Pubblichiamo un articolo scritto
dal professor George Weigel comparso
il 29 marzo sulla rivista online
“On The Square”. Weigel è docente
presso l’Ethics and Public Policy
Center di Washington, autore del saggio
“The Courage to be Catholic: Crisis,
Reform, and the Future of the
Church” e biografo americano di Papa
Benedetto XVI
Gli abusi sessuali e fisici su bambini
e ragazzi sono una piaga
mondiale; l’elenco dei reati va dai
palpeggiamenti da parte degli insegnanti
fino agli stupri da parte di
parenti e allo sfruttamento per prostituzione.
Nei soli Stati Uniti, le
statistiche indicano che ci sono circa
trentanove milioni di giovani che
hanno subito abusi sessuali. Tra il
quaranta e il sessanta per cento di
essi hanno subito abusi a opera di
familiari, compresi patrigni e fidanzati
di ragazze-madri – il che dimostra
che i bambini sono le principali
vittime della rivoluzione sessuale,
del divorzio e della cultura di Internet.
La professoressa Charol Shakeshaft,
della Hofstra University, sostiene
che tra il 6 e il 10 per cento
degli studenti di scuole pubbliche
ha subito molestie nel corso degli
ultimi anni – ossia, tra il 1991 e il
2000, circa 290 mila ragazzi. Secondo
altri studi recenti, il 2 per cento dei
molestatori sessuali erano preti cattolici
– un fenomeno che è esploso
tra la metà degli anni Sessanta e la
metà degli anni Ottanta, ma che ora
sembra praticamente scomparso
(nel rapporto dei vescovi statunitensi
per il 2009 sono stati segnalati sei
casi certi di abuso sessuale, su una
chiesa con circa sessantacinque milioni
di membri).
Ciononostante, secondo uno schema
perfettamente esemplificato dal
comportamento del cane in Proverbi
26,11, sui media di tutto il mondo
i casi di abusi sessuale sono quasi
esclusivamente una vicenda cattolica,
nella quale la chiesa cattolica è
raffigurata come l’epicentro delle
violenze sessuali sui giovani, con
esplicite allusioni a una sorta di cospirazione
ecclesiastica criminale
che continua ad alimentare gli abusi
dei molestatori sessuali. Il fatto
che la maggior parte di questi casi
negli Stati Uniti siano avvenuti decine
di anni fa non ha alcuna importanza
ai fini della vicenda. Infatti,
la storia che è stata montata riguarda
ben raramente la protezione
dei giovani (per i quali la chiesa cattolica
è, per provata esperienza,
l’ambiente più sicuro oggi presente
in America) e quasi sempre l’attacco
contro la chiesa e la sua esautorazione
sia economica sia morale
dal dibattito pubblico sulle politiche
sociali. Se la chiesa è una cricca
criminale internazionale di molestatori
sessuali, non può naturalmente
avere alcuna pretesa di occupare
un proprio posto al tavolo del
dibattito sulla morale pubblica.
La chiesa stessa è almeno in parte
responsabile di questa situazione.
Gravi casi di abusi sessuali e di
loro insabbiamento da parte dei vescovi
sono stati denunciati negli Stati
Uniti nel 2002; più recentemente,
casi ancora più gravi sono stati rivelati
in Irlanda. Clericalismo, viltà,
incondizionata fiducia nella possibilità
di “guarire” i molestatori sessuali
con la psicoterapia: tutto ciò
ha avuto un ruolo nel riciclaggio dei
medesimi molestatori nei dicasteri
ecclesiastici così come nell’incapacità
dei vescovi di affrontare concretamente
il massiccio fenomeno
di crisi delle vocazioni e della disciplina
negli anni successivi al Concilio
Vaticano Secondo. Perché la
questioni degli abusi sessuali nella
chiesa è sempre stata nient’altro
che una crisi della fede. I preti che
vivono autenticamente la nobile
promessa della loro ordinazione
non sono dei molestatori sessuali; i
vescovi che prendono sul serio la
propria custodia del gregge di Dio
proteggono i giovani e riconoscono
che le azioni di un uomo possono disonorare
in modo così grave il suo
sacerdozio tanto da obbligare alla
sua rimozione dal servizio clericale
o addirittura dallo stesso stato della
chiesa. Che la chiesa cattolica sia
stata lenta a riconoscere lo scandalo
degli abusi sessuali nel proprio
seno e non abbia saputo affrontarlo
nel modo adeguato è stato ormai
apertamente ammesso, sia dai vescovi
statunitensi nel 2002 sia dal
Papa Benedetto XVI nella sua recente
lettera alla chiesa cattolica
d’Irlanda. Negli ultimi anni, tuttavia,
nessun’altra istituzione ha mantenuto
un atteggiamento di simile
trasparenza sui propri errori, e nessuno
ha profuso maggiori sforzi per
rimediarvi. E’ senza dubbio occorso
troppo tempo per arrivare a questo
risultato; ma ci siamo comunque arrivati.
Questi fatti non si sono però imposti
all’attenzione pubblica. Non si
accordano infatti con il tono convenzionale
della storia. Per di più,
ostacolano il progresso del più ampio
programma che alcuni stanno
chiaramente cercando di realizzare
sfruttando questa controversia. Perché
la crisi degli abusi sessuali e degli
insabbiamenti ecclesiastici è stata
colta al balzo dai nemici della
chiesa, che cercano di distruggerla,
moralmente e finanziariamente, e
di infangare il nome dei suoi capi.
Nel 2002, a Boston, l’obiettivo nascosto
era proprio questo (e in questo
si è potuto contare sull’aiuto di
alcuni cattolici che intendono trasformare
il cattolicesimo in una sorta
di Congregazionalismo delle alte
sfere ecclesiastiche, preferibilmente
con loro stessi a capo di tutto). E
la stessa cosa vale per le recenti settimane,
in cui i media internazionali
hanno lanciato un attacco congiunto
contro Papa Benedetto XVI,
all’indomani della rivelazione di
gravissimi casi di abusi sessuali in
tutt’Europa. In Germania, lo Spiegel
ha chiesto le dimissioni del Papa;
analoghi appelli al sacrificio del
sangue papale sono stati fatti in Irlanda,
un paese un tempo cattolico
e ora patria della stampa laicista
più aggressiva d’Europa.
Ma è stato il New York Times, sulla
prima pagina del numero del 25
marzo, a dimostrare una volta per
tutte fino a che punto sono disposti
ad arrivare coloro che si sono dedicati
anima e corpo a umiliare la
chiesa.
Rembert Weakland è l’arcivescovo
emerito di Milwaukee, ben noto
al pubblico per avere pagato centinaia
di migliaia di dollari per soddisfare
le richieste del suo ex amante
omosessuale. Jeff Anderson è un
avvocato del Minnesota che si è costruito
una fortuna con casi di “patteggiamento”
per abusi sessuali e
che è attualmente impegnato in prima
linea nella controversia per
aprire le risorse del Vaticano agli
avvocati statunitensi. Ma per quanto
implausibili, e sul piano giornalistico
chiaramente inaffidabili, sono
proprio queste le fonti che il New
York Times ha citato per un articolo
nel quale si afferma che il cardinale
Joseph Ratzinger, quando era alla
direzione della congregazione
per la Dottrina della fede, avrebbe
proibito che venissero comminate
sanzioni contro il padre Lawrence
Murphy, un diabolico sacerdote di
Milwaukee, il quale, dieci anni prima,
aveva abusato di circa duecento
bambini sordi affidati alla sua cura.
Ma si tratta di una pura menzogna,
come dimostra la documentazione
legale sul caso messa a disposizione
dallo stesso quotidiano newyorkese
sul proprio sito Web. I fatti, ahimè,
sembrano non avere alcun interesse
per coloro il cui unico scopo è spiattellare
la storia della criminalità
cattolica globale, con il proprio epicentro
nel Vaticano.
Lo scadimento del New York Times
in un giornalismo fatto di documentazioni
e insinuazioni da tabloid
è stato ancora più offensivo a causa
dei recenti sviluppi della vicenda,
che hanno dimostrato chiaramente
la volontà di Papa Benedetto XVI di
sradicare ciò che egli stesso ha definito
il “marcio” presente all’interno
della chiesa. C’è stata, per esempio,
la lettera del 20 marzo, inviata dal
Papa alla chiesa cattolica d’Irlanda,
che non ha mostrato alcuna debolezza
né nella condanna dei sacerdoti
colpevoli di abusi sessuali (“…
avete tradito la fiducia riposta in voi
da giovani innocenti e dai loro genitori;
e dovrete risponderne al cospetto
di Dio onnipotente e davanti
a tribunali appropriati”), né tantomeno
nella critica dei vescovi disonesti
(“ci sono stati gravi errori di
giudizio e imperdonabili colpe delle
autorità ecclesiastiche … che hanno
minato la vostra credibilità e l’efficacia
della vostra opera”. Per di più,
il Papa ha inviato una missione di
controllo apostolica in tutte le diocesi,
i seminari e le congregazioni irlandesi
– chiaro segno di un imminente
e radicale rivolgimento ai vertici
della chiesa irlandese. Con la
netta formulazione della sua lettera
papa Benedetto XVI è riuscito a vincere
la tradizionale preferenza del
Vaticano per l’uso del condizionale
in situazioni di questo genere. Il fatto
che il Papa si sia rifiutato di piegarsi
all’opposizione del clero romano
e irlandese e dare un basso profilo
alla questione avrebbe dovuto
render chiaro a tutti che Benedetto
XVI è determinato ad affrontare il
problema degli abusi sessuali e del
malgoverno episcopale nei termini
più severi. Ma questi inequivocabili
segnali sono passati inosservati agli
occhi di coloro che sono ossessionati
dal fatto che il Papa avesse finalmente
chiesto “scusa” per qualcosa
(come se Giovanni Paolo II non avesse
passato almeno quindici anni a
“ripulire la coscienza storica della
chiesa”, come ha detto lui stesso).
C’è stata poi la lettera del 25 marzo,
firmata dai vertici dei Legionari
di Cristo e indirizzata ai sacerdoti, ai
seminaristi e ai membri del Regnum
Christi, il movimento affiliato a questo
ordine. Nella lettera si rinnega il
fondatore della Legione, padre Marcial
Maciel, come modello cui ispirarsi
a causa delle recenti rivelazioni
sul fatto che Maciel aveva ingannato
papi, vescovi, laici e i suoi stessi
confrattelli vivendo una nefasta
doppia vita, nel corso della quale ha
messo al mondo diversi figli, ha abusato
sessualmente dei seminaristi,
ha violato il sacramento della penitenza
e si è appropriato illegamente
di vari fondi. E’ stato il cardinale Joseph
Ratzinger, al tempo prefetto
della congregazione per la Dottrina
della fede, a volere tutta la verità su
Maciel; ed è stato il papa Benedetto
XVI a mettere Maciel a una sorta di
arresti domiciliari ecclesiastici per i
suoi ultimi anni di vita e a ordinare
una missione di controllo alla Legione
di Cristo attualmente in corso
di conclusione: queste non sono certo
le azioni di un uomo al centro di
una cospirazione che cerca di insabbiare
ogni cosa.
Sebbene sia stato ben più rapido
e deciso del solito nella sua risposta
alle irresponsabili illazioni dei media
e agli attacchi subiti, il Vaticano
potrebbe fare ancora di più. Una
documentata cronologia del modo
in cui l’arcidiocesi di Monaco e Frisinga
ha affrontato il caso di un prete
colpevole di abusi che era stato
portato a Monaco per essere sottoposto
a terapia nel periodo in cui
Ratzinger ne era arcivescovo sarebbe
estremamente utile per ribadire
l’affermazione, fatta tanto dal Vaticano
quanto dall’arcidiocesi tedesca,
che Ratzinger non ha consapevolmente
riassegnato un ben noto
molestatore al lavoro pastorale –
un’altra accusa sul quale il New
York Times e altri si sono gettati a
capofitto. Altrettanto utili sarebbero
spiegazioni più frequenti e dettagliate
di come le procedure messe
in opera ormai parecchi anni fa dalla
congregazione per la Dottrina
della fede abbiano accelerato, e non
ostacolato, la punizione dei religiosi
colpevoli di abusi.
Lo stesso varrebbe, naturalmente,
per la semplice onestà dei media internazionali.
Non sembra però che
la si possa avere dai giornalisti e redattori
del New York Times, che
hanno abbandonato ogni pretesa di
rispetto verso i più elementari standard
giornalistici. Ma ciò non dovrebbe
impedire ad altri organi di
informazione di comprendere che il
Times ha pubblicato sulla chiesa
notizie estremamente distorte e di
smascherarle come tali.
(traduzione di Aldo Piccato)
© Copyright Il Foglio 2 aprile 2010