DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il teologo Cottier contesta Fackenheim e sostiene che Dio non resterà muto

di George Cottier
Non mi riferisco direttamente all’opera
di Fackenheim ma alla
presentazione che ne dà Riccardo De
Benedetti.
Una prima difficoltà è capire il significato
di ontologico applicato all’evento
della Shoah. Probabilmente
vuol esprimere non soltanto l’unicità
della Shoah ma la sua funzione di
principio strutturante la storia, di
punto di riferimento per tutti gli altri
avvenimenti. Ne riceve una posizione
trascendente.
E’ probabile che l’affermazione abbia
anche il senso di denuncia critica
delle grandi filosofie razionaliste, come
quella di Hegel, che relativizzano
l’evento, e specialmente l’evento carico
di male, facendone un momento
dello sviluppo della storia come processo
razionale e necessario. Tale critica,
se questo è il caso, era già stata
formulata da Kierkegaard. Davanti alla
mostruosità della Shoah, le spiegazioni
razionalistiche sono totalmente
inadeguate e derisorie.
Infine, positivamente, l’aggettivo
ontologico vorrebbe sottolineare che
si tratta, con la Shoah, di un male assoluto,
faccendone una specie di entità.
Ma così si profila all’orizzonte
l’ombra dell’antico dualismo. Infatti,
la Shoah ci mette a fronte di una dimensione
abissale del male. Spontaneamente
si pensa all’interrogazione
piena di ansia di Giobbe, la quale
sfocia su un atto di speranza eroico.
Ma tale non è la via scelta da
Fackenheim.
Il pensiero di Fackenheim è un’espressione
di spicco della “religione
della Shoah” così chiamata e analizzata
da Alain Besançon. La tragedia
della Shoah che ha colpito il popolo
ebraico e che ha ferito in maniera incancellabile
la sua memoria, è unica,
a tal punto che il paragone con altre
tragedie è rigettato come una blasfemia.
“Nell’abisso che si spalanca
manca Dio”: non si tratta di un silenzio
temporaneo, ma di un fatto dato
come irreversibile. Per i cristiani come
per gli ebrei fedeli alla religione
dei loro padri, la Shoah è unica, perché
il popolo che colpisce è il popolo
eletto da Dio. In questo senso, il crimine
contro questo popolo è simultaneamente
un crimine contro il Dio
dell’Alleanza. La “religione della
Shoah” fa dell’esperienza del silenzio
di Dio vissuta da tante vittime innocenti
una categoria metafisica. La
relazione a Dio diviene estranea alla
definizione dell’unicità dell’evento.
Rimane soltanto “la fedeltà a se stesso
del popolo ebraico”.
Davanti a questa secolarizzazione
radicale, non possiamo non porre la
domanda patetica: qual è il fondamento
di questa fedeltà, se non c’è
più la fedeltà di e al Dio dell’Alleanza?
E’ necessario a questo punto ricordare
da quale ideologia i persecutori
e gli assassini del popolo ebraico
hanno tratto la loro ispirazione. Il dio
del nazismo, immanente alla natura e
alle sue forze irrazionali, è un dio pagano,
un idolo, che non poteva non
combattere il Dio della rivelazione.
Dalle profondità tenebrose della natura
divinizzata e delle sue energie
biologiche, proviene la divisione dell’umanità
in razza superiore e razze
inferiori, schiavi o razze non degne di
sopravvivere. L’affermazione della
razza superiore, grazie alla forza, della
sua superiorità, equivale ad una
elezione. La razza superiore è la razza
eletta. La guerra di conquista è per
lei un diritto, diritto di essere fedele
a questa elezione. L’eliminazione del
popolo dell’Alleanza considerato come
un concorrente, è un corollario di
questa mostruosa pazzia. Così l’ideologia
nazista rappresenta una parodia
satanica dell’elezione divina del popolo
ebraico.
Pio XI, dichiarando che noi cristiani
siamo spiritualmente dei semiti e
pubblicando l’enciclica “Mit brennender
Sorge” (redatta dal futuro Pio
XII) aveva denunciato una impostura
che offendeva la santità di Dio stesso.
Che dei cristiani abbiano utilizzato
il simbolo della croce come se fosse
la giustificazione della persecuzione
degli ebrei è uno scandalo per la quale
la chiesa domanda perdono. Ma
per la fede cristiana la croce è lo strumento
che l’amore di Dio ha scelto
per la nostra redenzione. L’articolo
tocca un tema centrale, oggetto di un
malinteso dolorosissimo fra ebrei e
cristiani. Lo fa nella logica della “re-
ligione della Shoah”.
Se la Shoah, come l’interpreta
Fackenheim, è il centro della storia,
questo significa che si sostituisce a
Cristo. Ma come, se Dio ne è assente,
tale evento può avere un valore redentore?
O non c’è redenzione o la redenzione
diviene l’autoredenzione
dell’uomo, della quale Dio è stato
espulso. Siamo nella logica dell’umanesimo
ateo. Per Fackenheim, leggiamo,
“Hegel è il pensatore cristocentrico
per eccellenza”. Ma Hegel rappresenta
in realtà una gnosi cristologica,
nella quale la fede in Cristo non
può riconoscersi.
La redenzione è oggetto di fede.
Per i cristiani, il suo fondamento è la
persona stessa di Cristo, che per il
dono di sé ha offerto all’umanità la liberazione
dal peccato. L’opera della
nostra redenzione si sviluppa nel
tempo della storia, nella lotta spirituale
contro le forze del peccato, prima
nel nostro cuore ma anche nel
mondo. La vittoria definitiva sul male
non sarà data all’interno della storia
presente, ma al di là.
“Cristo è risorto dai morti primizia
di coloro che sono morti”, scrive Paolo
ai Corinzi (1 Corinzi 15, 20), precisando
che se la nostra speranza in
Cristo fosse soltanto per questa vita,
siamo da commiserare più di tutti gli
uomini. Non abbiamo quaggiù una
città stabile, ma siamo pellegrini in
cerca della città futura. Lassù tutto
sarà rivelato e vedremo come l’amore
di Dio ha sconfitto ogni male.
Il domenicano George Cottier
è cardinale, teologo emerito
della Casa pontificia

© Copyright Il Foglio 3 aprile 2010