DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Siberia '45, un gesuita nel gulag

Per 15 anni nei lager sovietici come «spia». Per padre Walter Ciszek ora è in corso la causa di beatificazione • Era missionario in Polonia, la sua chiesa fu invasa dall'Armata Rossa. Da carcerato lavorava in miniera, celebrava messa su un tronco nel bosco
di Lorenzo Fazzini
Tratto da Avvenire del 24 agosto 2010

Quindici anni in un gulag so vietico, in totale 23 anni «detenuto» dal potere co munista di Mosca con l’ac cusa (falsa) di essere «una spia del Vaticano». Quasi rievocando un fatto di cronaca recente – lo scam bio, avvenuto a luglio scorso – tra 10 spie russi negli Usa e alcuni a genti yankee di stanza in Russia – fu anche lui oggetto di permuta con due membri del controspio naggio dell’Urss. Ma in questa sua dolorosa vicenda, padre Walter J. Ciszek, gesuita di Shenandoah, in Pennsylvania, clas­se 1904, non ha mai perso la fede nel suo Signore: «Ho imparato a ri volgermi a Dio per domandargli la sua consolazione e a non porre la mia fiducia in altri se non in Lui» racconta nella rievocazione degli anni di prigionia in Russia, un libro appena edito in Francia, Avec Dieu au goulag (Editions des Béatitudes, pp. 316, euro 19, 70), che si legge quasi come un nuovo Arcipelagosolgetsiniano, tanto è intrecciata la descrizione della disumanità del si stema penitenziario sovietico alla riflessione spirituale, precipua mente cattolica, del detenuto Ci szek. Del quale, va ricordato, nel 1990, è iniziata la causa di beatifi cazione, nel 2006 approdata in Va ticano.

Ma come arrivò il sacerdote gesuita nei gulag? A far sorgere la sua pas sione per la Russia fu l’appello nel 1929 di Pio XI per nuovi missionari per la Russia. Ciszek rispose nel ’37: fu il primo prete americano ad essere ordinato secondo il rito bi zantino. E visto che la missione verso il Paese più ateo (allora) del mondo era preclusa, Ciszek si «ac contentò» del villaggio di Albertyn, in Polonia. Dove il 17 ottobre 1939 la sua vita subì una virata imprevi sta. A seguito dell’accordo Riben tropp- Molotov, tedeschi e sovietici si spartirono la Polonia e il giovane gesuita si trovò l’Armata rossa in casa, letteralmente: nella sua par rocchia prese alloggio un gruppo di soldati sovietici. «Poco dopo l’inva sione cominciarono gli arresti. Le proprietà (ecclesiali, ndr) venivano confiscate. Gli interrogatori si suc cedevano senza fine. La Chiesa era divenuta il bersaglio degli attacchi dei comunisti. La nostra parroc chia orientale venne chiusa, quella latina potè proseguire per qualche tempo la sua attività» rievocail ge suita.

Di qui la decisione di seguire, per assistere spiritual mente gli operai po lacchi che tentarono la fortuna in Russia, precisamente a Te playa Gora, città negli Urali, dove lavorava no per una società di legnami. Ogni attività di fede era pressoché clandestina, ricorda l’ex prigioniero: «C’e rano delle spie e dei membri del Partito che segnalavano ogni atto religioso. Bisognava evitare di par lare di Dio». Unica consolazione, racconta Ciszek, celebrare la messa nella foresta, con un tronco come altare, senza abiti liturgici, i piedi nel fango.

Ma il 3 giugno 1940 il gesuita viene arrestato e condotto prima nella prigione di Perm, poi nel famigera to carcere moscovita della Lou bianka, fosco simbolo del terrore staliniano. Il viaggio-incubo in tre no da Teplaya Gora a Mosca Czisek lo ricorda bene: «Sembrava che tut- ti quei lunghi anni di propaganda sovietica aveva portato frutto. La maggior parte dei miei compagni di prigione considerava i preti co me parassiti della società. Mi insul tavano, mi evitavano, non si fidava no di me. Questo rappresentava per me un’umiliazione costante».

Due anni di interrogatori e sevizie psicologiche (poi altre tre primave re dietro le sbarre) alla Loubianka da parte degli agenti della NKDV, la terribile polizia segreta sovietica, portarono il 26 giugno 1942 il pove ro prete americano (esausto da tanta pressione) a «confessare» i suoi «crimini»: una firma sotto un foglio che lo portò a 15 anni di condanna come «spia». Durante i 5 anni di carcere a Mosca Czisek ha la fortuna di «ripassare» la lette ratura della Santa Russia, leggen do, in originale, Tolstoj, Dostoev sky, Turgenev, Gogol. Molto più dure furono le sue condizioni di vi ta nel gulag di Krasnoyarsk, a 800 chilometri nord di Mosca, dove il religioso Usa scontò la sua pena: lavorava anche 15 ore al giorno in un miniera di carbone.

Ma una consolazione almeno allie va quell’incubo: per la prima volta dopo 5 anni il «nostro» può incon trare un prete cattolico. Ed eserci tare il suo servizio di fede, nasco stamente: celebra la messa con vi no introdotto clandestinamente nel gulag e con il pane consacrato nascosto nelle baracche; ascolta di notte le confessioni dei prigionieri, da conforto ai morenti. Il gesuita racconta poi l’«ecumenismo della persecuzione», rievocando i pasto ri battisti e i pope ortodossi impri gionati nei gulag.

Il 22 aprile 1955 Czisek viene ri messo in libertà dal gu lag e può, dopo 15 anni, comunicare alla sua fa miglia che è vivo, visto che dal 1947 i suoi con fratelli celebravano del le messe in suo suffra gio, ritenendolo morto.

Ma la strada verso la piena libertà è ancora lunga: solo il 12 ottobre 1963, improvvisamente, il Kgb lo preleva nella città di No rilsk, dove era confinato, e lo por ta a Mosca dove un aereo lo ricon duce negli Stati Uniti. Padre Ci szek ha lavorato al John XXII Cen ter della Fordham University. È deceduto l’8 dicembre 1984. Non prima di aver guardato alla sua e sperienza nel gulag con queste parole: «Niente poteva separarmi da Dio perché egli è presente in tutte le cose. Nessun pericolo mi poteva minacciare, nessuna paura poteva più spaventarmi salvo quella di distogliere il mio sguar do da lui e non vederlo più».