DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Mozione d'ordine. Contro il caos della modernità il filosofo Eric Voegelin riabilitò la cultura della trascendenza

di Simone Paliaga

Io risponderò al cielo ed esso risponderà
alla terra; la terra risponderà
con il grano, il vino nuovo e l’olio
e questi risponderanno a Izreel”
dice Osea; “In quei giorni non si dirà
più: i padri hanno mangiato uva acerba
e i denti dei figli si sono allegati”,
così Geremia. Immagini del futuro regno
di Dio e letteratura apocalittica,
certo, che però serbano in sé una forma
embrionale di quel fenomeno più
tardivo, che Eric Voegelin definirà
gnosi, conoscenza nel significato originario.
Ed è la conoscenza delle cose
“vere” a suscitare nei profeti la consapevolezza
del conflitto tra mondo
terreno e piano divino, una tensione
che alla lunga produrrà una serie di
tentativi per portare la scandalosa
realtà del mondo a conformarsi alle
esigenze del Regno.
Il mondo diventa così teatro della
realizzazione dei sogni degli uomini.
Sembra paradossale ma già per i profeti,
difensori del Decalogo dalle violazioni
umane, la realtà terrena è potenzialmente
lo spazio di attuazione
dei desideri degli uomini, delle loro
speranze e ambizioni. La volontà di
trasformare la realtà in qualcosa che
essa non è, diventa sublime nella convinzione
di trasformare l’ordine del
mondo e far vincere il disegno divino.
Ma il pericolo di imboccare vie sbagliate
è alle porte. Con la rivelazione
di Israele l’idea di introdurre nella
storia il regno di Dio, o meglio le aspirazioni
umane che essa custodisce, diventa
immaginabile.
E’ una svolta nella storia dello spirito
umano, una svolta che non rimane
confinata in un remoto passato ma
lascia tracce evidenti ancora oggi, nel
mondo che si spalanca davanti al nostro
sguardo.
Siamo poi così lontani dalle parole
dei profeti, una volta secolarizzate,
quando lo sviluppo della tecnica pare
aprire orizzonti impensabili, che trovavano
prima sbocco solo nella fantascienza
e negli slanci dell’immaginazione
più ardita? La possibilità di
“progettare” un figlio on demand con
le caratteristiche fisiche desiderate o
di vedere il proprio corpo plasmato
secondo le indicazioni fornite al chirurgo
plastico di turno non distano poi
così tanto dagli auspici partoriti nell’Ottavo
e Settimo secolo a. C. da Osea,
Geremia e Ezechiele. E qui e ora, doppiato
il primo decennio del XXI secolo,
siamo forse solo alla fine di un lungo
cammino, iniziato tanto tempo fa e
che esplode in maniera palese nelle
ideologie del Novecento.
Il comunismo, e prima ancora le
ideologie emancipatrici che irrompono
dall’Illuminismo in poi sul proscenio
della storia, hanno infiammato le
menti e acceso i cuori degli uomini
del secolo trascorso. Cosa sarebbero
questi movimenti se non delle religioni
politiche, che vogliono realizzare
sulla terra il regno di Dio, recando
con sé promesse di benessere, felicità,
pace e realizzazione per tutti. Cosa
sono se non la speranza di attuare
qui e adesso la profezia custodita nella
Tabula Smaragdina, trovata, si dice,
tra le mani di Ermete Trismegisto:
“Ciò che è in basso è come ciò che è
in alto, e ciò che è in alto è come ciò
che è in basso”? E cosa sarebbe la religione
dei consumi per cui tutto può
realizzarsi, purché secolarizzato e
senza riferimento alla trascendenza,
se non l’estrema e imprevedibile deriva
del movimento che prende le
mosse dai profeti dell’Antico Israele?
Il desiderio narcisistico di vedersi rispecchiati
nel mondo o ancor di più
l’impulso paranoide di far sì che il
mondo si adatti alla perfezione alla
nostra griglia interpretativa non sono
forse una conseguenza inattesa della
letteratura profetica?
Eric Voegelin, spentosi nel 1985,
prima che la Cortina di ferro franasse,
non ha avuto modo di assistere agli
sviluppi (ultimi?) di questa svolta iniziata
dai profeti, per ricostruire la
quale ha profuso gli sforzi di tutta una
vita e che ora, per la prima volta in
maniera integrale, viene pubblicata in
Italia. Si tratta di “Ordine e storia”, il
cui primo volume dedicato a “Israele
e la rivelazione” è stato ora proposto
da Vita e Pensiero (pp. 706, euro 35). Il
progetto di “Ordine e storia”, che non
trova altri riscontri nella produzione
filosofica dell seconda metà del Novecento,
abbraccia un arco di tempo di
quasi mezzo secolo: se i primi tre volumi
escono nel biennio che corre dal
1957 al 1958, la loro preparazione incomincia
ben prima, nella seconda metà
degli anni Quaranta. E prosegue instancabilmente
fino alla morte di Voegelin,
per concludersi con l’ultimo volume,
il quinto, intitolato “In Search
of Order”, che vede la luce, seppure
postumo, nel 1985.
Eric Voegelin nasce nel 1901 a Colonia
ma si trasferisce presto nella capitale
dell’Impero asburgico. I suoi
studi universitari si svolgono a Vienna,
quando la capitale è al centro di
uno spumeggiante clima culturale.
L’Austria, uscita sconfitta dalla Grande
guerra, non si sente esausta, né
pensa di incarnare l’infelice frase di
Clemenceau, per cui la terra degli
Asburgo non sarebbe che “ce qui reste”
del grande Impero. Il circolo di
Vienna e i neopositivisti logici, Wittgenstein,
la grande letteratura fin de
siècle e Joseph Roth, Stefan Zweig,
Karl Kraus, stanno dando il meglio di
sé. Negli anni universitari Voegelin
stringe amicizia con von Hayek, prima
di discutere la tesi di laurea con
Hans Kelsen, il maggiore teorico del
formalismo giuridico, e Othmar
Spann, uno dei rappresentanti dell’organicismo
comunitarista d’impostazione
cattolica. Insomma l’acqua
santa e il diavolo. La frequentazione
delle opere di Kelsen e lo studio di
Max Weber fanno maturare però in
Voegelin la consapevolezza che il diritto
da solo non permette la comprensione
dei fenomeni politici, non
riesce a leggerne la complessità a tutto
tondo e lascia nell’ombra soprattutto
il loro assoluto protagonista, l’uomo.
Da questa considerazione si tuffa
nello studio matto e disperatissimo di
tutti i classici del pensiero, rimanendo
particolarmente colpito dal fascino
di Platone che inizia a studiare attraverso
il filtro di due biografie che
escono dalla penna di aderenti al circolo
George-Kreis, Paul Friedländer
e Karl Hildebrandt, “e nel loro spirito
– scriverà nelle riflessioni autobiografiche
– proseguii i miei studi”. Resosi
conto che ciò non basta, intraprende
da autodidatta lo studio dell’ebraico
e del greco, e successivamente
del russo e addirittura del cinese.
Poi nel 1938 arriva l’Anschluss,
e il progetto di annessione dell’Austria
al Reich, che lo costringe a emigrare
negli Stati Uniti. Si guarda bene,
una volta oltreoceano, di raggiungere
la comunità degli emigrati tedeschi
e si rifugia in università appartate
dove poter continuare i suoi studi.
In Germania tornerà solo alla fine
della guerra per prendere la cattedra
un tempo presieduta da Max Weber, e
che mancava del titolare dal 1920, anno
della morte del sociologo.
Eric Voegelin è tra i più affascinanti
e complessi filosofi della politica
del Novecento. Le sue opere sono una
miniera a cui attingere. Seppure poco
fortunato in Italia, i suoi libri circolano
da parecchio tempo. Ad aprirgli le
porte della Penisola fu, oltre quarant’anni
fa, nel 1968, uno degli ultimi
pensatori di razza che abbiamo avuto:
Augusto Del Noce. Tocca a lui, per
conto dell’editore Borla, ospitare nella
sua collana “La nuova scienza politica”.
E di là a caduta, hanno cominciato
ad arrivare nuove traduzioni.
Rusconi, quando a capitanarla c’era
Alfredo Cattabiani, portava in libreria
“Il Mito del mondo nuovo” e il Mulino,
grazie a Nicola Matteucci, non esitò a
mandare in stampa una versione
abregé del secondo volume di “Ordine
e storia” e in particolare la parte dedicata
a Platone. Poi la grossa editoria
tace, ma Voegelin non scompare dal
panorama italiano. Giuffrè pubblica
in un solo volume il saggio sulle religioni
politiche e le sue riflessioni autobiografiche
e in tempi più recenti le
edizioni Medusa licenziano “Hitler e i
tedeschi”, “Razza. Storia di un’idea” e
“Che cos’è la storia?” Tutto questo
senza dimenticare l’instancabile lavoro
di Gian Franco Lami che non solo
ha pubblicato qualche anno fa un’“Introduzione
a Eric Voegelin”, ma quando
latitava l’attenzione editoriale sul
filosofo tedesco-americano non ha esitato
a proseguire il lavoro di traduzione
e scavo di parti di “Ordine e storia”.
Queste precisazioni bibliografiche,
dimenticate dai curatori della
prima edizione dell’opus magnum di
Voegelin, non minimizzano l’importanza
dell’impegno atteso da Vita e
Pensiero, che renderà disponibile nei
prossimi anni tutti e cinque i tomi.
“Ordine e storia” è un tentativo immane
di riabilitare la coscienza della
trascendenza. E’ una storia dello spirito,
non certo disincantata o disinteressata.
Questa intenzione lo allontana
da tentativi che sulle prime potrebbero
assomigliargli. Il cammino
svolto da “Ordine e storia” si differenzia
per esempio dal percorso compiuto
qualche anno prima sia da Oswald
Spengler sia da Arnold Toynbee. Voegelin
infatti non intende occuparsi
semplicemente dello sviluppo morfologico
delle civiltà, del loro processo
di trasformazione e dei meccanismi
attraverso i quali avviene la loro evoluzione.
L’impulso che ispira tanti anni
di ricerche lo porta a prendere in
esame non solo come le culture riescano
a dare senso alla complessità
dell’essere, a tenerne insieme in maniera
ordinata tutte le parti e a capire
come l’uomo riesca a farne esperienza.
Voegelin si impegna a comprendere
quali conseguenze possano
derivare all’uomo qualora qualche
parte dei molti volti dell’essere (Dio,
l’uomo, il mondo e la comunità) venga
esclusa dalla sua coscienza. E soprattutto
come questa dimenticanza si ripercuota
sulla sua esistenza che, platonicamente,
è “semplice” partecipazione
all’essere in tutte le sue forme.
Voegelin non è certo un filosofo engagé.
Ma ciò non lo distoglie dal compito
di assumersi delle responsabilità
nel mondo in cui vive. Come nella caverna
di Platone, colui che esce e si
risveglia dal torpore dell’oscurità intende
tornare nella grotta per aiutare
gli altri a liberarsi dalle ombre, così
il filosofo tedesco vuole rispondere al
disordine dei tempi moderni aiutando
gli uomini a recuperare la propria
integralità. Dimenticare il divino ed
entusiasmarsi all’idea che tutto ciò
che di bello e buono ci si immagina
per sé non tarderà a manifestarsi davanti
ai suoi occhi, sono il neo che rischia
di compromettere la vita dell’uomo.
Adottando una prospettiva
agostiniana la crisi del mondo moderno,
per Voegelin, non nasce da un errore
di conoscenza ma da uno smarrimento
spirituale.
Che la sua fatica non sia dettata da
semplice curiosità intellettuale e da
sforzo enciclopedico di stampo illuminista,
lo si capisce già dalla citazione
posta in esergo all’opera, e tratta dal
“De vera religione” di sant’Agostino:
“Nella considerazione di queste cose
non deve prevalere una curiosità vana
e superficiale, ma si deve salire di grado
in grado fino alle realtà immortali
e che sempre permangono”. Perché se
l’opus magnum di Voegelin si propone
di resistere al disordine dei tempi,
rintuzzando l’ossessione dell’immanenza
che pervade l’Europa e l’occidente
moderni, dall’altra prova a ricostituire
quella coscienza della trascendenza
che via via è andata smarrendosi.
Per Voegelin l’idea profetica di un
cambiamento nella struttura dell’essere,
che chiama “fede metastatica”,
sta alla radice della convinzione attuale
nella perfettibilità della società
e delle vite comuni, mediante il progresso
delle tecnica o quale risultato
di una rivoluzione politica. E da questi
primi vagiti, lungo un percorso che
si snoda attraverso il cristianesimo
eterodosso, il marcionismo, le eresie
gnostiche e Gioacchino da Fiore arriva
fino alle ideologie politiche della
modernità e alla religione dei consumi
e della perfettibilità umana grazie
ai guadagni della tecnica.
La fede metastatica è una delle
grandi fonti della gnosi contemporanea
e del disordine del mondo “e per
noi – scrive nell’introduzione – è questione
di vita o di morte comprendere
questo fenomeno e trovarvi dei rimedi
prima che ci distrugga”. Come aggiustare
questa situazione, ponendo
l’uomo nuovamente in grado di comprendere
l’esistenza di diversi piani
dell’essere? Secondo Voegelin, il primo
passo prende le mosse dalla ricerca
filosofica, uno dei “mezzi per creare
delle isole d’ordine nel disordine
di un’età”. Cominciando dall’umile
indagine filosofica l’uomo può permettersi
di inseguire nella storia
quella verità dell’ordine, che nel corso
dei secoli ha smarrito. Recuperare
i volti multiformi dell’essere, la coscienza
che l’umano è trasceso da altri
piani, sapere che le sue quattro dimensioni,
Dio, l’uomo, il mondo e la
società, sono diverse e non possono
confluire una nell’altra è il primo
passo per rompere quella bramosia
metastatica iniziata con la rivelazione
dei profeti e che ora trionfa con i pruriti
tecnologici.

© Copyright Il Foglio 10 aprile 2010