DA MILANO LUCIA BELLASPIGA
P er la terza e ultima volta la giustizia ha sentenziato: tutti innocenti, assolti perché il fatto non sussiste. E così dopo sette anni termina definitivamente il calvario di otto persone - sei maestre, un sacerdote e un bidello - accusati nel 2003 di abusi sessuali nei confronti di 23 bambini bresciani della scuola materna comunale 'Sorelli'. Questa volta è la Cassazione ad assolverli tutti, confermando quanto già avevano stabilito i giudici in primo grado e poi in secondo grado: «Innocenti ». Le violenze, le 'feste in maschera', le orge di gruppo cui le maestre avrebbero accompagnato i bambini per abusarne e videoriprenderli con la complicità di sacerdoti (all’inizio ben tre erano gli indagati) non sono mai avvenuti.
Tutto bene, quindi? Lieto fine e sospiro di sollievo? Sì, per i 23 bambini, la cui sorte stava a cuore all’intera cittadinanza e alla Chiesa bresciana, da sempre preoccupata per la salute dei piccoli oltre che per la giustizia nei confronti dei tanti accusati. Ma che dire delle due maestre (trent’anni di carriera appassionata) rimaste in carcere un anno in isolamento, poi agli arresti domiciliari? O del peso portato con serena dignità da don Stefano Bertoni, l’unico dei tre sacerdoti rimasto fino a ieri in attesa di giustizia dopo che la posizione degli al- tri due era stata quasi subito archiviata per manifesta innocenza? Come ci si può sentire quando una città si spacca tra innocentisti e colpevolisti, lacerata tra la paura del mostro e la difesa di sei maestre e un sacerdote attorno ai quali la gente si è stretta, mentre i giornali parlavano di 'asilo degli orrori' e 'preti alla gogna nella cattolica Brescia'? (l’associazione
Prometeo non aveva atteso il lavoro dei giudici e aveva subito concluso che 'il tutto va inquadrato tra gli abusi ritualistici di stampo satanico, gli elementi ci sono tutti: escrementi, torture, croci, religiosi deviati'...).
Ma soprattutto come si arriva a una valanga del genere, basata sul nulla eppure in grado di crescere e stritolare le vite di otto persone ingiustamente accusate e 23 famiglie - quelle dei bambini - gettate nell’angoscia? La risposta era già scritta nelle 538 pagine con cui i giudici di primo grado nel 2006 motivavano l’assoluzione degli imputati, parlando di «colonizzazione mentale» dei genitori dei bambini, che «si erano di fatto sostituiti agli organi inquirenti». Lo aveva spiegato bene ad Avvenire Guglielmo Gulotta, docente di Psicologia giuridica all’università di Torino: «Non un complotto, ma un contagio. Basta una diceria, o un bimbo che ha qualche incubo. Il resto monta da solo a causa delle forti ansie dei genitori, dovute anche ai media. I bambini vengono involontariamente interrogati in modo suggestivo, con domande che già contengono le risposte. Così sono portati a dire quello che le madri temevano e le psicologhe si aspettavano, a confermare una certezza preconcetta». Una «colonizzazione mentale», appunto, che mette fortemente in discussione le modalità di interrogatorio delle presunte vittime (bambini di 2 o 3 anni raccontano una cosa e il suo contrario nel giro di un minuto). Il rischio è duplice: da una parte travolgere degli innocenti, dall’altra favorire i veri pedofili, che hanno gioco facile a mimetizzarsi tra i casi di falso abuso.
La notizia della definitiva assoluzione don Stefano Bertoni, 48 anni, ieri l’ha ricevuta in Brasile, dove da un anno è missionario fidei donum della
diocesi di Brescia. «È stato felice soprattutto per alcune persone che in questi sette lunghi anni hanno sofferto e per una comunità civile che ne è uscita provata - racconta il fratello Enrico - . L’auspicio è che da questo caso si tragga spunto sempre quando si giudica, nella consapevolezza che le persone possono anche essere innocenti. E l’appello è a psicologi e medici, perché valutino con accortezza: prima hanno 'accertato' gli abusi, poi hanno riveduto le loro posizioni. Adesso sappiamo che l’abuso non era proprio avvenuto».
Accuse partite nel 2003. Ipotizzati abusi con contorno di riti satanici nei confronti di 23 bambini di una scuola materna
© Copyright Avvenire 8 maggio 2010