CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 17 dicembre 2009 (ZENIT.org).- La piccola comunità cristiana di Terra Santa, circa 120 mila in Israele e 40 mila nell’Autonomia palestinese (pari all’1% della popolazione complessiva), resiste tra mille difficoltà nei luoghi che hanno visto l’Incarnazione e l’esperienza umana di Gesù, offrendo una testimonianza non scontata di coraggio e di fede.
Per saperne di più ZENIT ha intervistato il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa ofm, in occasione della sua presenza al convegno nazionale degli educatori dell’Azione cattolica ragazzi italiana “Come vasi di creta. La qualità della relazione educativa per dare forma alla vita”, svoltosi a Roma dal 6 all’8 dicembre scorsi.
Una domanda non nuova: qual è il senso della presenza cristiana in Terra Santa?
Pizzaballa: E’ una domanda che ci facciamo e dobbiamo farci sempre perché la risposta non è mai la stessa. Cambia, infatti, la mia percezione personale rispetto ad essa, la nostra di Chiesa, cambiano le dinamiche, le situazioni e ogni volta è una questione da porre. A partire dall’interrogativo di Gesù: “voi chi dite che io sia?”. Cosa ci dice Gesù oggi? Le riposte possono essere diverse.
Io so cosa concretamente “non” possiamo essere: non possiamo essere ponte tra la società israeliana e quella palestinese. Il Papa ha detto: non di muri, ma di ponti ha bisogno la Terra Santa ed è verissimo. Ma la comunità cristiana non può svolgere una funzione di ponte tra le due società, perché è composta prevalentemente di arabo-palestinesi. Il ponte invece deve stare un po’ di qua e un po’ di là, altrimenti non può unire. La comunità cristiana esprime quindi una realtà sola, però ha un compito alto di testimonianza. Innanzitutto è una comunità pacifica, non violenta, propositiva. Non costituisce una minaccia per nessuno e questo è un segno molto importante. Grazie alla presenza della comunità cristiana arrivano milioni di pellegrini che recano benessere economico e sociale e anche questo è positivo. La nostra testimonianza, tuttavia, si esprime innanzitutto stando lì, semplicemente, come cristiani, cercando di vivere il Vangelo e il valore che ci viene chiesto di offrire è quello del perdono. Gesù sulla croce - dal punto di vista puramente umano -, è morto per una terribile ingiustizia, a causa di un processo falsato; eppure da quel luogo e da quell’ingiustizia, lui ha perdonato.
Questo è l’ambito nel quale muoverci. Il perdono non si può regalare, nemmeno imporre, è un percorso da fare. Non si presta a semplificazioni; prima di perdonare bisogna capire e guardare in faccia il male, definirlo con molta verità. Bisogna avere rispetto della sofferenza delle persone a cui è stata inferta una ferita. Allo stesso tempo, dobbiamo essere consapevoli che la capacità di perdonare deve orientare il nostro sguardo sulla realtà.
Questo è anche il senso della presenza della Custodia di Terra Santa. Siamo una piccola comunità di 300 frati, di 32 nazioni diverse - una specie di Babele !- che cerca di volersi bene, recando proprio la testimonianza che nonostante la diversità è possibile stare insieme. Vorremmo aiutare la gente, senza la presunzione di rivoluzionare o di cambiare il mondo, ma ponendo un piccolo segno di condivisione e perdono.
Quali rapporti intercorrono con i musulmani e gli ebrei?
Pizzaballa: Sono due mondi molto diversi tra loro. Con i musulmani il rapporto è plurisecolare; i cristiani sono arabi palestinesi e vivono con i musulmani che sono arabi palestinesi: fedi diverse ma un unico popolo che vive nelle stesse zone. Si tratta di un rapporto che passa attraverso le istituzioni, in primo luogo la scuola.
Uno degli aspetti fondamentali della comunità cristiana di Terra Santa infatti – che sebbene piccola è molto vivace e attiva -, è proprio la scuola. Le circa 80 scuole cristiane esistenti, sono frequentate sia da cristiani che da musulmani e svolgono quindi un ruolo di mediazione sociale molto importante. Dove opera la scuola cristiana, il rapporto tra musulmani e cristiani è armonico, c’è un riflesso importante nella vita pubblica perché le famiglie si incontrano grazie alle attività scolastiche e si crea relazione e fiducia tra i due gruppi. Abbiamo constatato che dove la scuola cristiana non c’è, i rapporti sono più difficili da costruire, mancano le occasioni pubbliche. Ciò che definiamo dialogo interreligioso, in Terra Santa passa attraverso la vita di tutti i giorni, le attività della Chiesa e in particolare la scuola.
Con l’ebraismo è il rapporto è diverso: non c’è possibilità di incontro attraverso le istituzioni della Chiesa perché Israele ha le proprie. L’unica forma di dialogo, anche se non facile, è quello di tipo culturale. Recentemente, ad esempio, abbiamo ricevuto in dono dalla Provincia di Padova una riproduzione della cappella degli Scrovegni che adesso è in mostra al museo di Tel Aviv. L’iniziativa sta attirando ogni giorno migliaia di persone che, con l’ausilio di una visita guidata, leggono la storia della salvezza dal punto di vista cristiano.
Non va dimenticato che il conflitto in corso ha il suo peso: un cristiano palestinese, quando dice Israele, non pensa all’Israele biblico di Gesù, ma ai check point.
E’ possibile intravedere una prospettiva politica di pace in Terra Santa?
Pizzaballa: In questo momento non sembrano vedersene molte, per più ragioni. Innanzitutto, perché c’è una grande stanchezza da parte di tutti e due i popoli; il secondo motivo è che non ci sono - né dall’una né dall’altra parte - leader carismatici forti con una chiara visione della pace, capaci di trascinare la popolazione a fare anche i necessari compromessi. La società palestinese è a sua volta divisa in due parti tra le quali esiste una profonda frattura. La comunità internazionale, infine, al di là di tanti discorsi non sembra ancora intenzionata a passi concreti di pressione sulle due autorità politiche per spingerle alla pace. Siamo ancora nella fase lunghissima, che sembra non finire mai, di tattiche, di dichiarazioni, ma nulla di tangibile che possa far intuire che ci possa essere un cambiamento a breve.
La visita del Papa dello scorso maggio ha lasciato degli echi positivi di dialogo?
Pizzaballa: La visita di Benedetto XVI è servita molto a chiarire le relazioni sia con la comunità ebraica che con quella islamica. Tuttavia l’impatto maggiore lo ha avuto sulla comunità cristiana che ne parla ancora oggi con accenti molto positivi, per i discorsi e i gesti che il Papa ha posto in essere e per le messe pubbliche celebrate con la partecipazione di migliaia di persone. E’ stato un momento forte che ha incoraggiato molto e ha unito la comunità cristiana, notoriamente divisa.
La Terra Santa è l’unico paese al mondo dove vivono insieme tutte le confessioni cristiane, dalle più grandi alle più piccole, e rimanere ben distinte fa un po’ parte del ruolo di custodi di luoghi e tradizioni, anche se c’è modo e modo di custodire. Tuttavia, nonostante parentesi incresciose che si sono viste anche in televisione, i rapporti sono abbastanza cordiali. Anzi proprio dopo quegli episodi che hanno fatto il giro del mondo, forse un po’ per la vergogna che ha scosso la coscienza di molti, c’è stato un impulso maggiore a cambiare registro.
Lei era a Betlemme per l’inizio delle celebrazioni di Avvento: come viene vissuto questo tempo nella città stretta dal muro di separazione con Israele?
Pizzaballa: E’ toccante constatare ogni volta la fede della gente. In queste situazioni così difficili, ci si ritrova sempre nella preghiera. C’è molta partecipazione alle celebrazioni e ai riti tradizionali che preparano al Natale e così pure alle stazioni che si fanno in tutta la città per ricordare i diversi episodi evangelici. Pregare diventa un altro modo per stare insieme e ritrovarsi.
C’è un messaggio che ci viene da Betlemme, il luogo dell’Incarnazione, per Natale?
Pizzaballa: Il messaggio è ancora quello di sempre: Dio continua a visitarci attraverso Gesù che continua a nascere e a essere fonte di novità. Anche se le cose restano sempre le stesse, può cambiare il nostro modo di vederle. Nonostante tante violenze e segni di morte, ci sono ancora molte persone che hanno desiderio di mettersi in gioco e spendersi per la loro terra, per la loro gente, per la Chiesa. Esse sono segno di forza, di novità e di speranza per la Terra santa e spero anche per gli altri. La Terra Santa ci appartiene, noi apparteniamo alla Terra Santa, la nostra fede è nata lì e continua a nascervi. Per questo ciò che accade in Terra Santa ci riguarda tutti da vicino.