di Ilaria Ramelli
D icevamo della precoce cristianizzazione della regione indiana del Malabar. È probabilmente da identificarsi con essa la 'Malé' che Cosma Indicopleuste all’inizio del VI secolo diceva popolata da cristiani, come pure Taprobane e forse la costa del Coromandel. I cristiani malabariti si chiamano ancor oggi 'cristiani di san Tommaso', in ricordo dell’apostolo a cui la tradizione locale fa risalire la loro evangelizzazione, e Nazrani mahâpilla,
'grandi figli Nazareni'. I Nazareni erano, secondo san Gerolamo e altre fonti cristiane antiche, i giudeocristiani che custodivano un vangelo di Matteo scritto in lingua semitica, il quale, secondo Eusebio e lo stesso Gerolamo, era pervenuto in India in età apostolica, con una missione giudeocristiana ricollegata dalla tradizione all’apostolo Bartolomeo. Il termine
mahâpilla , in cui l’accrescitivo è onorifico, nel Malabar era attribuito significativamente anche ai Giudei. Inoltre, «figlio di...» è una tipica circonlocuzione semitica che indica appartenenza a un gruppo e sembra suffragare l’ipotesi di origini giudeocristiane. Nazrani mahâpilla indicherebbe dunque coloro che appartengono al gruppo dei Nazareni. Non è un caso che le reliquie di Tommaso, sepolto in India, nel III secolo (probabilmente sotto Alessandro Severo, tra il 222 e il 235) siano state parzialmente traslate, con grande onore, nella città che fu il centro irradiatore del cristianesimo siro-aramaico: Edessa. Secondo la leggenda, o fu lui stesso a evangelizzare Edessa, o vi mandò Addai/Taddeo a predicarvi il cristianesimo già nel I secolo. A Edessa la venerazione per Tommaso era profonda; una chiesa e un martyrium erano ivi dedicati a lui, e in area edessena era viva la tradizione della missione indiana di san Tommaso: a Edessa furono composti gli Acta Thomae, originatisi nel II-III secolo, che narrano appunto di questa missione, e di Edessa era originario Efrem, che nel IV secolo celebrava Tommaso come apostolo dell’India nei suoi Carmina Nisibena, e Giacomo di Sarug, che celebrava Tommaso sia come iniziatore dell’evagelizzazione di Edessa, tramite Addai, sia come apostolo dell’India. Dedicò infatti una composizione al palazzo costruito in India da Tommaso, del quale parlano anche gli Acta Thomae .
I cristiani malabariti avevano il siriaco come lingua liturgica, sebbene questa non fosse la loro lingua, ma fosse piuttosto la lingua di Edessa. I nomi di varie loro cariche ecclesiastiche sono adattamenti di nomi siriaci; la loro Bibbia era in siriaco e quando giunsero i portoghesi essi rifiutarono di prendere in considerazione qualsiasi altro scritto, biblico o patristico, in un’altra lingua. Cristo è da loro denominato Messia, con nome semitico e non greco, la loro stessa onomastica è ricca di nomi biblici, e molti usi liturgici locali richiamano un cristianesimo di matrice giudaica e siriaca: ad esempio l’uso di celebrare la cena della Pasqua con pane azzimo; la mancanza di immagini sacre nelle chiese, adorne soltanto di croci; il battesimo dei bambini il quarantesimo giorno dopo la nascita, che era il giorno prescritto dalla legge giudaica per la purificazione dei nuovi nati; l’inclusione tra le anafore della Messa non solo dell’anafora di Nestorio, di chiara derivazione siroorientale, ma anche di quella di Addai e di Mari, che secondo la tradizione erano stati gli evangelizzatori di Edessa, dell’Osroene, e dell’intera Mesopotamia. Inoltre, il Simbolo che i Cristiani malabariti recitavano a Messa già prima dell’arrivo dei portoghesi era il Simbolo niceno. Ciò si adatterebbe al fato che Giovanni, 'vescovo della Persia e della Grande India', fosse stato incaricato di rendere noti anche agli Indiani i risultati del I concilio ecumenico, quello di Nicea (325). Vent’anni dopo, nel 345, una missione siriaca promossa dal vescovo di Edessa e guidata da Tommaso 'il Cananeo' sbarcava a Muziris, forse anche per sfuggire a una persecuzione sassanide, e arricchiva la comunità cristiana sia di clero sia di fedeli.
© Copyright Avvenire 12 aprile 2010