Non arruoliamo il Papa tra gli scettici,
dopo la lettera di fine d’anno
con cui ha riformulato ancora, dopo i
brani dedicati al tema nella Caritas
in veritate, la questione biblica della
“custodia e del governo del creato”
da parte dell’uomo e della donna. La
lettera è stata resa nota ieri, ed è come
sempre un documento argomentato
e ispirato che ha radici in una grande
cultura, “globalista” quanto nessun’altra.
Benedetto XVI non nega l’abuso
umano della natura, la tentazione
tirannica coltivata dalle generazioni
moderne, il titanismo accidioso
della tecnica, e nemmeno, più in dettaglio,
i cambiamenti climatici, le desertificazioni,
il degrado dell’agricoltura,
la crisi dell’acqua o la perdita
della biodiversità, i grandi disboscamenti
all’equatore e ai tropici. Ma affermare
la crisi ecologica non significa
condividere la religione ambientalista
o l’ambientalismo come religione.
Il Papa di fede ne ha un’altra, imperniata
sulla trascendenza di un Dio
che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza
per affidargli la natura, e
non ha evidentemente bisogno di credenze
sostitutive, di ideologie ammantate
di scienza.
Al contrario, il Papa mette in guardia
dall’assolutizzare la natura e dal
conferirle un primato sulla persona,
cosa facile a farsi se la persona non
sia che una particella della natura, se
viga l’ideologia riduzionista e determinista
che esclude, addirittura con
il crisma della certezza scientifica, la
libertà autocosciente dell’umanità.
Ecocentrismo e biocentrismo sono le
parole scelte per significare che l’ambiente
e la vita vegetale e animale sono
parte di un disegno in cui il rango
dell’uomo e della donna sono quelli
del governo e della custodia, dunque
creature umane differenziate sul piano
dell’essere, della loro stessa costituzione
fisica e metafisica, rispetto al
creato affidato alle loro mani. Benedetto
parla di un “panteismo con accenti
neopagani che fanno derivare
dalla sola natura, intesa in senso puramente
naturalistico, la salvezza per
l’uomo”. Questa non può non essere
la grammatica di fede di un pastore,
del buon pastore dei cattolici. Ma è
anche un indizio di civiltà e di cultura,
una sintassi interessante per noi
laici e moderni (e postmoderni). Infatti
anche noi da tempo titilliamo e
censuriamo intellettualmente, su basi
razionali alleate con il racconto biblico,
l’ambientalismo magico dei
guru e delle associazioni militanti
per la redenzione globalista, specie
quando che si scambiano dubbie
mail manipolatorie, in una danza idolatrica
come tante altre, rincorsa da
potenti interessi privi di qualunque
magia.
Il Foglio 16 dic 2009