DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Perpetua e il rifiuto di morire "in maschera"

di Paolo Siniscalco


Mi interessa in particolare porre le premesse per comprendere quali siano le radici della nozione di "laicità". Per giungere allo scopo ritengo sia utile scegliere uno specifico punto di vista storico: quello relativo al rapporto tra istituzioni politiche e cristianesimo o, per meglio precisare secondo la prospettiva che in questo caso è essenziale, tra impero romano e cristianesimo.
Occorre partire da alcuni passi del Nuovo Testamento per cogliere quale sia stato l'atteggiamento di Gesù e dei suoi discepoli di fronte al contesto politico e civile in cui si trovavano e quali comportamenti siano stati ispirati da quelle parole, spesso citate fin dall'antichità nel seno delle prime comunità cristiane.
Tra i passi significativi, un primo riguarda l'episodio del tributo, narrato da Marco (12, 13-17). Il dialogo, suscitato da alcuni farisei ed erodiani per mettere in difficoltà Gesù, si conclude con le espressioni ben note di Gesù stesso: "Date a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio". Altri passi dello stesso vangelo riguardano il processo dinanzi al Sinedrio e le parole che Gesù pronuncia ("E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo"; Marco, 14,62), il processo romano e il dialogo che egli sostiene con Pilato. Non meno importanti sono le espressioni contenute in altre parti del Nuovo Testamento, come quelle dell'epistola paolina ai Romani, ove è riconosciuta la legittimità del potere di Cesare ("Ognuno sia sottomesso alle autorità superiori"; 7, 1 e seguenti; "Siate sottomessi a ogni istituzione umana per il Signore, sia al re come sovrano, sia ai governatori come inviati da lui"; 3, 1 e seguenti). L'autorità umana infatti è stata data dall'alto e occorre rendergli il tributo, anche perché è al servizio di Dio per la condanna di chi opera il male (cfr. Romani, 13, 4).
Tuttavia l'autorità di Cesare è riconosciuta purché e finché rimanga nel suo ambito proprio di competenza e quindi non tenda ad arrogarsi i diritti di Dio. Si comprende dunque il duplice atteggiamento che un medesimo gruppo (o gruppi diversi) di cristiani assumono nel mondo antico di fronte all'ordinamento politico, cogliendo in esso un servizio reso a Dio, oppure individuandovi la bestia spaventosa di cui parla il libro veterotestamentario di Daniele (capitolo 7) o l'essere mostruoso con sette teste e dieci corna di cui dice il libro neotestamentario dell'Apocalisse (capitolo 17), ossia, secondo un'interpretazione diffusa, la potenza idolatrica della Roma imperiale.
È posto in ogni modo il principio della relativizzazione del potere temporale. Più ancora. Come osserva Gabrio Lombardi, su un punto i cristiani non possono transigere: la distinzione tra una sfera religiosa, per poter dare a Dio quello che è di Dio, e una sfera giuridico-istituzionale, entro la quale "dare a Cesare quello che è di Cesare". "In un mondo da sempre permeato di commistione, i cristiani chiedono la distinzione; affermano l'esigenza di un "dominio riservato" sottratto all'ingerenza di Cesare. E in tale dominio riservato che si radica la libertà religiosa, initium libertatis dell'uomo moderno".
Ne consegue l'affermazione della coscienza individuale impegnata a discernere l'ambito che è a servizio della comunità, nel quale è necessaria l'obbedienza, e l'ambito che costituisce idolatria e violenza di un potere ingiusto, a cui bisogna resistere. Un esito questo a cui conduce necessariamente la distinzione (non la separazione) tra le due sfere.
Non vi è dubbio che storicamente i primi secoli della nostra era rappresentino il periodo in cui si manifestano e prendono corpo la libertà religiosa e la libertà di coscienza. Esse sono affermate con piena consapevolezza e con insistenza proprio dai cristiani.
All'inizio del iii secolo Tertulliano, nell'Ad Scapulam (capitolo 2), aveva affermato che per ciascuno è di diritto e di potestà naturale, humani iuris et naturalis potestatis, praticare il culto secondo quanto crede, né ad alcuno è di ostacolo o di beneficio la religione di un altro. E neppure compete alla religione di obbligare ad abbracciare una fede, che deve essere fatta propria spontaneamente. Con queste espressioni, in maniera definitiva, si precisa che la libertà religiosa è un diritto umano e una potestà naturale, che appartiene a ogni uomo in quanto tale e non ha bisogno di essere concessa dall'ordinamento giuridico. Il riconoscimento formale della cosiddetta libertà religiosa è in certo senso un di più che è richiesto spesso dalla situazione storica e che molti secoli più tardi diventerà necessario dinanzi al mito dello Stato, creatore unico del diritto (inteso questo in senso oggettivo di "ordinamento giuridico") e quindi creatore dei diritti soggettivi di ciascun individuo.
In un altro documento antico, ricordato in un'altra pagina dell'opera di Lombardi, la Passio Perpetuae et Felicitatis, si legge un'espressione di grande chiarezza sul tema. Alcuni cristiani, tra i quali Perpetua, condannati a morire nell'anfiteatro, giunti alla porta dell'arena sono forzati a vestire costumi di divinità pagane. Perpetua resiste a quest'imposizione e dice: "Siamo venuti qui volontariamente per difendere la nostra vita e per non dover fare una cosa simile; questo abbiamo pattuito con voi". I responsabili acconsentono a che tutti entrino vestiti come sono, ideo ad hoc sponte pervenimus, ne libertas nostra obduceretur.
Il significato dell'episodio sembra andare al di là dello stesso "dominio riservato", che il cristiano rivendica di fronte a Cesare. Per Perpetua e i suoi compagni la libertà è libertà dal peccato acquisita dal sacrificio di Cristo. Ogni atto di idolatria sarebbe un modo di offuscare quella libertà. Così l'accento è posto più sul significato liberatorio della redenzione che non sul motivo della libertà in se stessa; in altre parole "il rispetto del dominio riservato della persona dinanzi a un'autorità che esige la disponibilità all'obbedienza nei confronti di un potere totalizzante non è altro che l'aspetto esteriore (ma irrinunciabile) di una libertà più profonda e onnicomprensiva" scrive Lombardi. In questa prospettiva si comprende la ragione delle persecuzioni e il significato del martirio dei perseguitati. Il cristianesimo fa prendere consapevolezza di una realtà: "Quella dell'individuo che si riconosce persona dotata di un'autonomia e di un valore che precedono, in certo senso, la sua appartenenza alla strutturazione giuridica dello Stato". Preferirei dire, per il periodo di cui ci si occupa, della res publica. "Discende, per necessità logica, che nessuna autorità tendenzialmente desiderosa di una disponibilità all'obbedienza assoluta e totale da parte dei sudditi, può consentire la libertà religiosa".


(©L'Osservatore Romano - 24 aprile 2010)