Varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani in Indonesia stanno manifestando – riferisce L’Osservatore Romano - la loro disapprovazione per la decisione della Corte Costituzionale di mantenere in vigore la legge sulla blasfemia del 1965. Nel passato, le organizzazioni, a nome delle minoranze, avevano chiesto di introdurre degli emendamenti al testo normativo, sottolineando la necessità di garantire la libertà religiosa. Infatti, in Indonesia, ma anche in altri Paesi, tra cui il Pakistan, la legge sulla blasfemia è spesso utilizzata come pretesto per colpire le minoranze musulmane che non si uniformano alla tradizione islamica, ma anche gli appartenenti alle altre religioni non riconosciute, considerati come eretici. Il Governo riconosce soltanto sei religioni, tra cui la cattolica. Tuttavia, anche se riconosciute, le sei religioni devono rispettare leggi o regolamenti ben precisi. Tra questi, il Revised Joint Ministerial Decree on the Construction of Houses of Worship, sulla costruzione di luoghi di culto; l'Overseas Aid to Religious Institutions in Indonesia, sulle donazioni all'estero e il Guidelines for the Propagation of Religion, che vieta il proselitismo nella maggior parte delle situazioni. L'organo costituzionale ha dunque rigettato l'istanza delle organizzazioni umanitarie, riaffermando la piena validità della normativa che “promuove l'armonia sociale”, necessaria in una nazione multiculturale come l'Indonesia, suscitando così l'entusiasmo dei gruppi religiosi legati alla tradizione islamica, alcuni rappresentanti dei quali hanno espresso la loro gioia per il verdetto gridando “Allah è grande” di fronte alla sede della Corte. La legge sulla blasfemia, fra l'altro, proibisce a chiunque di manifestare, in maniera pubblica e deliberata, sentimenti di odio e disprezzo contro le religioni e la pena comminata, in caso di violazione, prevede una massimo di cinque anni di carcere. Talvolta, come accennato, in maniera del tutto pretestuosa è in verità utilizzata per limitare il diritto alla libertà religiosa. La legge è stata utilizzata, per esempio, nel 2008 per spingere il governo a mettere al bando le attività pubbliche della setta musulmana “Ahmadiyah”, considerata eretica dai musulmani legati alla tradizione. Per questo, nel 2009, il gruppo “Alliance for Freedom of Religion”, sostenuto da Ong e leader del dialogo interreligioso, ha dato vita a una campagna per sensibilizzare il Governo sul problema, chiedendo appunto alcuni emendamenti alla legge sulla blasfemia. Dal governo si ribadisce, invece, che “l'islam è aperto a diverse interpretazioni, ma che non si possono toccare i punti fondamentali della fede e della dottrina”. In alcune aree del Paese, i gruppi fondamentalisti islamici stanno tentando di promuovere, in collaborazione con le autorità locali, una politica di chiusura nei confronti delle altre religioni. Nei giorni scorsi, le autorità della reggenza di Bogor, nel West Java, su pressione dei gruppi fondamentalisti, hanno imposto il blocco delle funzioni religiose, senza alcuna comunicazione preventiva, alla comunità dell'Indonesian Christian Church, per presunte irregolarità edilizie. L'iter per la costruzione di una chiesa cristiana nella regione è assai lungo e tormentato, proprio per la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici che, pur di fronte alle regolari autorizzazioni, lottano per far revocare i permessi. Dall'inizio di gennaio, sono almeno undici le chiese protestanti e cattoliche che hanno dovuto interrompere l'attività comunitaria. (R.G.)
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