DOMENICO DELLE FOGLIE
S e qualcuno aveva ancora dei dubbi, il rapporto Cisf (Centro internazionale studi famiglia) del 2009 li ha definitivamente spazzati via: le famiglie italiane con figli, sia pure per pochi punti percentuali, sono in Italia una minoranza tra i nuclei anagraficamente definiti. Una minoranza sterminata, ma pur sempre una minoranza.
Ecco le cifre fornite dal rapporto: la popolazione italiana è composta da famiglie anagrafiche di cui ben il 53,4% non ha figli. Quelle con figli sono il restante 46,6% del totale. Una minoranza fatta di grandi numeri (perché è la maggioranza della popolazione totale), ma basta analizzare meglio le cifre per scoprire che il 21,9% di questi nuclei ha un solo figlio e che il 19,5% ne ha due. Le famiglie con tre figli sono appena il 4,4% e per trovare gli eroi civili con quattro e più figli bisogna andare a scavare in un esile 0,7%.
Lasciamo ai sociologi la spiegazione di questa stratificazione sociale che fa dell’Italia il fanalino di coda per la natalità in Europa, così come uno dei Paesi condannati a un processo irreversibile di invecchiamento i cui effetti si vedranno tangibilmente nei prossimi venti anni. Tutto ciò metterà a rischio la tenuta del sistema, la nostra stessa competitività sui mercati internazionali e renderà sempre più inadeguate le attuali politiche socioassistenziali.
Qui vogliamo ragionare di politica e, se possibile, non in politichese. A cominciare da una considerazione: ogni minoranza degna di questo nome, deve innanzitutto essere consapevole della propria condizione. È questa la premessa necessaria per un’adeguata azione politica capace di cambiare il corso delle cose. È appena il caso di osservare che se le politiche per la famiglia con figli non sono incisive (passateci l’eufemismo) è proprio il risultato di questa mancanza di coscienza 'politica'. Una minoranza del 46,6% – parliamo sempre di nuclei non di individui – potrebbe (e dovrebbe) cambiare il corso della politica e condizionarne in maniera decisiva le scelte. Basti pensare al solo strumento del quoziente familiare o comunque a meccanismi fiscali effettivamente perequativi, come la leva delle deduzioni e delle detrazioni, per capire quanto potrebbe pesare nel dibattito pubblico un diverso protagonismo delle famiglie.
È indiscutibile che in questa direzione, in Italia, si sia mosso con efficacia e preveggenza solo il Forum delle associazioni familiari, costretto talvolta persino ad alzare la voce perché i palazzi della politica, ma anche i sindacati, si mettessero in ascolto. La società italiana non sembra aver colto la grande novità che il Forum rappresenta nello spazio pubblico, con la sua capacità di 'fare lobby' al di sopra e al di fuori delle logiche di schieramento, così come di interloquire disinteressatamente in nome di quella imponente minoranza silenziosa costituita dalle famiglie.
Sulle spalle di questa enorme minoranza – sarà bene ricordarlo – è stato caricato tutto il peso del ricambio generazionale, fattore non secondario per il benessere presente e futuro di tutti noi. Già questa consapevolezza dovrebbe dare forza al protagonismo 'politico' delle famiglie e alla loro capacità di interlocuzione. Se lo Stato e le sue classi dirigenti hanno consentito e incoraggiato, con le loro politiche di fatto antinataliste e con le loro scelte cultural-valoriali di segno individualista, una prospettiva di famiglia (quella anagrafica) senza figli, oggi vanno messi dinanzi alle loro responsabilità. Certo, non possono addossare alcuna colpa a chi continua a desiderare e ad accettare i figli, anche a costo di un sacrificio economico che spinge verso la soglia della povertà. Ecco perché la politica merita di essere messa, da questa minoranza sterminata (la più numerosa che si conti nel Paese), con le spalle al muro. O con noi e con i nostri figli, oppure senza di noi. E in tal caso, sì che sarebbero guai seri per tutti.
© Copyright Avvenire 1 aprile 2010