Dopo l’approvazione alla Camera del novembre scorso e quella del Senato col voto della vigilia di Natale (come Avvenire ha riferito giorno per giorno), la riforma sanitaria voluta dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama è giunta al momento forse più delicato. Non che fino a oggi il percorso sia stato privo di ostacoli – basti pensare che alla Camera il via libera è giunto con soli due voti in più dello stretto necessario, nonostante il partito democratico goda di un’ampia maggioranza – ma adesso si rende necessaria una complessa opera di armonizzazione, visto che Camera e Senato hanno discusso due testi diversi.
Una delle differenze riguarda il finanziamento pubblico dell’aborto. Il testo approvato dalla Camera, infatti, conteneva la misura nota come «emendamento Stupak» (dal nome del deputato democratico che lo ha promosso) col quale si impedisce che il denaro dei contribuenti finanzi pratiche abortive. Le reazioni delle associazioni che sostengono il diritto della donna di scegliere se porre termine alla gravidanza erano state furiose: la Planned Parenthood dichiarava che la situazione per le donne sarebbe peggiorata, mentre la Naral Pro Choice America definiva «pericolosa» la misura approvata.
La Conferenza episcopale statunitense, in una nota, aveva invece definito l’emendamento «ragionevole», augurandosi che provvedimenti analoghi fossero adottati anche nei passaggi successivi. Ancora i vescovi americano hanno poi messo in guardia da inaccettabili compromessi sul tema del finanziamento all’aborto.
Appelli inascoltati, se è vero che proprio di «compromesso» parlano sia le associazioni prolife sia quelle a favore dell’aborto a proposito dell’accordo raggiunto su un insieme di emendamenti al testo del Senato. Secondo l’associazione National Right to Life, il testo approvato introduce di fatto il finanziamento dell’aborto con fondi federali, oltre a non assicurare la necessaria garanzia per l’obiezione di coscienza del personale sanitario, e di fatto annulla quanto di buono era stato fatto alla Camera. Di segno opposto le considerazioni di molte associazioni pro-aborto, che lamentano le eccessive complicazioni procedurali per ottenere la copertura per i cosiddetti 'diritti riproduttivi'.
Ora si rende necessario unificare i due testi, ma i segnali non sono incoraggianti. Robert Gibbs, portavoce della Casa Bianca, ha ammesso che, a proposito del finanziamento all’aborto, il testo del Senato rispecchia meglio gli obiettivi di Obama. Intanto ieri sera è diventata ufficiale la decisione di non istituire la Commissione bipartisan per elaborare il testo definitivo. Durante un incontro tra Obama e i leader democratici di Camera e Senato si è infatti deciso di ripartire dalla Camera: qui la base per la discussione sarà il testo licenziato dal Senato che, ritoccato e approvato, sarà poi rispedito ai senatori per il definitivo via libera, programmato per febbraio. Intanto un sondaggio evidenzia che il 53% degli americani è contrario al finanziamento pubblico dell’aborto.
Lorenzo Schoepflin
Avvenire 7 gennaio 2010