DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

I diritti umani secondoAndré Glucksmann che riceve dal Papa il Premio "Giovanni Paolo II"

Il «Premio Oswiecim (ovvero Auschwitz) per i diritti umani “Giovanni Paolo II”», destinato a personalità che si distinguono nella promozione e nella difesa dei diritti umani, è stato eccezionalmente consegnato al vincitore di quest'anno, André Glucksmann, da Benedetto XVI. La breve cerimonia – informa l’Osservatore Romano - ha avuto luogo ieri in una saletta attigua all'Aula Paolo VI, al termine dell'udienza generale. Scopo del premio è onorare e scegliere come modelli di comportamento coloro che, nella loro vita e nella loro attività pubblica, tutelano e difendono i diritti umani secondo gli insegnamenti e la testimonianza di Giovanni Paolo II. Alla cerimonia erano presenti i membri della giuria: il cardinale Franciszek Macharski, Andrzej Zoll, presidente dell'Accademia per i diritti umani che ha promosso il Premio, e Waldemar Rataj.

RV.

I diritti umani secondo André Glucksmann, che non crede agli angeli

Roma. Il premio “Oswiecim” per i diritti
umani, dedicato a Giovanni Paolo II e istituito
dalla città polacca all’indomani della
morte del Pontefice, nel 2005, è stato consegnato
in Vaticano mercoledì mattina – alla
vigilia del 10 dicembre, sessantennale della
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
– da Benedetto XVI al filosofo francese
André Glucksmann. Una scelta significativa,
se non altro perché l’allievo di
Aron e di Sartre, autore del recente “Le
deux chemins de la philosophie” (Plon),
non ha mai nascosto la propria lontananza
da un’idea angelicata, idealista, celebrativa
dei diritti umani. Ha sempre sostenuto,
invece, che “il vero problema è la resistenza
all’inumano, esperienza davvero universale”.
Lo ha ripetuto nella conferenza pomeridiana
tenuta nella sede romana dell’Accademia
di Oswiecim. Nome polacco di
Auschwitz, il cui campo di concentramento
è simbolo della negazione assoluta dell’umanità.
Ma che può diventare paradigma
della possibilità di “uscire dall’orrore”, ha
spiegato Glucksmann, che nel paradossale
accostamento tra un premio per i diritti
umani e Auschwitz vede una sfida inusuale
e degna di essere raccolta.
E’ ancora Auschwitz a interpellare il
mondo contemporaneo, “quando ci parla
della capacità dell’uomo di mettere fine all’avventura
umana. Quando ci dice che il
mondo è un inferno a cielo aperto e che
nessuno può farci niente, perché non c’è responsabilità
personale di fronte all’orrore.
Quando ci dice che la Cecenia è lontana, e
pazienza per i suoi trecentomila morti su
una popolazione di un milione di abitanti”.
L’idea falsa della “fine della storia giustifica
l’atteggiamento di chi pensa che non si
possa far altro che consumare e godersi lo
spettacolo. E’ il nichilismo compiuto, niente
di diverso dal ‘Viva la muerte!’ dei falangisti
spagnoli”. Glucksmann pensa che “il
trionfo di Auschwitz sia stata la morte dell’Europa”.
A salvarla, dice al Foglio, e “a
provocare quel miracoloso ribaltamento
che ha portato metà del continente diviso
dal comunismo alla democrazia, è stato lo
spirito della dissidenza, che gli europei dovrebbero
continuarea coltivare. Quando
nessuno considerava la possibilità che si
passasse dal socialismo al capitalismo, e
nelle università si studiava soltanto l’ipotesi
contraria, il cambiamento è arrivato, nonostante
una lunga serie di sconfitte precedenti:
Budapest, Praga, Polonia”. Ma la storia
non è finita, e Glucksmann pensa che alcuni
pericoli che minacciano l’Europa non
siano abbastanza considerati. Cita “il grande
scrittore viennese Hermann Broch, tornato
nel 1945 in Austria, dopo l’esilio negli
Stati Uniti, al quale fu chiesto che cosa
pensasse degli austriaci, e della loro colpa
di essere stati complici dei nazisti. Non tutti
lo sono stati, rispose, e neppure tutti gli
europei. Disse però che il grande peccato
degli europei era stata l’indifferenza. Non
hanno creduto al male e a quello che Hitler
diceva. Il loro ottimismo indecente fu condiviso
anche da tanti intellettuali francesi
prima della guerra. Se mi si chiede quali
pericoli minaccino oggi l’Unione europea,
rispondo allo stesso modo: il crimine dell’indifferenza.
Dovremmo continuamente
chiederci in che misura la rivendicazione e
l’ammirazione per i diritti dell’uomo potrebbe
servire a questo crimine. Esiste un
modo di utilizzare l’idea dei diritti umani
per dire che tutti sono cattivi, perché in
nessun paese sono totalmente rispettati: e
dunque uno vale l’altro, non si può e non si
deve fare niente. C’è l’idea che ovunque si
intervenga – dice – si rischia di compiere a
propria volta dei crimini. Amici tedeschi
mi dicono che non bisogna sostenere i ceceni
contro i russi, perché se i ceceni vincessero
potrebbero a loro volta esercitare
l’oppressione tra di loro. Certo, tutto è possibile.
Ma non è in nome di un pericolo ipotetico
che si deve rinunciare a resistere a
un’ingiustizia attuale. Supporre che il rispetto
assoluto dei diritti possa esistere solo
se tutti gli uomini sono angeli è un modo
per coltivare il crimine di indifferenza”. Al
contrario, dice ancora Glucksmann, “se ammettiamo
che i diritti dell’uomo sono la resistenza
all’inumano, allora si contrasta l’inumano
caso per caso, paese per paese, circostanza
per circostanza, e si ottiene un’arma
importante contro l’ingiustizia. Perché
è vero che non c’è il paese perfetto. Ma non
esiste nemmeno il crimine perfetto”.

Nicoletta Tiliacos

Il Foglio 11 dic. 2009