di Anna Foa
Sannicandro, oggi San Nicandro, è
una cittadina pugliese, un paesotto
del Gargano che poco ha di urbano
a tutt’oggi, figuriamoci alla fine degli
anni Venti del secolo scorso, quando
vi iniziò un’avventura straordinaria,
quella che portò una settantina dei
suoi abitanti a diventare ebrei, ad attendere
molti anni di potersi convertire
formalmente all’ebraismo e infine
a trasferirsi in Israele, subito dopo
il 1948. Erano, quelli successivi alla
Prima guerra mondiale, anni percorsi
da fermenti politici e religiosi di ogni
tipo anche nel sud, profondamente
modificato dalle migrazioni di tanti
suoi figli in America. Diffusi ed attivi
nel proselitismo erano i protestanti,
in particolare i movimenti pentecostali.
Il protagonista di questa vicenda,
unica nella lunga storia dei rapporti
tra mondo cristiano e mondo ebraico,
è un bracciante analfabeta, Donato
Manduzio, tornato invalido dalle trincee
della Grande guerra. In ospedale
ha imparato a leggere e a scrivere e,
costretto alla quasi immobilità, passa
il tempo immerso nelle letture. Letture
disparate, spesso casuali. Quando
un vicino gli regala una Bibbia avuta
da un predicatore pentecostale – una
Bibbia in italiano, nella traduzione di
Lutero – Manduzio vi si immerge totalmente,
scoprendo che nel testo biblico
non si faceva parola né della Trinità
né del Papa né di Gesù e che vi si
narrava invece di un popolo perduto
in paesi lontani a cui Dio apparve sulla
montagna consegnando la “vera fede”.
Intorno a lui cominciano a radunarsi
amici, parenti, vicini. Il gruppo
discute le parole lette da Manduzio,
con ingenuità e curiosità, senza preconcetti.
E’ la prima volta che hanno
l’occasione di affrontare direttamente
la parola di Dio. A poco a poco, da
semplice lettore, Manduzio diviene un
interprete, pervaso di messianesimo e
di tensioni mistiche, mentre i suoi seguaci
imparano a leggere e a scrivere.
Di fronte a questa grave violazione
religiosa – la lettura del testo sacro in
italiano – intervenne il prete del luogo.
Non solo però non riuscì a spuntarla,
ma perse anche il suo sacrestano,
che si unì al gruppo di Manduzio.
Si fecero vivi anche i luterani, convinti
di far proseliti e di strappare fedeli
ai papisti. Ma, se la lettura della Bibbia
aveva convinto Manduzio e i suoi
seguaci che il cattolicesimo non aveva
granché a che vedere con quanto ritrovavano
nel testo, non li aveva però
spinti nella direzione di una conversione
al protestantesimo. Erano giunti
alla conclusione che la vera fede
fosse quella ebraica, come era esposta
nel testo biblico, e si proclamavano
ebrei. Erano convinti, d’altronde,
che gli ebrei non esistessero più, che
fossero stati soppiantati dai cristiani.
Insomma pensavano fermamente di
essere gli unici ebrei sulla faccia della
terra. Cominciarono a osservare il
sabato, a tenersi lontani dai riti cattolici,
ad adottare quelli ebraici che imparavano
faticosamente a conoscere
studiando il Levitico. Erano ovviamente
molto distanti dalla ritualità
ebraica vera e propria, non conoscevano
il Talmud, e il loro unico punto
di riferimento era il testo biblico. Ma
quando vennero casualmente a sapere
che di ebrei sulla faccia della terra,
e perfino in Italia, ce ne erano ancora
molti, e che se volevano essere davvero
ebrei dovevano mettersi in contatto
con loro, decisero di scrivere a Roma
e di informare il rabbino capo dell’esistenza
della loro comunità, chiedendo
di essere convertiti. Per due
volte le loro lettere restarono senza risposta,
poi, infine, ricevettero risposta.
David Prato, il rabbino capo della
Comunità di Roma, li esortava ad attendere
tre anni meditando sul passo
che volevano compiere, prima di affrontare
il problema della conversione.
Nel frattempo, Roma inviava loro
testi biblici, scialli e libri di preghiera.
Era il 1934. Lentamente, il paese si
abituava alla presenza di quel gruppo
di “ebrei” che mangiavano secondo le
regole ebraiche, celebravano le feste
ebraiche, leggevano la Bibbia, pregavano
e creavano canti religiosi. Le tensioni
semmai furono interne, tanto è
vero che si formarono due comunità
in conflitto, quella rimasta intorno a
Manduzio ed una fondata dal ciabattino
Mattoni. Ma i tempi stavano diventando
sempre più grami. I protestanti
erano sottoposti a molte restrizioni, e
nel 1937 anche i seguaci di Manduzio
furono ammoniti e multati pesantemente
dalla polizia. Non si trattava di
antisemitismo, ma del sospetto che le
loro riunioni nascondessero attività
antifasciste. In quell’occasione, intervenne
l’Unione delle comunità israelitiche
a chiarire la situazione. Il presidente
Raffaele Cantoni si recò a
Sannicandro a visitare questi strani
ebrei, portando loro in dono libri.
Nel 1938, passati i tre anni, Manduzio
ricevette infine dal rabbinato una
lettera che li esortava, per il loro bene,
ad avere ancora pazienza: il momento
non era molto favorevole agli
ebrei, meglio aspettare che passasse
la bufera delle leggi razziali. Sul momento,
convertirsi all’ebraismo non
era cosa consigliabile. Una decisione
che a Sannicandro venne interpretata
come un rifiuto, e molto sofferta. Nel
1940, con l’entrata in guerra, il Sud si
riempì di campi di internamento per
ebrei italiani e soprattutto stranieri,
Mai, dopo il 1540, data dell’espulsione
definitiva degli ebrei dal meridione
d’Italia, queste zone avevano visto tanti
ebrei. A soli cinquanta chilometri
da Sannicandro, a Manfredonia, fu
creato un campo di internamento, dove
furono rinchiusi molti ebrei tedeschi,
ma a Sannicandro la vita continuava
a scorrere senza troppe tensioni.
Soltanto poco prima dell’8 settembre,
i tedeschi, che si avviavano ormai
ad abbandonare la zona incalzati dall’avanzata
alleata, si fermarono in
paese a chiedere dove fossero gli
“ebrei”, ma il paese intero li protesse.
Venne la liberazione, con gli angloamericani
che circolavano ovunque
distribuendo cioccolata e sigarette.
Fu in questa circostanza che gli
ebrei di Sannicandro scoprirono, increduli
ed estasiati, la stella di Davide
sulle camionette. Era la famosa
brigata ebraica, formata da ebrei della
Palestina arruolati nell’esercito inglese.
Sarà un ufficiale di quella Brigata,
Phinn Lapide, a stringere più
forti rapporti con loro, a leggere le
carte di Manduzio, il suo diario, la documentazione
che raccontava quei
tredici anni, dal 1930 in poi, in cui si
era formata la piccola comunità. Nel
1953 scriverà sulla loro vicenda un libro,
“The prophet of San Nicandro”,
tradotto in italiano nel 1958 con il titolo
“Mosè in Puglia” (Longanesi). Fra
quanti, incuriositi dalla sua storia, andarono
a far visita a Manduzio, ci fu
anche, nel marzo 1944, un ufficiale
dell’esercito inglese. Era un ebreo italiano
che veniva dalla Palestina ed
era impegnato in una missione volta a
soccorrere gli ebrei ancora sotto l’occupazione
nazista. Si chiamava Enzo
Sereni, e viene oggi considerato uno
dei padri fondatori dello stato d’Israele.
Nel maggio dello stesso anno, compirà
la sua ultima missione, paracadutandosi
in Toscana, dove sarà arrestato
dai nazisti, per morire poi a Dachau.
Finita la guerra, gli ebrei di
Sannicandro otterranno infine di convertirsi,
non senza ulteriori difficoltà.
La conversione, una conversione di
massa senza precedenti di settanta
persone fra uomini, donne e bambini,
avvenne nell’agosto 1946. Donato Manduzio,
fortemente contrario a lasciare
la sua terra per il nuovo stato degli
ebrei, si spegnerà nel marzo del 1948.
Tra il 1948 e il 1950, i suoi seguaci faranno
tutti l’aliyah in Israele, stabilendosi
vicino a Tzfat, e a Sannicandro rimangono
solo cinque ebrei. Attualmente,
sono una cinquantina e mantengono
in vita una piccola comunità.
Ma qual era il contesto culturale in
cui la conversione di Sannicandro è
nata? Quali le memorie della presenza
ebraica nel sud d’talia, dopo secoli
dall’espulsione? Nell’Alto Medioevo,
gli ebrei italiani erano stanziati soprattutto
al sud, sulle coste. La Puglia
era particolarmente importante: qui
in quei secoli, nelle fitte comunità
ebraiche che la popolavano, era stato
introdotto il Talmud babilonese e si
era, sembra, costituita la stessa forma
comunitaria. Questo mondo era finito
già all’inizio del secondo millennio, e
gli ebrei rimasti nel meridione erano
stati convertiti a forza o esiliati sotto
la dominazione angioina. Nel Trecento
le sinagoghe pugliesi erano state
trasformate in chiese. Ma non era questa,
la memoria dietro quella conversione.
Più recente era il ricordo delle
conversioni e dell’esilio che accompagnarono
l’inizio della dominazione
spagnola, e soprattutto del fenomeno
del marranesimo: il criptogiudaismo
di convertiti a forza, o di discendenti
di convertiti, che continuano a mantenere
nascostamente credenze, riti ed
usanze degli ebrei, duramente perseguitati
dall’Inquisizione, mandati sul
rogo ove scoperti. Il sud d’Italia è pieno
di reminescenze famigliari (nomi,
usanze, particolarità) a cui far risalire
una lontana origine ebraica perduta
nelle generazioni.
Manduzio non guarda a questa memoria.
Legge la Bibbia, non sa di Talmud,
Mishnah, cultura rabbinica. Il
suo ebraismo, quello dei suoi seguaci,
viene direttamente dal testo biblico.
Ma su qualcosa doveva pur innestarsi.
Pensiamo innanzitutto, alla vasta
diffusione del protestantesimo, con
cui lo stesso Manduzio, prima di accostarsi
all’ebraismo, era venuto in contatto,
alla pratica di una lettura diretta
del testo biblico di matrice protestante,
anche se diverse sono le conclusioni
che Manduzio ne trasse. Inoltre,
ricordiamo che ci sono stati nel
sud d’Italia, prima di questo, casi di
cattolici, non discendenti da ebrei
convertiti, che si scoprivano ebrei leggendo
i testi. “Vecchi cristiani”, per
dirla usando il linguaggio del tempo,
che volevano diventare ebrei non per
trovare radici più o meno lontane, ma
per convinzione. Qualche anno fa uno
storico, Giovanni Romeo, ne ha tratti
alcuni dall’oblio. Finivano assai male,
naturalmente: sul rogo, in prigione,
suicidi, considerati pazzi. Figure
affascinanti, di persone qualunque o
di mistici e intellettuali, come Giulio
Cesare Gambardella, un giovane napoletano
tormentato da una deformità
fisica e considerato “scemo di
cervello”, torturato e condannato al
carcere perpetuo nel 1579, come Giovanni
Leonardo Gatto, anch’egli napoletano,
dottore in legge, dichiarato insano
di mente, e soprattutto come il
pugliese Ottavio d’Arimini, filosofo e
teologo, che sarà giustiziato a Roma
dopo un processo in cui si era dimostrato
“del tutto miscredente dela fede
christiana” e credente invece in
“un solo Iddio in cielo a costume di
hebrei”. Un altro caso interessante è
quello di Scipione Vallati, anch’egli
di origine pugliese, un giovane colto
che a Napoli nel 1605 decide di rifiutare
il cattolicesimo e di farsi ebreo,
arrivando a tentare di circoncidersi.
Denunciato in ospedale dal suo confessore,
morirà prima che il processo
inquisitoriale sia compiuto. Nelle sue
dichiarazioni, oltre all’esaltazione del
monoteismo, un acceso spirito messianico.
Questi casi, per quanto sporadici,
rivelano come l’ebraismo possa
aver giocato un ruolo importante come
punto di riferimento di un dissenso
religioso diffuso soprattutto al sud
nei primi decenni della dominazione
spagnola. Gli stessi della fuga di Giordano
Bruno e della congiura di Tommaso
Campanella, in un momento di
riflusso delle spinte riformatrici di
matrice protestante.
C’è infine un’altra matrice che merita
di essere analizzata nella ricerca
dell’origine della conversione di Sannicandro:
la cultura contadina. Una
volontà forte di apprendere, un desiderio
di mettere la cultura alta al vaglio
della propria critica, testardaggine
e se vogliamo anche molta confusione,
e l’idea che apprendere ti metta
in grado di decidere. C’è un senso
forte delle proprie autonome capacità
di comprendere in un analfabeta
che impara a leggere e si fa maestro e
quasi profeta. Come Campanella, anche
Manduzio si era macerato gli occhi
sull’olio delle lampade e aveva
anteposto la cultura a tutto il resto.
Un filo rosso unisce i vari aspetti di
questo mondo bizzarro della cultura
eterodossa del Sud d’Italia, in tutte le
forme che assume, nel Dio che nega
come in quello che accetta.
Anna Foa
Il Foglio 22 dic. 2009