Così il capo dei vescovi argentini ferma
il tentativo di registrare il matrimonio
tra due uomini: “Assolutamente illegale”
Roma. Nel 2005 fu l’allora decano dei
sociologi cattolici, Achille Ardigò, a lanciare
sul Foglio l’allarme famiglia: impossibilità
di autonomizzazione delle giovani
generazioni, difficoltà di sopravvivenza
per gli anziani, effetti della denatalità erano
alcuni dei fuochi toccati. L’obiettivo era
denunciare quella cultura dominante della
“libertà individualistica”
che produce
una moltitudine
di soluzioni
provvisorie, “temporanee,
meno impegnative”
dei legami
fra le persone e
depreca la tendenza
a omologare alla
famiglia le altre
unioni, seguendo
una deriva “disastrosamente
rivoluzionaria”
di tipo zapaterista.
E oggi, a
distanza di quattro
anni, sono esponenti
della chiesa cattolica che, con sempre
maggiore frequenza, tornano sull’argomento
mettendoci la faccia anche a costo
di risultare sgradevoli e sgraditi alle autorità
di turno. Come se al politically correct
e alle relazioni stato-chiesa attente alle
virgole e agli equilibri si debba in qualche
modo far spazio alla battaglia frontale.
Non soltanto negli Stati Uniti – la comunione
negata a Patrick Kennedy da monsignor
Thomas J. Tobin, vescovo di Providence,
sta facendo ancora in queste ore
parecchio discutere – e nemmeno solamente
in Europa – l’ultima uscita del segretario
della Conferenza episcopale Juan
Antonio Martínez Camino che avvisa i politici
cattolici che in caso di sostegno pubblico
all’aborto non potranno essere ammessi
a ricevere l’eucaristia è significativa
per il vecchio continente – ma è anche
in quel Sud America culla della teologia
della liberazione e, sovente, d’interpretazioni
mondane della dottrina cattolica,
che l’offensiva contro governi più o meno
laicisti quanto a tematiche inerenti la vita
e la famiglia sembra essere stata definitivamente
sdoganata.
In particolare, è quanto si sta verificando
in queste ore in Argentina. Questa volta,
sul campo, non è sceso un esponente
delle gerarchie cattoliche qualunque.
Bensì il cardinale Jorge Mario Bergoglio,
arcivescovo di Buenos Aires e presidente
della Conferenza episcopale argentina.
Gesuita, figlio di immigrati piemontesi, 73
anni il prossimo dicembre, uomo coltissimo,
umile e di preghiera, Bergoglio nel
Conclave del 2005 fu una seria alternativa
a Joseph Ratzinger. Si dice avesse il supporto
dell’ala martiniana del collegio cardinalizio.
Ma, al di là del posizionamento
sullo scacchiere curiale, era e resta una
delle figure più carismatiche della chiesa
sudamericana, uomo di dialogo e di mediazione.
Figura talmente considerata che
quando agisce fa inevitabilmente rumore.
Così in queste ore.
L’esecutivo “ha mancato al suo dovere”
Tutto è cominciato con la sentenza del
giudice Gabriela Seijas che lo scorso 13
novembre ha ordinato al Registro civile di
celebrare l’unione tra due uomini. Bergoglio
ha convocato i vescovi e ha fatto uscire
un comunicato congiunto in cui definisce
la cosa “assolutamente illegale”. Non
solo, è il porporato a dire che l’esecutivo
“ha mancato gravemente al suo dovere”
non ricorrendo contro la decisione. Mauricio
Macri, governatore di Buenos Aires, ha
cercato di mediare chiedendo udienza al
cardinale. Questi l’ha ricevuto ma, al termine
dell’incontro, è stato ancora Bergoglio
a prendere la parola. E a dire che Macri
ha tradito il ruolo di “custode della legge”.
Il documento dei vescovi entra nel
merito della sentenza e va all’origine semantica
della parola matrimonio: “Risale
alle disposizioni del Diritto romano dove
la parola ‘matrimonium’ era riferita al diritto
di ogni donna ad avere figli, un diritto
riconosciuto nel rispetto della legge”.
Erroneamente si associa il termine matrimonio
al sacramento cattolico: il termine
fu codificato dal diritto. E, dunque, “affermare
l’eterosessualità del matrimonio non
vuol dire discriminare, ma partire da un
elemento oggettivo che è il suo presupposto”.
Parola di Bergoglio.
Il Foglio 27 Nov. 2009