Al direttore - Si propone di archiviare
come non pertinenti le argomentazioni
polemiche su quella che
viene letta come l’ennesima provocazione
di Benedetto XVI, che ha osato
firmare il decreto sulle virtù eroiche
di Pio XII, il cosiddetto “Papa di Hitler”
e del “silenzio” sulla tragedia
del popolo ebraico. Tale proposta è
destinata a non essere presa in considerazione,
non tanto a causa dei rapporti
tra cattolicesimo ed ebraismo,
perché, se fosse solo per questo, la
questione sarebbe facilmente risolvibile:
alla lunga, la logica renderebbe
evidente l’incongruenza di una religione
che si occupa degli affari interni
a un’altra. Il film sulla leggenda nera
di Pio XII continuerà ad andare in
onda perché frutto di un’antica partita
interna al mondo cattolico. Lo ha
spiegato il rabbino americano David
G. Dalin in appendice al volume di
Burkhart Schneider, “Pio XII”. “Quasi
nessuno degli ultimi libri su Pio XII
e sull’Olocausto” spiega “parla di Pio
XII e dell’Olocausto. Il vero tema di
questi libri risulta essere una discussione
interna al cattolicesimo circa il
senso della chiesa oggi, dove l’Olocausto
diviene semplicemente il bastone
più grosso di cui i cattolici progressisti
possono disporre come arma contro
i tradizionalisti”. Gli attacchi a Papa
Pacelli iniziarono all’interno del
modo cattolico un decennio prima che
in quello ebraico. Erano frutto di quel
cattoprogressismo che non perdonò
mai al Pontefice l’opposizione al progetto
di apertura a sinistra concepito
da Alcide De Gasperi. Correva l’anno
1952: Pio XII aveva capito che l’ambigua
visione degasperiana, ispirata al
progressismo di Jacques Maritain ed
Emmanuel Mounier, rappresentava la
strategia cattocomunista il cui strumento
poteva essere solo un partito a
due teste come la Dc: una bigotta e
perbenista e l’altra eterodossa, in rivolta
contro l’autorità romana.
La cattiva politica è frutto della cattiva
teologia. E la cattiva politica, di rimando,
cerca sempre di influire sulla
teologia allo scopo di modificare la
realtà della chiesa. Si capisce dunque
che la ritorsione cattoprogressista
contro Pio XII, dal piano politico, doveva
salire a quello teologico. Tanto
più che quell’ambiente aveva più di
un conto in sospeso con quel Papa.
Nel 1950, con l’enciclica “Humani generis”
aveva messo in guardia il gregge
cattolico dalle teorie eterodosse di
teologi come Rahner, Teilhard de
Chardin, de Lubac. Prima, da cardinale,
aveva individuato nel pensiero di
Maritain la chiave della deriva sinistrorsa
e nichilista del pensiero cattolico.
La difesa dei novatori, in perfetto
stile rivoluzionario, partì dalla calunnia
personale per cercare di erigere
un castello teologico. Ci provò Mounier
accreditando come reazione agli
errori del cardinale Pacelli le atrocità
commesse dai rivoluzionari spagnoli
contro i cattolici. Dal canto suo, Maritain
diceva di avere “una certa paura
del cardinale Pacelli”. Pio XII divenne
l’emblema della chiesa costantiniana
da abbattere per far luogo alla
Nuova Chiesa dello Spirito. Giuseppe
Alberigo raccontò a Repubblica che
nel 1953, su istigazione di “un padre
benedettino pio e assai famoso”,
pregò perché Pio XII morisse presto
in quanto era “un peso per la chiesa”.
L’aggressione personale non rappresenta
nulla di nuovo sotto il cielo cattoprogressista.
E mostra la vera anima
degli adepti di questa neoreligione,
scissi tra la caccia al male assoluto e
il compromesso con il male necessario.
Per questo gli attacchi a Pio XII
non cesseranno in fretta e troveranno
linfa dentro al mondo cattolico.
Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
Il Foglio 22 dic. 2009