DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Paolo Flores d’Arcais, libertino oscurantista, proibisce ai preti di trattare il peccato

Perché Ratzinger e Wojtyla sono responsabili per
la peste pedofila”. Quando al posto del titolo si
emette già la sentenza, si comincia male. Anche se si
è abituati a impancarsi a giudici della ragione. L’evocazione
della “peste” getta da subito un puzzo d’irrazionale
fanatismo, di delirante fuoco purificatore. Fanatismo
e giacobinismo sono del resto i due profili del
medaglione di Paolo Flores d’Arcais. Il dossier messo
online sabato da MicroMega, dedicato al tema della
pedofilia nella chiesa e aperto da un lungo testo
del direttore, ha infatti più che altro l’aria di un atto
d’accusa da procura di provincia. C’è pure il pezzo di
satira grossier di Alessandro Robecchi: “Mutande in
ghisa per le visite in Vaticano: esaurite le misure per
bambini”. Ma è a tal punto urlata l’arringa di Fd’A,
che l’esercizio di satira sembra in realtà il suo. Si incappa
anche in un pezzo di Pino Nicotri che tira in
ballo il caso Orlandi, sostenendo che se la ragazza fosse
stata “vittima di abusi sessuali, l’obbligo dei preti…
era tenere la bocca cucita”. Ecco: ciò che scandalizza
Fd’A è proprio il segreto. E più al fondo, l’impossibilità
di accettare l’idea che un reato e un peccato
possano esistere come fatti diversi. Che esistano ordini
diversi, anche nelle leggi, dalla sua idea poliziesca
della legalità. La colpa dei due Papi sarebbe proprio
di non aver mai denunciato i pedofili “nell’unico modo
in cui si denuncia un crimine, perché sia fermato
e non possa essere reiterato: ai magistrati”.
Invece, c’è stata “copertura per anni (anzi decenni)
a migliaia di preti pedofili sparsi in tutto il mondo”.
Il punto di partenza della requisitoria è già la
condanna: l’estensione della responsabilità da personale
a collettiva, anche in assenza di evidenze (al tribunale
di MicroMega bastano “i giornali americani e
tedeschi”). Un principio di generalizzazione che sarebbe
suonato eccessivo persino in un tribunale del
popolo. Ma il nuovo brocardo della caccia alle streghe
condanna la “responsabilità diretta e personale
dei due Pontefici per tutti (in corsivo nel testo, ndr) i
delitti di pedofilia ecclesiastica che non sono stati
denunciati alle autorità civili, molti dei quali non sarebbero
mai stati perpetrati se casi precedenti fossero
stati denunciati e sanzionati nei tribunali statali”.
La base di tanta sicurezza giudiziaria? Qui sta il
bello. Il fondamento è proprio la “peste”. Ovvero il
fumus, il pregiudizio che rende impossibile a Fd’A
anche solo vedere i fatti. Ovvero che nella giurisdizione
interna e autonoma della chiesa possa esistere
l’obbligo di un “segreto pontificio” riguardo a quelli
che la chiesa chiama “crimina graviores”. Una cosa
che lo manda proprio ai pazzi, tanto che Fd’A si getta
in una descrizione del “segreto” come assistesse a
un rito sulfureo, iniziatico, e potenzialmente omicida.
Tanto che per lui diventa addirittura “una confessione”
ciò che invece è, a tutti gli effetti, una disposizione
procedurale tutt’altro che insabbiatrice: la lettera
firmata da Ratzinger nel 2001 “De Delictis Gravioribus”
laddove prevede che “ogni volta che l’ordinario
o il gerarca avesse notizia almeno verosimile di
un delitto riservato, dopo avere svolto un’indagine
preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina
della fede”. Né segreto, né nascondimento. Ma
Fd’A si scandalizza come un Dan Brown al suo primo
romanzo per “il minuzioso elenco delle persone che
‘hanno l’obbligo di custodire il segreto pontificio’”,
per le formule di giuramento come ‘Io…, toccando
con la mia mano i sacrosanti vangeli di Dio”. Per lui,
sono la prova provata di una criminosa “volontà di
non far sapere” che, immaginiamo, suona per Fd’A a
perverso corollario della “volontà di sapere” di foucaultiana
memoria. Quel che è incubo da romanzaccio
diventa per Fd’A “raccapricciante congiura del
silenzio”. Gli risulta inammissibile che queste norme
si trovino “all’interno di un ordinamento giuridico
proprio, che ha un’autonomia garantita, e non solo
nei paesi concordatari”, come ebbe modo di specificare
nel 2002 proprio l’attuale segretario di stato Tarcisio
Bertone.
C’è un’ulteriore punto che fa rabbrividire Fd’A. Ed
è che, anche nel caso di processo, la chiesa arrivi a
una pena “esclusivamente canonica”. Proprio non gli
garba che la chiesa si occupi “del peccato (in genere
con incredibile indulgenza)” tenendo “segreto e coperto
il reato”. Quello che lo fa star male è scritto
nell’inciso: “In genere con incredibile indulgenza”.
Sul perché di questa invincibile, post luterana idiosincrasia
per l’indulgenza, dice molto il saggio manzoniano
pubblicato in queste pagine. Il perché Fd’A
abbia così deragliato, nella sua arringa matta e disperatissima,
lo spiega proprio lui: “Torniamo perciò
al punto cruciale. Wojtyla e Ratzinger hanno preteso
e imposto che i crimini di pedofilia venissero trattati
solo come peccati, anziché come reati”. Questa sì
che è la confessione del questurino. E senza nemmeno
segreto pontificio.

Maurizio Crippa

© Copyright Il Foglio 14 aprile 2010