Roma. Il libero accesso alla pornografia
su Internet sta uccidendo, tra gli adolescenti,
l’idea stessa di intimità e sta radicando
un’idea disumanizzante e distorta
del sesso. L’accusa, ripresa domenica scorsa
sulle pagine del Times, arriva da Natasha
Walter, quarantaduenne femminista e
firma di giornali liberal come l’Independent
e il Guardian, oltre che autrice, nel
1998, del pamphlet “The new feminism”.
Ora, con “Living Dolls” (in uscita il prossimo
4 febbraio in Gran Bretagna), Walter
racconta di un mondo in cui la visione di
centinaia, migliaia di estranei che si accoppiano
è diventata propedeutica a qualsiasi
diretta esperienza amorosa e sessuale.
E’ l’imprinting avvelenato con cui fa i
conti la vita erotica dei nuovi adolescenti.
Walter racconta il muro di silenzio che
circonda “il grande Leviatano di oscenità
su Internet, al quale chiunque può accedere
con un paio di clic del mouse”, e dice
che non c’è nulla di buono da aspettarsi
dalla “colonizzazione massiccia della
vita erotica adolescenziale da parte del
materiale pornografico”. Spesso cercato,
ma in grado di raggiungere cellulari e posta
elettronica anche non richiesto: “E’ il
consumo di pornografia tra i bambini a
essere sorprendente. In uno studio del
2000, il 25 per cento dei bambini di età
compresa tra i dieci e i diciassette anni
aveva visto pornografia on line sotto forma
di pop-up o posta indesiderata. Nel
2005 erano diventati il 34 per cento, oggi
sono il 42 per cento”. Anche se, dando retta
ai ragazzini intervistati in “Living Dolls”,
si è indotti a pensare che nessuno riesca
a sottrarsi. Si dirà che, da sempre, la
curiosità per il proibito – e il proibito per
eccellenza rimane il sesso, anche dove vige
l’educazione al preservativo obbligatorio,
come in Inghilterra – fa parte di ogni
paideia che si rispetti. Ma l’elemento dirompente
è la modalità di soddisfazione
di quella curiosità. Un conto è (era) cercare
sullo scaffale più alto della libreria
“Justine” o “L’amante di Lady Chatterley”,
oppure, nella stanza del fratello
maggiore, riviste e fumetti pornografici.
Un conto è quello che accade ora: “Una
volta, chi era veramente affascinato dalla
pornografia poteva trovare, con qualche
difficoltà, dieci, venti o cento immagini
per soddisfarsi. Ora, chiunque può avere
su un sito Web venti, cento, mille scelte
di video e immagini”. Nel frattempo, lamenta
Walter, visto che è stata ridicolizzata
la classica critica femminista alla pornografia
(quella che la accusa di comportare
o di favorire abusi sulle donne), non
ci sono molti altri luoghi dove “i giovani
possano sentire critiche alla pornografia
o anche solo discutere dei suoi effetti”.
Una donna intervistata, che dopo sette
anni di matrimonio si è separata da un
marito porno-dipendente, dice alla giornalista
che invece vorrebbe molto “vedere
un dibattito pubblico sugli effetti della
pornografia. Ma il porno è stato normalizzato,
al punto che chiunque voglia combatterlo
ormai va incontro al dileggio”. E’
sempre più scontata l’idea che non c’è
niente da fare: i ragazzi cresceranno “in
un mondo in cui la pornografia è onnipresente
ed è parte dell’esperienza sessuale
di tutti, o quasi”. Inutile sottolineare il
ruolo che Internet ha in questa universalizzazione
dell’iniziazione sessuale attraverso
il porno. Natasha Walter non pensa
che la pornografia sia il demonio e nemmeno
azzarda ipotesi di censura. Ma non
può fare a meno di constatare il disagio e
la sofferenza che già è provocato dalla colonizzazione
dell’immaginario erotico a
portata di mouse: “Sono stata scettica riguardo
all’idea che Internet avesse cambiato
l’accesso e l’atteggiamento delle
persone verso la pornografia. Chi la cerca
è sempre stato in grado di trovarla, ad
Atene nel V secolo o negli anni ’50. Ma ci
sono prove che Internet ha portato un
reale cambiamento per molte persone, soprattutto
per i giovani”.
Il Foglio 22 gennaio 2010