all’impegno di Benedetto XVI in merito alla considerazione della natura dua­le dell’essere umano, entro cui maschile e femminile vengono disegnati da Dio con il sigillo creaturale della pari dignità e della sin­golare uguaglianza. L’intento di queste af­fermazioni, che hanno trovato riconosci­menti nel dibattito del femminismo cristia­no e non, oltre che nella prassi pastorale del­le singole realtà locali, non si ferma tanto al­la mera proclamazione dei diritti, quanto al­la cultura della promozione delle donne, molto spesso lasciate sole nella doppia e dif­ficile gestione della vita familiare e dell’im­pegno
lavorativo.
E’


in questo quadro di emergenza finan­ziaria, oggi complicata dalle difficoltà economiche e dal mercato del lavoro, pronto a sacrificare gli anelli più deboli del­la catena sociale, le donne appunto, che pren­de corpo il fenomeno (certo più complesso) delle gravidanze indesiderate e della conse­guente scelta dell’aborto, garantito nel no­stro Paese dalla 194. Una legge – lo si dice da più parti – che se da un lato ha prodotto una certa diminuzione dell’aborto clande­stino, dall’altro ha finito con l’abbassare il li­vello della percezione morale di questo e­vento drammatico che continua a pesare so­prattutto sul corpo e sull’anima della donna, come sul diritto negato ad una vita di veni­re
all’esistenza.
L’
introduzione della Ru486, specie – co­me sembra – se verrà deospedalizzata attraverso un uso privato del farmaco, non fa che esasperare questo dram­ma, che ha anche contorni clinici da non sottovalutare, come alcuni e­sponenti della Chiesa più volte ripe­tono anche in questi giorni, e non certo a motivo di una obbligata sof­ferenza, che costituirebbe il sigillo i­nevitabile – una sorta di condanna – che segnerebbe la donna per sempre. È qui che si annida il secondo ste­reotipo, quello legato alla falsa con­cezione della sofferenza di cui la Chie­sa cattolica sarebbe portatrice. Fede­le al suo evento fondatore – Gesù Cri­sto morto e risorto – il cristiano sa bene che la Croce non è la celebra­zione doloristica della rassegnazio­ne, ma è una tappa di condivisione della sofferenza del mondo da parte di Chi se ne è addossato tutta la col­pa.
Mai nessuno nella Chiesa osa affer­mare che il dolore è un valore, una pratica da raccomandare, quanto u­na evenienza che prima o poi attra­versa ogni esistenza finita e che, se ri­letta dentro il mistero del Maestro, trova una via di liberazione, quella che conduce, nonostante tutto, a ve­dere nell’oscurità del mondo una lu­ce. Calcare l’assurdità di una vita immer­sa nel dolore e tuttavia vedere un senso a questa stessa vita, è questa la risposta cri­stiana alla sofferenza e ai drammi che ci colpiscono. Specie quando hanno a che fare con la paura e la solitudine, con il senso di impotenza e di colpa che affer­rano le donne che si accingono ad abor­tire: in quel momento è più facile, in no­me dei diritti, consegnare loro due pillo­le e rimandarle a casa, piuttosto che so­stenerle, illuminarle e confortarle indi­cando loro le possibili vie alternative.
La Chiesa, sia nelle forme praticate dal Magistero che in quelle pastorali, vissute nelle centinaia di parrocchie disseminate sul territorio nazionale, fa proprio que­sto: aiuta e non condanna, orienta e non giudica, lenisce il dolore con la vicinan­za e con l’indicazione di prospettive più
liberanti.

© Copyright Avvenire 15 aprile 2010