venerdì 7 maggio 2010
Ipazia, singolare figura di donna che si occupa di filosofia e di scienze, tenendo testa in modo autorevole ai leader culturali del suo tempo, e che incontra una morte tragica e cruenta a motivo delle sue idee e per avere osato, lei donna, mettersi sullo stesso piano degli uomini. Vi sono tutti gli elementi per fare di un personaggio del genere un simbolo, e non a caso a Ipazia sono stati dedicati libri, racconti, opere teatrali, anche da nomi illustri (come Mario Luzi col suo Libro di Ipazia). Ma qual è in realtà il rapporto tra l’Ipazia della storia e questa Ipazia idealizzata dalla letteratura e divulgata dai media?
Precisiamo innanzitutto che le notizie su Ipazia sono scarsissime. Abbiamo un’unica fonte storica contemporanea, Socrate Scolastico, e pochi altri riferimenti giungono da autori contemporanei o di poco posteriori. Ne emerge una figura di donna sicuramente dotata di grande cultura e di carisma, affascinante e ricca di temperamento, single per scelta. Figlia di un grande scienziato di Alessandria, Teone, nacque attorno al 370. Fu versata nella scienza dell’astronomia e della geometria e scrisse vari libri di commenti (tutti perduti) ad alcuni trattati fondamentali di quelle discipline e si occupò di filosofia, con insegnamenti pubblici e privati che attiravano un pubblico numeroso. Fu probabilmente seguace delle dottrine neoplatoniche allora molto diffuse, ma non può essere definita un filosofo nel senso stretto del termine. Rispetto a un filosofo suo contemporaneo, Isidoro di Pelusio, Ipazia era differente non «come un uomo è differente da una donna, ma come un matematico è differente da un vero filosofo», dice un autore antico (Damascio) negandole la qualifica di “filosofo”.
La sua vita ebbe una fine cruenta e crudele nel 415. L’episodio è descritto da Socrate Scolastico (Storia Ecclesiastica VII 15), la cui narrazione vale la pena riportare per esteso: «C’era una donna in Alessandria, di nome Ipazia: era la figlia del filosofo Teone. Questa progredì a un livello così elevato di cultura, da misurarsi coi filosofi del suo tempo e da poter essere considerata l’erede della filosofia platonica dopo Plotino e da spiegare tutte le scienze filosofiche a chi lo desiderava: perciò tutti quelli che amavano la filosofia convenivano da lei. Per la splendida capacità di parlare che le proveniva dalla sua cultura si presentava in modo assennato anche alle autorità, e non aveva alcuna remora a stare anche in mezzo a uomini: tutti la rispettavano per la sua scienza superiore e ne erano colpiti. Questo fece sorgere la gelosia. Poiché infatti era in confidenza con Oreste [il prefetto di Alessandria], si produsse nella gente della Chiesa contro di lei una calunnia, che fosse lei la causa per cui Oreste non poteva avere buoni rapporti col vescovo. E allora concordemente degli uomini esaltati, guidati da un certo Pietro il lettore, un giorno aspettarono la donna mentre tornava a casa e, tiratala giù dal carro, la trascinarono nella chiesa detta Cesareo, e strappatele le vesti la uccisero con dei cocci: e dopo averla fatta a pezzi presero le membra, le portarono al cosiddetto Cinarone e le bruciarono».
Le motivazioni dell’omicidio non sono chiare. Un filosofo vissuto un secolo dopo, Damascio, che aveva tutti i suoi buoni motivi per avere risentimenti verso il cristianesimo (era stato l’ultimo rettore dell’Accademia, la scuola filosofica di Atene quando questa era stata chiusa dall’imperatore Giustiniano, e aveva dovuto riparare in Persia), afferma che l’uccisione era stata ordinata dal vescovo della città, Cirillo: «Accadde che il vescovo Cirillo, passando davanti alla casa di Ipazia, vide che c’era molta folla presso la porta, con gente che entrava e usciva e alcuni che si fermavano. Chiese che cosa fosse quella folla e il motivo della confusione intorno alla casa, e venne a sapere dal suo séguito che c’era un discorso della filosofa Ipazia e che quella era la sua casa. Appreso questo il suo animo fu così contrariato, da ordire immediatamente la sua uccisione, più orrenda di tutte le uccisioni». Il motivo del coinvolgimento del vescovo viene poi ripetuto acriticamente in tutte le riprese successive. Ma se si esaminano i fatti storici reali, basandoci unicamente sui documenti, si conclude che non vi è nessuna prova di questa affermazione. La morte di Ipazia si colloca nel quadro di un’età e di una zona in cui la confusione e le turbolenze sono al massimo grado e investono tanto l’autorità civile quanto la comunità cristiana. È un mondo di grandi contrasti l’Egitto di quell’epoca. Un mondo in cui si hanno documenti di sincretismo religioso quasi impensabili per noi e tensioni al limite dell’esplosione, fra ortodossi ed eretici, fra cristiani e pagani, fra cristiani e gnostici (lo gnosticismo aveva molti adepti in questa fase: e poiché gli gnostici amavano celebrare le loro festività nei giorni dedicati alle festività cristiane, i Cristiani intervennero perché si ponesse fine a questa indebita appropriazione). Più ancora che i testi degli storici, sono gli atti delle vita quotidiana (iscrizioni, papiri) a darci un quadro realistico di questa confusione. A ciò si aggiunga, come ricordano le fonti antiche, il temperamento naturalmente appassionato e veemente della popolazione in quel microcosmo multietnico e multiculturale che era la Alessandria dell’epoca. Quando Ipazia fu uccisa, era vescovo da tre anni Cirillo, un personaggio di grande cultura ma di condotta tutt’altro che accorta nel reggere la sede vescovile, tanto da venire in contrasto con l’autorità civile (il prefetto Oreste), col Papa Celestino I, con altri vescovi e personalità dell’Oriente cristiano. Il racconto di Damascio è in ogni caso inverosimile quando presuppone che Cirillo non conoscesse la fama di Ipazia e fosse spinto da un impulso improvviso di gelosia. Neppure l’argomento femminista è ragionevole: anche nella comunità cristiana vi erano donne di elevata cultura e di grande operosità, quindi la condotta di Ipazia non era scandalosa da questo punto di vista. Anche il motivo religioso è da respingere. Per quel poco che sappiamo, Ipazia aderiva alle tesi neoplatoniche, che affascinarono molti pensatori cristiani e diedero un’ispirazione positiva a loro opere. Il suo discepolo Sinesio poté essere vescovo di Cirene e manifestare nelle sue lettere simpatia e devozione per la sua venerata maestra, definita theophilés, “amata da Dio”.
Più probabile il motivo politico: Ipazia venne identificata (a ragione o torto) come la causa principale dell’attrito tra autorità religiosa e autorità politica, e dei fanatici pensarono di eliminare alla radice la causa del dissidio: alcuni moderni chiamano in causa i parabolani, una confraternita di infermieri-becchini che anche in altre occasioni si era arrogata il compito di intervenire in controversie ecclesiastiche in modo rozzo e violento. Una loro responsabilità peraltro non risulta da alcuna fonte. Un anno dopo l’uccisione di Ipazia un decreto imperiale limitava il numero dei parabolani a 500 in tutta Alessandria. Mancano tuttavia connessioni esplicite fra l’uccisione di Ipazia e questo decreto. Un altro motivo appare in una Cronaca tarda scritta da Giovanni di Nicea (VII secolo): Ipazia è presentata come una incantatrice che aveva affascinato con le sue arti magiche Oreste e lo aveva allontanato dalla Chiesa. Sullo sfondo di questa narrazione stanno gli interessi astronomici di Ipazia: astronomia e astrologia avevano allora confini non bene definiti e la scienza degli astri era utilizzata per ricavare oroscopi e predizioni che creavano scandalo ai fedeli cristiani.
Comunque stessero le cose, l’uccisione crudele ed efferata di una donna è comunque evento da condannare, e questa condanna fu espressa chiaramente dalla comunità cristiana, come c’informa ancora lo storico Socrate bizantino: «Questo evento recò non poco biasimo a Cirillo e alla Chiesa di Alessandria: infatti sono atti del tutto estranei a chi professa i principi cristiani le uccisioni e le battaglie e azioni del genere».
La beatificazione laica di Ipazia comincia nel XVIII secolo, quando il filosofo razionalista irlandese John Toland pubblica un libello anticristiano intitolato Ipazia, e prosegue incessantemente fino ad oggi, annoverando titoli come quello di A. Agabiti (Ipazia: La prima martire della libertà di Pensiero, 1914). Ovvero, come fare passare per storia quello che storia non è.
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