DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

E con l’Editto di Nazareth nacquero le persecuzioni. La prima accusa ai credenti fu quella di «profanazione di tombe»

Matteo 28,15 attesta che i cristiani erano accusati di tymborykhia o profanazione di tombe (per avere presuntivamente rimosso il cadavere di Gesù), accusa probabilmente riflessa in due romanzi contemporanei a questo Vangelo, quelli di Caritone e di Petronio, come ho dimostrato in I romanzi antichi e il cristianesimo (Madrid 2001, capp. 1 e 8). La stessa accusa è alla base dell’«Editto di Nazareth», un’epigrafe trovata a Nazareth, oggi conservata a Parigi, con inciso in greco un editto imperiale che comminava la pena capitale ai colpevoli di tymborykhia, di norma punita solo con multe. Molti indizi suggeriscono che l’editto risalga alla tarda età neroniana e fosse rivolto contro i cristiani: la gravità inusuale della punizione, l’uso di verbi al perfetto, l’invito alla denuncia dei profanatori di tombe e l’interpretazione offerta da Grzybek (su ZPE 1998, con Marta Sordi) delle ll. 15-17, in cui l’imperatore prescrive di istituire un processo « de diis contro il culto reso a esseri umani». Il processo de diis era rivolto contro empi e ad essere accusati di
tymborykhia
ancora in età neroniana e ad adorare un essere umano erano precisamente i cristiani. Poiché questo delitto era punito, a partire da questo editto, con la morte, si spiega perché Tertulliano, parlando dell’accusa anticristiana cui si riferisce Mt 28,15, chiami scelus il trafugamento di cadavere, precedentemente invece multato in misura modesta ( Apologeticum 21,22; cf. 23,12). La situazione giuridica presupposta dell’«Editto di Nazareth» sembra sottesa a un episodio del romanzo, contemporaneo, di Caritone. Terone è condannato a morte per crocifissione, per avere trafugato il presunto cadavere di Calliroe dalla tomba (la giovane si era invece rivelata viva ed era stata poi venduta schiava): Terone per questo reato di tymborykhia non è condannato a una multa, ma è messo a morte senza esitazione e accusato di essere
asebés,
«empio». Ciò non si adatta al contesto storico-giuridico del V-IV secolo a.C. in cui il romanzo è situato, ma corrisponde a quello di Caritone, in età neroniana. Sono stati rinvenuti ad Afrodisia, città di Caritone, riscontri epigrafici precisi contro i tymborykhoi, di cui è deprecata la asebeia o empietà.
Anche in altre occasioni Caritone si attiene alle norme del suo tempo anziché a quelle dell’epoca in cui il suo romanzo storico è ambientato, come ho mostrato su «Acme» 2000.
L’Editto di Nazareth, che colpiva i cristiani in quanto adoratori di un uomo e
tymborykhoi, e l’accusa anticristiana di tymborykhia,
sembrano noti anche a Petronio,
pure di età neroniana, appartenente al cosiddetto circolo neroniano. Egli non poteva non essere al corrente della persecuzione voluta dall’imperatore contro i cristiani: i supplizî spettacolari cui questi furono sottoposti a Roma nel 64 in occasione dell’incendio, attestati con dovizia da Tacito e da Clemente Romano nella Lettera ai Corinzi, difficilmente sarebbero potuti passare inosservati. Se, come appare probabile, l’editto è di Nerone e mirava a colpire i cristiani, questa è una testimonianza di come la «svolta neroniana» del 62 d.C. abbia avuto presto un forte risvolto anticristiano, così come fu anche diretta contro molti stoici (la comunanza delle accuse di tristitia, maestitia, inertia e rifiuto del culto imperiale rivolte a stoici e cristiani nel medesimo periodo e la contemporanea «persecuzione» sotto Nerone inducono a riflettere, come ho mostrato su Invigilata Lucernis,
2001). Nerone tolse il veto posto da Tiberio alle accuse contro i cristiani e anzi le sollecitò in occasione dell’incendio del 64 d.C., del quale i cristiani vennero considerati capri espiatori. Fu il primo, eclatante episodio di persecuzione anticristiana nell’impero, mentre fino a quegli anni nessun cristiano era stato condannato in quanto tale da un’autorità romana. Sembra anche indicare che nel 64 a Roma era già chiara la distinzione tra giudei e cristiani, cui, come è stato suggerito da Jossa, potrebbe avere contribuito Poppea, sposata da Nerone al momento della «svolta», dopo il ripudio di Ottavia.

La prima accusa ai credenti fu quella di «profanazione di tombe», come testimonia anche un romanzo di Petronio