Chiesa e Web. In vista del convegno Testimoni digitali, che si terrà a Roma la prossima settimana, parla Derrick De Kerckhove, massmediologo di fama internazionale, già collaboratore di Marshall McLuhan, attualmente docente all’Università Federico II di Napoli.
Professore, la Chiesa Cattolica ha sempre avuto un senso dello spazio molto forte. La sua struttura è fondata sulle diocesi, entità territoriali, e sulle parrocchie, entità locali. Andiamo verso una complementarietà tra il territorio e la spazialità del web? O la seconda prevarrà, in un certo senso, almeno nelle aree metropolitane, le più mobili e fluide?
«Credo sinceramente che la complementarietà tra materiale e virtuale, tra presenza e telepresenza sarà sempre necessaria e per tutte le dimensioni propriamente umane. Non sono d’accordo con la teoria dell’"angelismo", benché proposta da McLuhan, che prevedeva una smaterializzazione che ci avrebbe fatto tornare alla condizione dell’angelo, anima senza corpo. Non è vero e nemmeno possibile lasciare da parte il corpo. Nella grande confusione di media, di reti, di banche dati e di proiezioni che portano ovunque, la nostra identità e la nostra immagine – se non il nostro vero e proprio essere – sono legate al corpo, che resta il punto fondamentale di riferimento. Certo la relazione dell’uomo elettrificato con lo spazio è quasi divina – un essere al centro ovunque, senza periferia – però l’uomo non diviene puro spirito. Io vedo la spazialità del web come quella della mente. La Rete è un spazio mentale esteso, condiviso, immensamente potenziato, però ancorato al corpo. Precisamente, per contrasto con il punto di vista rinascimentale, chiamo "punto d’essere" questa sensazione unica della mia presenza nel mondo. Di immagini ce ne sono tante, ma il corpo resta uno. L’uso dello spazio dipende dall’uso del corpo».
Si parla spesso del web come di un fattore diseducativo: che induce a una fruizione mordi e fuggi dei contenuti, a un’attenzione sempre più mobile e poco allenata alla concentrazione e alla meditazione. Tuttavia col web milioni di persone sono entrate in una dimensione di lettura costante. Col web 2.0 milioni di persone hanno iniziato a scrivere quotidianamente… non si sta in realtà attuando un processo unico nella storia, se non di introspezione, di fruizione intellettuale di massa? E una fruizione intellettuale attiva, mentre con tv, cinema e radio rimaneva una fruizione in un certo senso passiva?
«Sono assolutamente d’accordo con questa osservazione, che va nel senso di un’evoluzione veramente cognitiva della Rete, al contrario delle banalità che si ripetono a proposito di Wikipedia, dell’ignoranza dei cosiddetti "nativi digitali" e così via. L’elettricità è nella sua fase digitale e reticolare, nella sua fase cognitiva, e la Rete è il suo sistema nervoso. Siamo entrati in un periodo intensamente cognitivo e personalizzato attraverso l’interazione multimediale. Ed è vero anche che scriviamo sempre di più. Ricordo con stupore la mia gelosia nei confronti di Voltaire quando studiavo la sua corrispondenza in 107 volumi di 350 pagine. Pensavo che mai avrei potuto scrivere tanto. Però vedo dalla mia scrivania che in meno di due anni ho già scritto più di 6 mila e-mail e ne ho lette più di 20 mila. L’alfabeto è morto? Viva l’alfabeto! Detto questo è vero che la Rete non invita la gente all’introspezione, al contrario incoraggia l’estrospezione: il profilo su Facebook potrebbe divenire per tanti più pertinente nel definire la propria identità che l’immagine che hanno di sé. L’identità si crea fuori dalla mente, sullo schermo. Non è più l’epoca del gnothi seauton, del "conosci te stesso" di Platone, ma quella del phani seauton, "mostra te stesso"!»
Lei ha parlato di «civiltà video-cristiana»: in che senso si può scorgere nella rivoluzione digitale, e del web in particolare, un’impronta cristiana?
«Ci sono tre fenomeni della Rete che mi hanno colpito da questo punto di vista: i siti di confessione pubblica, quelli delle "comunità di pena" e quelli dei cimiteri in Rete. Tutti e tre sono d’ispirazione cristiana, anche se i primi hanno avuto inizio in modo satirico per l’ostilità all’idea dell’assoluzione da parte di un prete – con Atm, the Automatic Confession Machine, dell’artista canadese Greg Garvey. Il suo sito ha però ispirato molte altre iniziative sulla Rete e ne è nato un fenomeno serio, con migliaia di siti di ogni tipo per "confessarsi". Come per il terzo fenomeno, quello dei cimiteri virtuali – sono ormai milioni – si tratta chiaramente del fascino di un rituale, non necessariamente legato alla fede cristiana. Il secondo fenomeno, invece, è profondamente spirituale e d’ispirazione veramente cristiana, ed è quello di usare la Rete per condividere malattie, angosce, problemi di famiglia o, come fanno tanti blog, riflettere su vari aspetti della fede. La Rete fa tornare la gente alla dimensione delle prime comunità, però a livello mondiale. È un opportunità per tutte le religioni. Anche se la Chiesa Cattolica sembra aspettare ancora il suo Papa della Rete, come Giovanni Paolo II è stato quello della televisione».
Tra le realtà generate dal web – social network, motori di ricerca, blog, VoIP, ecc.– qual è la più rivoluzionaria e di cui magari stiamo sottovalutando le potenzialità?
«Certamente il social networking non ha ancora finito di sorprenderci. Innovazioni come Twitter nascono dal nulla e cambiano i modi di condivisione personale quanto quelli di autodifesa sociale, politica (vedasi l’Iran) e commerciale. Wikipedia offre tutta la conoscenza del mondo con la partecipazione di tutto il mondo. YouTube mette a disposizione una penna elettronica per tutti e diviene il nuovo Argus, con tanti occhi. Il potere del digitale combinato a quello della rete è di tipo magico, con applicazioni stupende come la magia medievale (da cui il successo fenomenale dei film di Harry Potter). Però la più rivoluzionaria delle invenzioni del nostro tempo non è l’ultimo gadget presente sul web o altrove: è il telegrafo. La prima tecnologia che ha messo insieme la velocità della luce con la complessità del linguaggio umano. Il resto si è sviluppato secondo una logica di complessità».
Professore, la Chiesa Cattolica ha sempre avuto un senso dello spazio molto forte. La sua struttura è fondata sulle diocesi, entità territoriali, e sulle parrocchie, entità locali. Andiamo verso una complementarietà tra il territorio e la spazialità del web? O la seconda prevarrà, in un certo senso, almeno nelle aree metropolitane, le più mobili e fluide?
«Credo sinceramente che la complementarietà tra materiale e virtuale, tra presenza e telepresenza sarà sempre necessaria e per tutte le dimensioni propriamente umane. Non sono d’accordo con la teoria dell’"angelismo", benché proposta da McLuhan, che prevedeva una smaterializzazione che ci avrebbe fatto tornare alla condizione dell’angelo, anima senza corpo. Non è vero e nemmeno possibile lasciare da parte il corpo. Nella grande confusione di media, di reti, di banche dati e di proiezioni che portano ovunque, la nostra identità e la nostra immagine – se non il nostro vero e proprio essere – sono legate al corpo, che resta il punto fondamentale di riferimento. Certo la relazione dell’uomo elettrificato con lo spazio è quasi divina – un essere al centro ovunque, senza periferia – però l’uomo non diviene puro spirito. Io vedo la spazialità del web come quella della mente. La Rete è un spazio mentale esteso, condiviso, immensamente potenziato, però ancorato al corpo. Precisamente, per contrasto con il punto di vista rinascimentale, chiamo "punto d’essere" questa sensazione unica della mia presenza nel mondo. Di immagini ce ne sono tante, ma il corpo resta uno. L’uso dello spazio dipende dall’uso del corpo».
Si parla spesso del web come di un fattore diseducativo: che induce a una fruizione mordi e fuggi dei contenuti, a un’attenzione sempre più mobile e poco allenata alla concentrazione e alla meditazione. Tuttavia col web milioni di persone sono entrate in una dimensione di lettura costante. Col web 2.0 milioni di persone hanno iniziato a scrivere quotidianamente… non si sta in realtà attuando un processo unico nella storia, se non di introspezione, di fruizione intellettuale di massa? E una fruizione intellettuale attiva, mentre con tv, cinema e radio rimaneva una fruizione in un certo senso passiva?
«Sono assolutamente d’accordo con questa osservazione, che va nel senso di un’evoluzione veramente cognitiva della Rete, al contrario delle banalità che si ripetono a proposito di Wikipedia, dell’ignoranza dei cosiddetti "nativi digitali" e così via. L’elettricità è nella sua fase digitale e reticolare, nella sua fase cognitiva, e la Rete è il suo sistema nervoso. Siamo entrati in un periodo intensamente cognitivo e personalizzato attraverso l’interazione multimediale. Ed è vero anche che scriviamo sempre di più. Ricordo con stupore la mia gelosia nei confronti di Voltaire quando studiavo la sua corrispondenza in 107 volumi di 350 pagine. Pensavo che mai avrei potuto scrivere tanto. Però vedo dalla mia scrivania che in meno di due anni ho già scritto più di 6 mila e-mail e ne ho lette più di 20 mila. L’alfabeto è morto? Viva l’alfabeto! Detto questo è vero che la Rete non invita la gente all’introspezione, al contrario incoraggia l’estrospezione: il profilo su Facebook potrebbe divenire per tanti più pertinente nel definire la propria identità che l’immagine che hanno di sé. L’identità si crea fuori dalla mente, sullo schermo. Non è più l’epoca del gnothi seauton, del "conosci te stesso" di Platone, ma quella del phani seauton, "mostra te stesso"!»
Lei ha parlato di «civiltà video-cristiana»: in che senso si può scorgere nella rivoluzione digitale, e del web in particolare, un’impronta cristiana?
«Ci sono tre fenomeni della Rete che mi hanno colpito da questo punto di vista: i siti di confessione pubblica, quelli delle "comunità di pena" e quelli dei cimiteri in Rete. Tutti e tre sono d’ispirazione cristiana, anche se i primi hanno avuto inizio in modo satirico per l’ostilità all’idea dell’assoluzione da parte di un prete – con Atm, the Automatic Confession Machine, dell’artista canadese Greg Garvey. Il suo sito ha però ispirato molte altre iniziative sulla Rete e ne è nato un fenomeno serio, con migliaia di siti di ogni tipo per "confessarsi". Come per il terzo fenomeno, quello dei cimiteri virtuali – sono ormai milioni – si tratta chiaramente del fascino di un rituale, non necessariamente legato alla fede cristiana. Il secondo fenomeno, invece, è profondamente spirituale e d’ispirazione veramente cristiana, ed è quello di usare la Rete per condividere malattie, angosce, problemi di famiglia o, come fanno tanti blog, riflettere su vari aspetti della fede. La Rete fa tornare la gente alla dimensione delle prime comunità, però a livello mondiale. È un opportunità per tutte le religioni. Anche se la Chiesa Cattolica sembra aspettare ancora il suo Papa della Rete, come Giovanni Paolo II è stato quello della televisione».
Tra le realtà generate dal web – social network, motori di ricerca, blog, VoIP, ecc.– qual è la più rivoluzionaria e di cui magari stiamo sottovalutando le potenzialità?
«Certamente il social networking non ha ancora finito di sorprenderci. Innovazioni come Twitter nascono dal nulla e cambiano i modi di condivisione personale quanto quelli di autodifesa sociale, politica (vedasi l’Iran) e commerciale. Wikipedia offre tutta la conoscenza del mondo con la partecipazione di tutto il mondo. YouTube mette a disposizione una penna elettronica per tutti e diviene il nuovo Argus, con tanti occhi. Il potere del digitale combinato a quello della rete è di tipo magico, con applicazioni stupende come la magia medievale (da cui il successo fenomenale dei film di Harry Potter). Però la più rivoluzionaria delle invenzioni del nostro tempo non è l’ultimo gadget presente sul web o altrove: è il telegrafo. La prima tecnologia che ha messo insieme la velocità della luce con la complessità del linguaggio umano. Il resto si è sviluppato secondo una logica di complessità».
Andrea Galli
© Copyright Avvenire 21 aprile 2010
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