Al direttore - Credo che fra i moventi della variopinta
tribù che per fomentare la psicosi antipedofila non esita
a incoraggiare, montare e pompare infamie come quelle
che Francesco Agnoli non cessa di denunciare, occorra
considerare anche e forse soprattutto il fattore “proiezione”.
Mi riferisco, ovviamente, a quel meccanismo psichico
di difesa che, secondo il pensiero freudiano, consiste
nello spostare sentimenti, paure, desideri o altre parti di
sé su altri oggetti o persone, e che in tal modo permette al
soggetto di conseguire il paradossale, duplice risultato di
immaginare di odiare quel che egli in effetti desidera e
di realizzare il proprio desiderio immaginando appunto
di odiarlo. Che proprio questo sia il dispositivo psichico
che permette a tutti o quasi gli esponenti della suddetta
tribù di prodursi sulla scena del grande barnum antipedofilo
sembra confermato, del resto, dalla loro nota appartenenza
alle seguenti categorie di mortali: calunniatori,
ricattatori, genitori deliranti, testimoni visionari, magistrati
paranoici, psico-sessuo-pedagoghi maniacali, giornalisti
irresponsabili e ovviamente armate di pettegoli e
voyeur mentali felici di godersela e spassarsela fantasticando
non soltanto sugli altrui piaceri proibiti, ma anche
su quel piacere ulteriore che il loro sadismo si aspetta
dallo spettacolo delle altrui pene e vergogne.
Per denunciare gli stupefacenti effetti del fattore
proiezione comunque non occorrono le saggiamente dettagliate
prose descrittive e argomentative dei tantissimi
testi dedicati all’argomento dalla letteratura psicoanalitica.
A farlo può infatti bastare anche un conciso e fulminante
apoftegma. Come – per ricordare quello che sull’argomento
resta forse, nonostante la sua stringatezza, il
trattato più esauriente – la folgorante battuta con cui
Shakespeare, tre secoli prima di Freud, nella sesta scena
del quarto atto di “Re Lear”, trafisse l’orribile arcano
del furore punitivo, virtualmente omicida, racchiuso in
ogni rabbiosa moraloneria giudiziaria in rebus sexualibus.
A uno sbirro che sta frustando una puttana, il vecchio
re impazzito beffardamente grida: “Invece di lei frusta
piuttosto te stesso”. E ancor più beffardamente aggiunge:
“Tu bruci dalla voglia di fare con lei ciò per cui
la punisci”. Ed ecco disvelato in pochi versi geniali tutto
il potere del fattore “proiezione”… Quanto poi al motivo
per cui questo compito Shakespeare volle assegnarlo a
un pazzo, esso è forse racchiuso nello splendido chiasmo
con cui Freud, concludendo il saggio in cui analizzò le
teorie teologiche di un magistrato un po’ matto (il famoso
Paul Daniel Schreber, presidente della corte d’appello
di Dresda, nonché leggendaria figura di giudice paranoico),
confessò di non sapere se ci fosse “più verità nella
sua follia di o più follia nella mia verità”.
Ruggero Guarini
© Copyright Il Foglio 14 maggio 2010