DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

In Senato arriva un ddl che spiega perché un embrione deve essere difeso quanto un bambino e un adulto

Roma. Per ridefinire il concetto di vita
è necessario modificare l’articolo 1 del codice
civile che attribuisce la capacità giuridica
al momento della nascita, anticipando
il riconoscimento al momento del
concepimento. Questa è l’intenzione del
presidente dei senatori del Pdl Maurizio
Gasparri, del vicepresidente vicario Gaetano
Quagliariello e dalla vicepresidente
Laura Bianconi: hanno depositato
in Senato una proposta
di legge per correggere
l’articolo 1 del codice civile
per il riconoscimento
della soggettività giuridica
dell’essere umano fin dal
concepimento. “E’ un testo
molto breve per una questione
grande”, dice Gasparri,
che riprende l’iniziativa
già proposta dal Movimento
della vita. “La facciamo nostra
con l’obiettivo di avviare una discussione
reale sul tema fondamentale della vita. Il
disegno di legge definisce in maniera
chiara il nostro impegno”. Carlo Casini,
presidente del Movimento per la vita ed
eurodeputato dell’Udc, dice: “Non vogliamo
solo fare un gesto dimostrativo, ma
una battaglia politica: difendere la vita”.
Per questo è “necessaria una controspinta
rispetto all’aborto chimico”. E in questa
direzione va vista la proposta presentata
che “non provocherà nessun cambiamento
automatico, ma una riforma culturale”.
Anche Quagliariello ne è convinto:
“Per tenere salda la trincea bisogna fissarne
una più avanzata. Questa è la nostra
bandiera, altrimenti rischiamo la deriva.
Sono troppi i tentativi di scardinare la
194”. Secondo Gasparri la proposta “non
andrà in conflitto con la 194” nonostante
“siano in atto molte manovre per aggirare
la legge sull’interruzione volontaria di
gravidanza”. Inevitabile che si parli della
pillola, dopo che l’Aifa ha confermato “la
propria non competenza sulla tipologia di
ricovero”. Dice Gasparri: “Chi ha a cuore
il bene delle donne non può che prendere
atto della necessità della degenza in
ospedale a seguito dell’assunzione della
Ru486”.


Pubblichiamo il testo della relazione
e del disegno di legge d’iniziativa
dei senatori Maurizio Gasparri, Gaetano
Quagliariello e Laura Bianconi
per modificare l’articolo 1 del Codice
civile in materia di riconoscimento
della soggettivita giuridica di ogni essere
umano fin dal concepimento presentato
ieri al Senato.
Onorevoli Colleghi. Venti anni fa, il
20 novembre 1989, è stata approvata
la Convenzione universale sui diritti
del fanciullo. Essa ha trasformato
in atto giuridicamente vincolante
per i 193 Stati che l’hanno ratificata la
precedente dichiarazione del 20 novembre
1959. Così come in quest’ultima
era già stato proclamato, la Convenzione
del 1989 ripete, al 9° punto
del preambolo, che “il fanciullo, a
causa della sua immaturità, ha bisogno
di una protezione speciale, anche
giuridica, sia prima che dopo la nascita”.
E’ di rilievo che la Convenzione
chiami “bambino” anche il nascituro.
Nella medesima logica l’art. 1 per definire
il tempo della minore età fissa
come limite massimo i 18 anni o l’età
minore stabilita dalle varie leggi nazionali,
ma si astiene dall’indicare il
momento iniziale dell’infanzia e richiama
il concetto di “essere umano”
(“E’ minore ogni essere umano fino al
raggiungimento della maggiore età”).
Due sentenze costituzionali, in Italia
il 10 febbraio 1997 (n°35) e in Polonia
il 27 maggio 1997, hanno fatto riferimento
al preambolo e all’articolo 1
della Convenzione del 1989 per affermare
che il riconoscimento del diritto
alla vita di ogni essere umano dalla
fecondazione trova una conferma
anche nel diritto positivo internazionale.
Si può dunque attribuire il nome
di “bambino” anche all’embrione
e al feto umano (“bambino non ancora
nato”), così come comunemente si
fa per il neonato e il ragazzo che frequenta
la scuola materna, le scuole
elementari e persino le scuole secondarie.
Dunque la Convenzione sui diritti
del fanciullo si applica anche al
concepito. Non è il caso di richiamare
in questa sede le solide acquisizioni
della moderna scienza biologica e
genetica secondo le quali la vita umana
individuale inizia nel momento del
concepimento. E’ sufficiente ricordare
i ripetuti pareri sullo Statuto dell’embrione
umano del Comitato Nazionale
di Bioetica, il primo dei quali,
adottato il 28 giugno 1996, così conclude:
“Il Comitato è pervenuto unanimemente
a riconoscere il dovere
morale di trattare l’embrione umano,
fin dalla fecondazione, secondo i criteri
di rispetto e tutela che si devono
adottare nei confronti degli individui
umani a cui si attribuisce comunemente
la caratteristica di persone”.
Questo giudizio è stato successivamente
confermato nei pareri concernenti
le “ricerche utilizzanti embrioni
umani e cellule staminali” (11 aprile
2003), “l’ootide” (15 luglio 2005),
l’“adozione per la nascita di embrioni
crioconservati e residuali derivanti
da procreazione medicalmente assistita”
(18 novembre 2005), l’“aiuto alle
donne in gravidanza e depressione
post partum” (16 dicembre 2005). Perciò
è doveroso chiedersi cosa significhi
per il legislatore il dovere morale
di “Trattare l’embrione come una persona,
ossia nel modo in cui conveniamo
debbano essere trattati gli individui
della nostra specie sulla cui natura
di persone non vi sono dubbi” (così
– ancora – il C.N.B. nel parere del
28.6.1996). Il 20 luglio 1995 il Movimento
per la vita Italiano ha depositato alla
Camera dei Deputati una proposta
di legge di iniziativa popolare, che –
annunciata sulla Gazzetta Ufficiale
del 5 gennaio 1995 con la firma di un
comitato di sole donne, sottoscritta
preliminarmente da 400 docenti universitari
di biologia, genetica, diritto
– aveva avuto poi l’adesione di 197.277
cittadini italiani che l’avevano sottoscritta
dinanzi a un pubblico ufficiale
e di oltre 1.400.000 persone che avevano
firmato una petizione per esprimere
il loro consenso e rafforzare la sua
autorevolezza. La proposta era costituita
da un solo articolo sostitutivo
dell’attuale art. 1 del c.c., in modo da
anticipare al momento del concepimento
il riconoscimento della capacità
giuridica, che oggi è, invece, fissato
al momento della nascita. Tale proposta,
assegnata con il n. 5 alla competente
Commissione della Camera,
non è stata mai discussa né in quella
legislatura, né in quella successiva,
nella quale la proposta rimase iscritta
nel ruolo parlamentare, in quanto
di iniziativa popolare. Nella 14° legislatura
essa è stata ripresentata da
numerosi Parlamentari sia al Senato
che alla Camera, ma – ancora una volta
– non è stata posta in discussione.
La ricorrenza del 20° anniversario
della Convenzione sui diritti del fanciullo
offre l’opportunità di ripresentarla
per ottenerne formalmente l’approvazione
del Parlamento. Il fondamento
teorico della proposta sta nel
principio di eguaglianza, che costituisce
il cardine della moderna civiltà
giuridica. Questo principio proclamato
nella Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo e in tutte le Carte internazionali
sui diritti umani che ne
sono derivate, recepito in tutte le Costituzioni
del nostro tempo, esprime
l’idea che l’uomo è sempre fine e mai
mezzo, sempre soggetto e mai oggetto,
sempre persona e mai cosa. Il modo in
cui il diritto distingue i soggetti dagli
oggetti è l’attribuzione ai primi della
capacità giuridica. “Per il diritto essere
soggetto, essere persona, avere capacità
giuridica sono espressioni sinonimiche”
(cfr. Enciclopedia giuridica
Treccani; vol. V, voce “capacità”). La
capacità giuridica può essere estesa
ad entità diverse dall’individuo umano
(enti pubblici o privati), ma, in base
al principio di eguaglianza, non
può mai essere negata all’uomo. Essa
“ha la funzione di tradurre in una
qualificazione rilevante per il diritto
la condizione naturale dell’individuo”
(cfr. voce Persona fisica, in “Enciclopedia
giuridica “, Treccani); perciò
“rappresenta la condizione prima del
principio di eguaglianza non solo formale,
ma, soprattutto, sostanziale”
(Dogliotti, commentario al c.c. pag.
117). Questa è una acquisizione conquistata
nel corso di un lungo cammino
storico, che si potrebbe concludere
proprio con l’approvazione della legge
ora presentata. Nell’antico diritto
lo schiavo, pur essendo riconosciuto
come uomo, era considerato una cosa,
oggetto di proprietà, in libera disponibilità
dei padroni. La sua uccisione
costituiva danneggiamento, non omicidio.
Né così disumane considerazioni
sono lontane dal nostro tempo. Vultenyus
(1565-1634), il primo giurista
moderno che usa la parola “persona”
in senso tecnico, poté scrivere: “Servus
enim homo est, non persona. Homo
naturae, persona iuris civilis vocabulum”.
Ancora più recentemente, il
6 marzo 1857, la Corte Suprema degli
Stati Uniti, nella causa Dred Scott
contro Stanford ha scritto: “I neri non
sono persone secondo le leggi civili”.
Si comprende allora perché la Corte
Costituzionale Ungherese, nella sentenza
n°64 del 17 dicembre 1991, dopo
aver riconosciuto che il concepito è
un essere umano, ma ritenendo distinto
fino ad oggi il concetto naturalistico
di uomo da quello giuridico, ammonisce
il legislatore ordinario: “La questione
si pone nel senso che la posizione
giuridica dell’uomo dovrebbe essere
aggiornata e cioè anche il concetto
giuridico di uomo si dovrebbe estendere
alla fase pre-natale, fino al concepimento.
La natura e la portata di
tale estensione potrebbero essere paragonate
soltanto all’abolizione della
schiavitù, anzi sarebbero ancora più
significative perché la soggettività giuridica
dell’uomo raggiungerebbe il
suo estremo limite possibile e la sua
perfezione”.
Nel diritto positivo vi sono già le
premesse per il riconoscimento della
soggettività giuridica di ogni uomo fin
dal concepimento. L’art. 6 della Dichiarazione
Universale sui diritti dell’uomo
e l’art. 16 del patto sui diritti civili
e politici attribuiscono a “tutti” il
diritto al riconoscimento della capacità
giuridica. Più esplicitamente ancora
l’art. 3 della Convenzione americana
sui diritti dell’uomo attribuisce
la capacità giuridica fin dal concepimento.
Nel nostro diritto positivo l’art.
22 della Costituzione stabilisce che
“Nessuno può essere privato della capacità
giuridica”. Come è noto la capacità
giuridica è l’attitudine alla titolarità
dei diritti. Non importa il numero
dei diritti. Basta l’imputazione anche
di un solo diritto per affermare
l’esistenza della capacità. L’attuale
formulazione dell’art. 1 c.c. afferma
che “La capacità giuridica si acquista
dal momento della nascita”, ma subito
aggiunge “I diritti che la legge riconosce
al concepito sono subordinati
all’evento della nascita”. Tale formulazione,
di origine romanistica, ha suscitato
non poche discussioni. Come si
può escludere la “capacità” del concepito,
se gli si riconoscono dei diritti?
Non ci soffermeremo sulle tesi contrapposte
sostenute dai giuristi. Basta
riflettere che i diritti riconosciuti al
concepito dal Codice Civile, peraltro
subordinati alla nascita (condizione
risolutiva o sospensiva?) sono quelli
derivanti da successione ereditaria o
da donazioni. Si tratta dunque di diritti
patrimoniali privati. Ma il soggetto
può avere anche diritti di carattere
pubblico, come il diritto alla vita e alla
salute, non disciplinati dal Codice
Civile, ma dal diritto pubblico, in particolare
dalla Costituzione. Perciò la
capacità giuridica, che è di per sé un
concetto unitario, si estende sia nel diritto
privato che in quello pubblico. Si
può dunque sostenere che la capacità
giuridica di cui parla l’art. 1 c.c. è soltanto
quella privata. E’ comunque evidente
che un chiarimento legislativo è
opportuno. L’articolo 1 della L. 40/04
ha effettuato tale chiarimento laddove
afferma che la legge “garantisce i
diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso
il concepito”. Dunque il concepito
è qualificato “soggetto” al pari
delle altre persone coinvolte: i genitori,
il medico. Ed è un soggetto titolare
di diritti. Tale dichiarazione equivale,
per quanto sopra detto, al riconoscimento
della capacità giuridica del
concepito. Ma l’art. 1 della legge 40 riguarda
solo la materia della procreazione
medicalmente assistita. Non ha
dunque una portata generale come
l’art. 1 c.c. Inoltre nei primi anni di applicazione
della legge 40 né in sede
giurisprudenziale, né amministrativa
l’art. 1 ha giocato un ruolo interpretativo
forte. E’ opportuno perciò rinforzare
e rendere estesa anche in ambiti
diversi dalla P.M.A. il principio proclamato
dall’art. 1 L. 40/04. Nell’articolo
1 della L. 22.5.78 n. 194, sulla interruzione
volontaria della gravidanza è
detto che “la Repubblica tutela la vita
umana fin dal suo inizio”. Vi è una
attenzione verso il concepito, ma non
vi è l’attribuzione del diritto alla vita
e tanto meno il riconoscimento della
sua soggettività. Infatti si possono tutelare
anche le cose, come di fatto si
tutelano gli animali, le opera d’arte, i
boschi, il clima.
Nell’art. 1 della L. 194 non vi è una
negazione dei diritti del concepito,
ma nemmeno vi è un loro riconoscimento.
Tanto più opportuna è, dunque,
la modifica dell’art. 1 c.c. perché
essa condurrebbe ad una applicazione
della intera legge 194 più coerente
con l’intento di prevenire l’aborto volontario,
in qualsiasi forma, legale o
clandestino che sia.
La Corte Costituzionale nella sua
sentenza fondamentale n. 27 del 18
febbraio 1975 ha affermato che i diritti
dell’uomo spettano anche all’embrione,
ma poi ha affievolito la forza
di tale riconoscimento argomentando
che “l’embrione persona deve diventare”.
Il riferimento all’art. 1 c.c. è evidente.
Dunque la correzione dell’art.
1 appare altamente significativa. Nei
dibattiti sui mezzi di informazione che
seguirono alla presentazione della
proposta di legge popolare, due furono
le obiezioni. In primo luogo si osservò
che l’innovazione avrebbe reso
confusi i rapporti ereditari nel caso di
morte del concepito prima della nascita.
E’ facile rispondere che la modifica
proposta lascia intatta la disciplina
dei rapporti patrimoniali in quanto
aggiunge al 2° comma dell’art. 1 la
parola “patrimoniali”. In sostanza,
mentre i diritti patrimoniali restano
subordinati all’evento della nascita, i
diritti non patrimoniali, in primo luogo
il diritto alla vita, vengono affermati
nella loro pienezza, fin dal concepimento,
come conseguenza del riconoscimento
della capacità giuridica.
La seconda obiezione è più consistente,
ma vi è anche per essa una risposta
umanamente e giuridicamente
seria. Si disse che la modifica dell’art.
1 c.c. sarebbe in contrasto con la legge
194. Ma questa obiezione contiene un
giudizio assolutamente inaccettabile
sulla legge 194. Il presupposto logico
della critica, infatti, è che la base della
legge 194 sarebbe la negazione della
identità umana del concepito ovvero
del principio di uguaglianza. Ma
non mancarono voci, sia durante l’iter
parlamentare, sia nella successiva fase
di applicazione della legge, secondo
le quali proprio la depenalizzazione
dell’aborto avrebbe avuto lo scopo
di difendere la vita umana attraverso
un consiglio e un aiuto che sarebbero
impossibili in un sistema di clandestinità.
Purtroppo nella applicazione
della legge è prevalsa l’attenzione rivolta
soltanto alla donna, con il costo
di ignorare totalmente gli interessi e i
diritti del concepito fino al punto di
negarne, talvolta, la sua stessa identità
umana. Si tratta di un prezzo inaccettabile.
Invece la posizione di taluni
sostenitori della legge 194 suppone la
compatibilità del riconoscimento della
soggettività dell’embrione con una
politica di depenalizzazione dell’aborto.
Questo modo di pensare è stato teorizzato
dalla Corte Costituzionale tedesca
nelle decisioni del 5/2/1975;
4/8/1992, 25/5/1993. In esse viene sviluppata
la teoria del diritto penale come
“extrema ratio”, cioè come strumento
imposto non dalla gravità del danno
sociale che si intende evitare, ma dalla
inesistenza di altri mezzi non penali
più efficaci per ottenere l’obiettivo
perseguito. Nel caso dell’aborto questa
giurisprudenza costituzionale tedesca,
fermissima nel riconoscere la
individualità umana e quindi giuridicamente
rilevante del concepito, individua
tali strumenti alternativi nel
consiglio e nell’aiuto in vista della
prosecuzione della gravidanza, con
l’avvertenza che tali strumenti non devono
essere intesi come funzionali ed
un inganno della pubblica opinione,
o, comunque di basso profilo, ma come
un modo più alto ed efficace di difendere
la vita umana. A questa riflessione
si può aggiungere che il diritto,
prima di tutto, prima di essere divieto
e sanzione, è “guida all’azione”. Esso
ha la funzione di orientare spontaneamente
la libertà dei consociati verso
precisi obiettivi di bene comune. Tanto
più necessaria è una tale funzione
di “guida all’azione” quanto più è importante
il bene da perseguire (nel caso
in esame la stessa vita umana!) e
quanto più lo Stato sceglie di affidarsi
alla libertà dei singoli.
In conclusione il formale riconoscimento
sulla soggettività giuridica del
concepito non è soltanto l’esito moderno
e inevitabile del principio di
eguaglianza. Non è soltanto una soluzione
giuridicamente corretta non
contraddittoria rispetto ad altre parti
dell’ordinamento italiano. E’ anche
un modo per motivare meglio il coraggio
delle madri, dei padri e delle famiglie,
nonché l’impegno della società
in ogni sua articolazione per rimuovere
le difficoltà che potrebbero
orientare una donna verso l’IVG. Confidiamo,
pertanto in una sollecita discussione
e approvazione della legge
da noi proposta.

DISEGNO DI LEGGE
Art. 1 1. L’articolo 1 del codice civile
è sostituito dal seguente:
“Art. 1 (Capacità giuridica). 1. Ogni
essere umano ha la capacità giuridica
fin dal momento del concepimento. 2.
I diritti patrimoniali che la legge riconosce
a favore del concepito sono subordinati
all’evento della nascita”.