ESSERE PRETI OGGI: IL CARDINALE SCOLA COMMMENTA IL LIBRO "PADRE" DI MONS. CAMISASCA
FIGLI DELL’AMORE
L’amicizia e la paternità spirituale sono l’antidoto alla crisi delle vocazioni. E allo scandalo della pedofilia
Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa? È questa la domanda "forte" che fa da sottotitolo al libro Padre (San Paolo, 222 pagine, 16 euro) di monsignor Massimo Camisasca, fondatore della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo di Roma, istituto che quest’anno festeggia i suoi 25 anni di vita. La risposta che l’autore tenta di dare può essere già intuita nell’immagine di copertina: monsignor Camisasca e un suo sacerdote, don Jonah Lynch, indicano con il braccio teso lo stesso punto, guardano alla stessa meta. Paternità e figliolanza. Il contrario di paternalismo e autoritarismo. Ecco la risposta: aiutarsi reciprocamente a guardare nella stessa direzione. Così se i freddi "dati" numerici sulla crisi delle vocazioni sacerdotali in Italia sono preoccupanti (negli ultimi trent’anni i sacerdoti diocesani sono diminuiti del 25 per cento, quelli religiosi del 40 per cento), la speranza nasce dall’esperienza che don Massimo ha fatto in questi 25 anni di direzione spirituale e che, come un buon allenatore sportivo, riversa in queste pagine, tracciando l’elenco dei "fondamentali". Un progetto di vita che può interessare tutti, anche il laico cristiano. E che si presenta quasi come il manifesto di una piccola, ma concreta, riforma della vita sacerdotale. Partendo dalla persona, dalle sue esigenze, domande, necessità. |
Il libro Padre di monsignor Massimo Camisasca è stato presentato a Roma all’Istituto Agostinianum dal patriarca di Venezia Angelo Scola, al quale abbiamo rivolto alcune domande sui temi caldi affrontati dall’autore.
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Monsignor Scola, cosa la colpisce di questo breve ma incisivo programma di riforma della vita sacerdotale?
«Ciò che colpisce e convince di più, man mano che ci si inoltra nella lettura di queste pagine, è la loro natura di testimonianza personale intesa come metodo di conoscenza e di comunicazione. Privilegiando, per parlare del sacerdozio, la strada della testimonianza, don Massimo ha scelto la via più persuasiva, accessibile a tutti, e ha saputo sgombrare fin dall’inizio il terreno da sterili polemiche. Il dono-mistero, per usare un’efficace espressione di Giovanni Paolo II, della vocazione sacerdotale brilla nelle sue pagine come il fattore unificante di una maturità umana immancabilmente feconda. Del resto, se ci pensiamo, tutti noi abbiamo conosciuto il sacerdozio attraverso la strada maestra dei testimoni».
Angelo Scola, patriarca di Venezia (foto Ansa).
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Nel suo libro Camisasca parla del silenzio, della preghiera e dello studio come dell’Abc del prete, come l’ancora di salvezza della vita sacerdotale. Perché questi elementi sono così importanti?
«Il silenzio, la preghiera e lo studio affermano la permanente precedenza, nella nostra vita, del mistero di Dio. Non sono altro che lo spazio dell’ascolto di Colui che ci ama per primo: non solo che ci ha amato per primo, ma che ci ama ora e sempre per primo! Un prete che non sia sempre più consapevole e grato di questo, finirà per smarrire la propria identità».
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Come può un sacerdote conciliare il tempo per Dio e il tempo per stare in mezzo agli uomini, nelle strade, negli ospedali, nella scuola e nelle carceri? Di quante ore dovrebbe essere fatta la vita di un prete, vista anche la scarsità di vocazioni?
«Siamo sicuri che si tratti di una questione davvero decisiva? Che sia soprattutto un problema di "organizzazione e distribuzione" del tempo per ottenere il "massimo di efficienza"? I problemi organizzativi ci sono sempre e si possono risolvere, non senza contraddizioni, stabilendo le priorità. La vera questione, a mio giudizio, è la "qualità del tempo". Mi spiego: il tempo del prete – come quello di ogni cristiano – è il tempo che il Signore gli concede per donare la vita. Non c’è un tempo per me e un tempo per gli altri. Se non la doni in ogni istante, la vita te la ruba inesorabilmente proprio il tempo».
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Un ostacolo che oggi sembra gravoso per un giovane che pensi al sacerdozio è il celibato. Forse il problema è mal posto dal pensare comune. Ma che valore ha la verginità e perché la Chiesa cattolica di rito latino la ripropone per i suoi sacerdoti?
«A ben vedere non è la verginità a essere oggi oggetto di incomprensione: è l’esperienza dell’amore come tale. Si riflette poco sul fatto che l’uomo di oggi fatica non solo sul celibato, ma anche sul matrimonio indissolubile. Come mai? Forse perché non riesce a concepire la possibilità di un amore gratuito, che sia per sempre e fecondo. Il dono della vocazione verginale è quello di una sequela letterale di Gesù. La verginità dice "possesso nel distacco", per usare la geniale formula di don Giussani. E per questo è pienezza di amore, perché è il modo con cui Dio ci ama, che sarà di tutti in Paradiso».
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Nell’ultimo capitolo sulla missione Camisasca scrive: «Non c’è vita più affascinante di quella del sacerdote»: da chi si impara questo fascino?
«Il fascino della vita sacerdotale non si impara: si vede, si impone. Torniamo così all’inizio della nostra conversazione. Tutti noi custodiamo indelebilmente nella mente e nel cuore i volti di persone, preti e laici, che sono state presenze persuasive del disegno di Dio sulla nostra vita. Il loro fascino ci ha, per così dire, contagiato».
IL RUOLO DEL PADRE SPIRITUALE Il libro Padre esce in un momento particolare della vita della Chiesa, in cui Benedetto XVI scrive ai vescovi irlandesi in seguito allo scandalo dei preti pedofili. Abbiamo così chiesto all’autore di approfondire questo tema "caldo".
«I superiori dei seminari e i padri spirituali devono dedicare molto tempo a conoscere le persone loro affidate. Ogni persona è un universo e oggi, più che mai, occorre un lungo lavoro di ascolto per capire chi si ha di fronte, quali sono le ragioni reali o presunte di una vocazione. Tutto deve essere illuminato dalla grazia dello Spirito che ci permette di penetrare le pieghe nascoste dei cuori. Là dove si avvertono gravi problemi occorre avere il coraggio di dimettere le persone dal seminario. Sapendo che chi non può portare i propri problemi non potrà a maggior ragione farsi carico di quelli degli altri e diventerà un testimone negativo. Tutto questo mi porta a dire che ogni diocesi e ogni Istituto devono consacrare le persone migliori alla formazione sacerdotale. I vescovi e i superiori devono interessarsi direttamente, in prima persona di tutto ciò».
«Penso che la lettera del Papa alla Chiesa irlandese costituisca un punto di riferimento per tutte le Chiese. Non perché tutte vivano lo stesso dramma, ma perché tutte hanno bisogno di riforma, hanno bisogno di "pulizia"; oppure, per usare le parole del cardinale Ratzinger, hanno bisogno di una scuola di santità che è anche scuola di realismo e di felicità. Non si può essere veramente cristiani se non si perseguono le strade che ci avvicinano a Cristo: il silenzio, la preghiera, la conversione, la Confessione, l’Eucaristia, l’amicizia, l’obbedienza. Non si può essere di Cristo e del mondo. La santità ci rende umili, ci fa riconoscere i nostri peccati e ci fa chiedere aiuto, ci fa domandare perdono. Occorreva una scossa salutare per tutta la Chiesa e questa scossa è venuta dal Papa, da un uomo che mostra una grande serenità in un momento in cui la Chiesa è colpita dai peccati dei propri membri, ma anche da una imponente e sottile persecuzione segnata da molta ipocrisia». A.T. |
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