Milano. Luca Steffenoni è un criminologo
milanese che svolge “la sua attività di
studioso e consulente in collaborazione
con enti e istituzioni nazionali e comunitarie”.
L’anno scorso, per Chiarelettere, ha
pubblicato un interessante volume, intitolato
“Presunto colpevole”, nato dalla sua
esperienza nell’ambito di processi per pedofilia.
Nel testo affrontava il drammatico
problema di chi soffia sul fuoco, di chi
sfrutta “pro domo sua” il dramma terribile
che è l’abuso di minori. Aveva raccontato,
sulla scorta della sua esperienza professionale,
come l’accusa infamante sia talora
motivata da odi, vendette, rancori familiari,
ad esempio in seguito a un divorzio.
Inoltre, senza certamente voler sminuire
il problema della pedofilia nella nostra
società, aveva messo in guardia dalla
caccia alle streghe e dai processi mediatici.
Poco dopo la pubblicazione del libro,
intervistato dal giornalista trentino Alberto
Piccioni, alla domanda “Come giudica i
casi dei preti pedofili?”, aveva rilasciato
una dichiarazione interessante che mi
sembrava rispecchiare la mia personale
esperienza e quella di chi, come mio padre,
lavora da tanti anni in magistratura.
Diceva Steffenoni: “La questione chiesa
è molto complessa. Ci sono diverse questioni
che si intrecciano. E’ diventato quasi
un facile luogo comune quello del prete
pedofilo. C’è un problema di omosessualità
nella chiesa che i vertici ecclesiastici
faticano ad affrontare. Invece di risolvere
i casi di pedofilia pagando risarcimenti alle
vittime dovrebbe avere il coraggio di
analizzare caso per caso. Da laico però ho
la sensazione che spesso dietro certe accuse
si celi la frustrazione del mondo laico
che non riesce ad attaccare la chiesa su tematiche
più ‘forti’ e slitta sull’attacco ‘facile’”
(L’Adige, 5 novembre 2009).
Di fronte alla marea montante di accuse,
e diffamazioni, di luoghi comuni e condanne
indiscriminate di questi giorni, ho
riproposto al criminologo la stessa domanda:
non le sembra che l’attacco alla chiesa
con l’accusa di pedofilia sia strumentale?
Che nasca non tanto dal desiderio di affrontare
una piaga che purtroppo si diffonde
in tutta la società, ma da altri scopi?.
Steffenoni, reduce da Strasburgo, proprio
per motivi di lavoro relativi alla pedofilia,
risponde in modo articolato: “Ritengo che
l’aspro dibattito in corso sulla pedofilia
nella chiesa sia fortemente viziato da pressioni
ideologiche, tendenze plebiscitarie
pro o contro l’istituzione ecclesiastica, ipe-
remotività, furore ideologico ed errori nella
politica e nella comunicazione della
chiesa che allontanano dalla verità e dalla
vera tutela dei minori nonché delle vittime
reali. Se prendiamo l’ultimo grave caso
emerso nella chiesa tedesca ci rendiamo
subito conto di come i media l’hanno
riportato, sottacendo l’elemento temporale
(si tratta di casi avvenuti più di cinquanta
anni fa, in un contesto socioculturale assai
diverso da quello attuale) nonché la
difficoltà a entrare nel merito di vicende
nelle quali molti dei protagonisti sono deceduti
e nelle quali l’elemento psicologico
è determinante”.
E prosegue: “Diciamo subito che abusi
sessuali veri, e sottolineo il concetto per
distinguerli dai falsi altrettanto numerosi
e drammatici, negli ambienti parrocchiali
ci sono sicuramente stati e ci sono tuttora,
circostanza inevitabile in tutti i luoghi nei
quali il rapporto tra minori e adulti è assai
stretto. L’unico elemento di differenziazione
rispetto alla scuola, ai collegi militari,
agli orfanotrofi, alle case d’accoglienza,
agli ambienti sportivi è che indubbiamente
l’elemento sessuale (e non mi riferisco
al celibato altrimenti non si spiegherebbe
il dato sui preti protestanti regolarmente
sposati) nella chiesa ha un rilievo catartico
e simbolico molto forte, da laico direi
anche eccessivo. Per la mia esperienza
non penso che tra i preti si annidino più
pedofili che altrove, semmai si cela una
pedofilia diversa sotto il profilo psicoanalitico,
fortemente intrisa di senso del peccato
e di omosessualità repressa”.
Detto questo, la chiesa cattolica, soprattutto
quella italiana, al fianco di una certa
omertà su singoli fatti reali, paga secondo
Steffenoni “pesantemente la sua assenza
nel dibattito sui falsi abusi che stanno corrompendo
la sacrosanta lotta alla pedofilia”.
La chiesa, “annichilita e terrorizata
dallo scandalo, si rende ostaggio di frustrazioni
laiche e di interessi di parte, sia
ideologici che economici, entrati prepotentemente
nel processo penale per abusi
e in una magistratura sempre più ideologizzata.
Le istituzioni cattoliche, ma anche
i giornali cattolici, hanno rinunciato ad andare
a vedere caso per caso, indizi, metodi
inquisitori, ricerca delle prove, contribuendo
inevitabilmente ad alimentare un
sistema nel quale verità e falso si mescolano
sempre di più con grave danno delle
reali vittime”. Al momento, infatti, “in
molti tribunali italiani il processo per
abusi si basa su un impianto ideologico,
teorizzato da molti magistrati, per il quale
la presunzione di colpevolezza dell’adulto
è un dato di fatto. E se l’imputato è
un prete la presunzione è doppia”. La teoria
del “bambino ha sempre ragione” anche
quando può essere manipolato, e del
“disvelamento progressivo, per il quale
qualsiasi contraddizione nel racconto del
bambino viene sanata, la psicologizzazione
del processo per la quale si considera
scienza ciò che è solo teoria, rendono impossibile
qualsiasi difesa. Il processo per
abusi viaggia oltre i confini dei minimi diritti
civili e costituzionali, è terra di nessuno
dove il magistrato si è ritagliato un
potere discrezionale assoluto”.
Per il criminologo, il risultato sono casi
come quelli di don Giorgio Carli, sacerdote
di Bolzano “condannato a sette anni
e sei mesi in appello, sull’unica base di
un sogno fatto da una parrocchiana; delle
suorine della Val Seriana, pervicacemente
accusate delle più ignobili azioni,
condannate a pene abnormi e salvate in
appello solo quando, tra mille pudori, si
è potuto accertare che quel seno su cui si
sarebbero soffermate le voglie lascive di
una delle due, semplicemente non c’era
perché la poveretta (di 74 anni) ne era
stata privata da un tumore”. E ancora, la
vicenda incredibile di don Giorgio Govoni,
parroco amatissimo di Massa Finalese
“messo al centro di un processo dai contorni
satanisti, morto d’infarto alla lettura
della sentenza di primo grado e assolto
alla memoria in appello quando tutto
l’impianto accusatorio falsificato dall’accusa
è venuto giù come un castello di sabbia”.
La domanda è: dove erano le istituzioni
ecclesiastiche e l’informazione cattolica
mentre avvenivano questi scempi?
Spesso, per Steffenoni, “il pagamento immediato
dei risarcimenti non fa che ampliare
il fronte del problema, mentre
qualsiasi accusato che veste l’abito religioso
è lasciato da solo a fronteggiare le
accuse. Se il sistema repressivo non recupera
un minimo di credibilità avremo
sempre più innocenti in galera e colpevoli
a piede libero, perché un sistema non
credibile produce come primo effetto l’omertà
contribuendo a celare sempre più
le vere violenze”.
Francesco Agnoli
© Copyright Il Foglio 2 aprile 2010