Una delle conseguenze più inaspettate
della grande vittoria democratica e
capitalista nella Guerra fredda è stato il
successo di cui ha goduto la già screditata
sinistra trincerandosi nelle retrovie dopo
la disfatta subita in prima linea. La sinistra
economica di Stiglitz-Krugman, ricolma
di premi Nobel, come i suoi paladini
politici, da Jimmy Carter ad Al Gore e Barack
Obama, ha danzato fino allo sfinimento
su quelle che credeva essere le tombe
del thatcherismo e della reaganomics.
Il movimento dei verdi, che è stata una
confederazione bucolica e informale di
amanti delle foreste, di oppositori dei test
nucleari come Greenpeace e di simpatici
eccentrici con pedule ai piedi, caschetto
coloniale in testa, reti da farfalle in mano
e binocolo al collo, è diventato il baluardo
della sinistra. Come nel caso della guerriglia
comunista delle Farc colombiane, travolta
dalla piena di signori della guerra
armati, questi vecchi militanti in lotta per
aria e acqua pulite e per la protezione di
meravigliose farfalle sono stati travolti dai
sostenitori della deindustralizzazione, della
rinuncia all’automobile e di una determinazione
churchilliana di fronte
a un’incontrollata flatulenza bovina.
Gli autentici ambientalisti
sono stati una ridotta perfetta
per lo sconfitto esercito di
soldati scontenti, radicali e
ottusi che, come il malconcio
relitto della
Grande Armée di
Napoleone a Smolensk
nel 1812, si
sono tuffati in questo
incongruente
ecosistema politico.
Ora che i famigerati
“fatti scientifici”
di Al Gore si
sono dimostrati
null’altro che una
massa di escrementi
così fetidi da
poter danneggiare
anch’essi lo strato
di ozono, e che si è
provato che i livelli
dei mari e la temperatura
globale non si
stanno alzando, che i
ghiacciai non si stanno sciogliendo
e che in buona parte i
dati più allarmistici sono errati, la sinistra
si è messa a cercare un nuovo terreno
sul quale esercitare il proprio monopolio
sugli eventi e la loro interpretazione.
Sebbene le sue concezioni strategiche
ed economiche siano state smentite, la sinistra
del mercato sociale ha imparato
l’arte del camaleonte. Naturalmente l’Unione
Sovietica non era una vera minaccia,
e la vittoria ottenuta in un’inutile
Guerra fredda è stata soltanto una vittoria
di Pirro, del tutto illusoria. Il mondo accademico
ha accolto e protetto gli sconfitti e
malridotti guerrieri di questa sinistra e si
sono intonati appassionati requiem nelle
consuete cattedrali dei media di ispirazione
liberal. Ma probabilmente il più perentorio
Te Deum è stato suonato dalle organizzazioni
per i diritti umani. Human Rights
Watch è stata fondata dal celebre editore
e campione dei diritti Robert Bernstein,
ancora oggi molto attivo ma ormai
da lungo tempo fuori da questa organizzazione.
E quando la fanteria della sinistra è
stata messa in fuga, Human Rights Watch
è diventata una sorta
di clinica per i soldati
più traumatizzati,
che, assistiti dal balsamo
delle sovvenzioni
di George Soros,
l’hanno trasformata
in una delle tante istituzioni
anti-israeliane.
Human Rights Watch
(HRW) è stata
creata per contrapporsi
alla britannica
Amnesty International
(AI), e le è stata
data una veste di stile prettamente americano.
Mentre AI si fondava sul sostegno
economico di un’ampia base di membri,
HRW è sovvenzionata da un ristretto numero
di grandi finanziatori. Mentre AI
operava da uffici modesti ed esprimeva
proteste di basso profilo, HRW ha sede in
eleganti uffici di Manhattan e produce decine
di rapporti su carta patinata.
AI è sempre stata circondata da sospetti,
ed è stata guidata per molti anni dal dichiarato
terrorista del Sinn Fein e vincitore
del premio Lenin (nonché, naturalmente,
del premio Nobel) Seán MacBride. Le
opinioni di AI sono state oscurate dal suo
implicito assioma secondo cui si potevano
prendere provvedimenti apparentemente
ingiusti per favorire la sconfitta della ingiustizia
istituzionalizzata, cosa che può
essere vera, ma è anche il percorso tradizionale
per il totalitarismo e il terrorismo.
Così, quando la direttrice del programma
di AI per la parità sessuale, Gita Sahgal, si
è lamentata del fatto che Amnesty avesse
un atteggiamento compiacente verso l’islam
radicale, è stata sospesa, e HRW ha
gongolato di felicità. Salman Rushdie e altri
intellettuali hanno criticato il trattamento
riservato alla signora Sahgal.
Il campo di battaglia tra AI e HRW è
mutato, passando dalla difesa degli oppressi
a uno scontro spietato di ginnica
ipocrisia. Nel 2006 il responsabile per la
parità sessuale ha accusato l’avvocato per
i diritti britannici Peter Tatchell di “islamofobia,
razzismo e colonialismo” perché
aveva criticato l’esecuzione sommaria, in
Iran, di un vasto numero di omosessuali
per il solo fatto del loro orientamento sessuale.
Ma questa protesta, ha replicato
HRW, non era che un “luogo comune occidentale”
e non doveva interessare coloro
la cui raison d’être erano i diritti umani.
Quando Bernstein ha attaccato la sua vecchia
organizzazione accusandola di ignorare
le società repressive pur di colpire le
democrazie (soprattutto Israele), e i suoi
successori hanno replicato (sul New York
Times, naturalmente) che il fondatore stava
cercando di rendere le democrazie immuni
da ogni responsabilità, l’esperto militare
di HRW è esploso come fuoco d’artificio.
Marc Garlasco era già un personaggio
discusso per avere dichiarato che
Israele aveva ucciso 7 civili arabi a Gaza
nel 2006 ed avere poi ammesso, sul Jerusalem
Post, di essersi sbagliato (era Hamas
ad essere responsabile).
Allo Spiegel Garlasco ha raccontato
di avere ordinato,
nella guerra del 2003, in
qualità di funzionario civile
del Pentagono, un attacco
aereo su Bassora che
causò la morte di 17 civili.
A questa confessione
ne sono seguite molte
altre, nelle quali rivelava
di avere ordinato
almeno
cinquanta attacchi
aerei che avevano
causato la
morte di centinaia
di persone,
ma senza colpire
nessuno degli
obiettivi assegnati,
e che quest’esperienza
lo aveva spinto
a entrare in HRW.
Poi si è venuto a sapere
che Garlasco era un
collezionista di cimeli nazisti e
sul suo sito internet (con lo pseudonimo
di “Flak88”) si divertiva a dire che se i
suoi colleghi di HRW avessero scoperto
questa sua passione avrebbe “potuto perdere
il lavoro”. Scriveva su siti come
Wehrmacht-Awards.com, da cui è tratta
questa citazione: “La giacca di pelle delle
SS mi fa gelare il sangue: è fighissima”.
Per un po’ di tempo HRW ha amorevolmente
difeso Garlasco come un importante
collezionista, cercando di addossare la
colpa degli attacchi all’intolleranza degli
ebrei. Allo stesso tempo trovava una certa
difficoltà nel difendere se stessa dall’accusa
di avere organizzato cene per la raccolta
di finanziamenti in Arabia Saudita denunciando
Israele in termini graditi al governo
saudita, uno dei regimi più primitivi
del mondo sui diritti. Quando però un
blogger ha chiesto se la passione di Garlasco
per i cimeli nazisti fosse connessa con
l’israelofobia, HRW ha “sospeso” Garlasco,
pur garantendogli lo stipendio.
I media, che prima avevano un atteggiamento
di indulgenza, hanno rivelato che
uno dei più importanti
esperti di medio
oriente di HRW è
tra i fondatori della
pubblicazione internet
anti israeliana
“The Electronic Intifada”
e che il vicedirettore
del settore
operativo per il medio
oriente di HRW,
Joe Stork, è stato un
noto commentatore
anti israeliano, che
aveva approvato l’assassinio
degli atleti
israeliani a Monaco nel 1972. In questo
brodo che non risparmia nessuno, avrebbe
molto più senso che i leader del business
dei diritti umani, vista la loro animosità
contro Israele, diventassero l’obiettivo
delle organizzazioni per la cattura dei
nazisti, che si stanno ora dedicando alla ricerca
di persone come John Demjanjuk.
Inseguito per trent’anni, ma senza successo,
da Israele, e accusato di avere fatto il
guardiano a Treblinka, ora Demjanjuk, novantenne
disteso su una barella, è processato
dalla Germania con l’accusa di essere
stato guardiano a Sobibor. In Elie Wiesel e
nei suoi colleghi, Human Rights Watch e
Amnesty International troverebbero avversari
formidabili.
Conrad Black, storico canadese e giornalista,
membro della Camera dei Lord britannica. E’ stato
il terzo maggior magnate dei media al mondo.
Dal 2007 è detenuto nel carcere federale di Coleman,
in Florida, numero di matricola 18330424.
copyright The National Review
(traduzione di Aldo Piccato)
© Copyright Il Foglio 28 aprile 2010