DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Impero romano e "laicità" La strategia di Cesarea

Pubblichiamo brevi stralci di due studi dedicati alla memoria del celebre giurista Gabrio Lombardi tratti dal volume Laicità tra diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca (Roma, "L'Erma" di Bretschneider, 2009, pagine 236).

di Pierangelo Catalano

Il sistema romano antico, sia precristiano sia cristiano, non conosce l'"isolamento" del diritto rispetto alla morale o alla religione, che caratterizza le società contemporanee. Fas, ius, mos sono concetti che, usando distinzioni odierne, dovremmo dire, al tempo stesso e indifferentemente, "religiosi" e "giuridici" e "morali". Sarebbe errato distinguere sacerdotia e magistratus, sacerdotium e imperium usando la contrapposizione odierna tra "religione" e "politica".
Peraltro, sacerdozi e magistrature sono nettamente distinti, almeno fin dall'inizio della libera repubblica, per il diverso fondamento del potere: divino per i primi, popolare per le seconde. La religio non consentiva un vero suffragio popolare per la scelta dei sacerdoti, come chiarisce ancora Cicerone nell'orazione De lege agraria; né era concepibile una inauguratio dei magistrati.
Tale distinzione sta alla base del regime repubblicano, che comporta la precisazione della figura del rex sacrorum quale primo dei sacerdoti.
Tale distinzione spiega la coincidenza della sistematica che è nel De legibus di Cicerone con la tripartizione del diritto pubblico nelle Institutiones di Ulpiano: tripartizione che permane nella codificazione di Giustiniano.
La cristianizzazione comporta una certa "separazione" tra i due poteri: non più le medesime persone presiedono alla religione e al governo della res publica (secondo una linea del tutto diversa da quella antica espressa da Cicerone, De domo, 1, 1). Il rapporto tra imperatore e sacerdotia viene così innovato: si pensi in particolare al pontificato massimo, al quale l'imperatore Graziano rinuncia probabilmente già nel 379.
Veniamo al concetto di populus. Diversamente dal concetto di urbs (al quale è essenziale il riferimento all'assenso divino manifestato attraverso l' inauguratio) il concetto di populus non contiene un riferimento agli dei. La definizione di Cicerone nel De republica è chiara (coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus): i fattori unificanti, che fanno di una moltitudine un populus, sono il consenso giuridico e la "comunione" di utilità. Possiamo dunque dire che il concetto di populus Romanus esclude ogni discriminazione di lingua, di razza, di religione.
Tale "laicità" del concetto di populus spiega nozioni oggi difficili da intendere: quella di auspicia populi; quella di sacerdotes publici populi Romani, i cui auspicia sono "privati", appunto perché non derivano dal popolo; quella di sacra popularia, così denominati perché sono fatti da tutti i cittadini (quae omnes cives faciunt, come spiega Labeone). Tra i sacra popularia sta proprio la nostra festa del Natale di Roma (Parilia). Il cittadino è una "parte" del populus, e il popolo è una res di cui i cives sono partes: così per il giurista Alfeno Varo, ripreso nella codificazione di Giustiniano i (analogamente il populus è un corpus secondo il filosofo Seneca).
Pertanto stranieri e servi possono diventare cittadini senza differenze di lingua, di razza, di religione. Dall'istituzione dell'Asylum di Romolo in Campidoglio fino alla costituzione dell'imperatore africano Antonino Caracalla e oltre, la civitas è in crescita permanente (civitas augescens è concetto giuridico): fino a che Giustiniano I elimina dal diritto romano il concetto di "straniero".
Il principio della civitas augescens spiega come il giudeo Paolo potesse essere civis Romanus fin dalla nascita (Atti degli Apostoli, 22, 27-28); spiega come poi, secondo le costituzioni degli imperatori cristiani, non venisse meno la cittadinanza romana dei giudei e dei gentili.
È grave errore storico e giuridico identificare i concetti di "romano" e di "cristiano" (ortodosso, cattolico), anche se sarebbe errato negare, per la "rivoluzione" costantiniana, la continuità dell'impero ecumenico romano e cristiano. È principio di diritto delle genti, cioè comune a tutti gli uomini e quindi parte dello ius Romanum, quello della religio verso Dio. L'imperatore cristiano Giustiniano lo trae dal pensiero di un giurista del ii secolo, Pomponio.
Al concetto di ius humanum già aveva fatto ricorso Tertulliano, esperto di diritto, al fine di rifiutare ogni coazione in materia religiosa e affermare il valore dei sacrifici offerti dai cristiani per la salus dell'imperatore e di tutto l'impero.
Gli elementi sopraindicati, sintetizzati nei concetti di sacerdotia e magistratus, populus, civis, ius gentium, contribuiscono a dare un profondo carattere "popolare" (anacronisticamente, e preferendo il termine di radice greca, potremmo dire "laico") all'antica Romana religio. Questo carattere, a mio avviso, rende possibile quella che La Pira ha chiamato la "strategia romana" di Cristo, di Pietro, di Paolo e in generale degli Apostoli.
Lasciamo pur da parte, ora, i ruoli dei cittadini romani nei Vangeli; ma senza dimenticare quella che il La Pira ha chiamato la "scelta di Cesarea" fatta da Cristo (Matteo, 16, 17-19) e le sue conseguenze storiche: "Già san Pietro stesso (col Battesimo della famiglia romana del Centurione, avvenuto nell'altra città romana di Palestina, Cesarea marittima) (cfr. Atti, 10) muove verso la Cesarea marittima, la soglia di Roma! Non a caso Cristo ha scelto un cittadino romano per aiutare Pietro a guadagnargli il centro del mondo".
Ancora una breve riflessione sul "secondo viaggio" di Paolo (Atti degli Apostoli, 15, 36-18, 22). A Filippi, città di cittadini romani, il cittadino romano Paolo usa il diritto romano confrontandosi con altri cittadini e con magistrati e littori. Per la prima volta egli promuove così una comunità cristiana in Europa.
Quanto alla strategia globale del terzo viaggio di Paolo, che mira al Battesimo di Roma, sia consentito rinviare di nuovo a quanto ne ha scritto La Pira. Connesso alle riflessioni sull'impero romano è l'uso del concetto di "profeta laico". Scrive La Pira: "Ma Virgilio è, in certo senso, il profeta laico di quell'età augustea che è davvero unica ed esemplare nella storia intera del mondo: in essa, infatti, si attuò, con l'Incarnazione e la Nascita di Cristo, la pienezza dei tempi (san Paolo, Lettera ai galati), la pace ed in certo senso la giustizia (templum iustitiae) dei popoli di tutta la terra, toto orbe terrarum in pace composito".


(©L'Osservatore Romano - 24 aprile 2010)