Roma. Qualcosa sta cambiando anche
fra i Lumi di Parigi, se all’Académie
française il seggio lasciato vacante dal cardinale
Jean-Marie Lustiger, nominato arcivescovo
di Parigi nel 1981 da Giovanni
Paolo II e scomparso nell’estate 2007, è andato
al filosofo cattolico Jean-Luc Marion,
che insegna Metafisica alla Sorbona, è l’erede
di Paul Ricoeur all’Università di Chicago,
e ha le stesse posizioni del Vaticano
in fatto di bioetica e immigrazione. Eletto
al primo turno un anno fa, Marion è stato
accolto ieri da monsignor Claude Dagens
alla Coupole, l’edificio sulla Senna che da
quattro secoli ospita i 40 immortali, e ha
tenuto a sua volta un magnifico discorso su
monsignor Lustiger, nato ebreo da due polacchi
emigrati a Parigi, e convertito al cristianesimo
grazie alla lettura della Bibbia.
Marion è uno studioso di Cartesio, formato
nel più classico dei modi: liceo Condorcet,
Ecole Normale, assistente di Ferdinand
Alquié alla Sorbona. Nel 1975 fu
tra i fondatori di “Communio”, rivista voluta
da Jean Daniélou che ebbe in Joseph
Ratzinger il suo responsabile in Germania,
e impose tesi oggi correnti, come la razionalità
della fede cristiana e il suo diritto
a esporsi sulla pubblica piazza. Ma il
successore di Lustiger, che nel 1970 celebrò
le sue nozze e lo volle poi come suo
collaboratore a Notre Dame, ha avuto pure
la sua stagione heideggeriana alla scuola
di Jean Beaufret, un vecchio resistente
che da discepolo di Martin Heidegger ne
sdoganò il pensiero in Francia e poi finì filonegazionista.
Alla rue d’Ulm, Marion ha
frequentato Althusser, Deleuze, Derrida e
il decostruzionismo, preparandosi ad affrontare
la crisi della filosofia contemporanea,
“crisi della razionalità ridotta a calcolo
e quantificazione, specie se strumentalizzata
dal potere della tecnica e della
politica”, come ha ricordato Dagens. La
differenza, rispetto a un semplice heideggeriano,
è che Marion, forte della cultura
classica e cristiana recepita grazie ai giganti
della patristica come Henri de Lubac,
Marie-Joseph Le Guillou e Hans Urs
von Balthasar, concepisce la fine della metafisica
e la morte di Dio come il tramonto
di concetti idolatrici, di presunti valori supremi,
e sfida le tesi di Nietzsche con una
prova di verità, convinto com’è che non si
può rinunciare a Dio se si vuole superare
le strettoie del nichilismo in cui si è cacciata
la razionalità moderna.
L’altro grande tema della sua riflessione
è l’amore, che per il cattolico Marion
precede l’essere, e dunque permette di
correggere l’idea cartesiana della soggettività
come ego cogitans, e riscoprire da
moderni un fondamento metafisico che ha
nel dono il suo mistero. Lo dimostra il discorso
che Marion ha dedicato ieri al suo
predecessore, il cardinale Lustiger, dove
l’omaggio a una grande figura del cattolicesimo
contemporaneo, l’uomo che all’unisono
col Papa polacco seppe riconciliare
la chiesa e la modernità in nome dei diritti
dell’uomo, diventa anche l’elogio dell’ebreo
convertito, che riuscì a ripensare la
fedeltà del cristianesimo al giudaismo,
conciliando le due anime d’una stessa promessa
universale di elezione.
Marina Valensise
Il Foglio 22 gennaio 2010