DAL NOSTRO INVIATO AD AMSTERDAM MARINA CORRADI L e nove di una sera nelle feste di Natale. Il centro di Amsterdam sotto la neve è ricolmo di luci. Prendi il metrò e scendi alla stazione Lelylaan, alla periferia sud- ovest della città. Ecco Slotervaart, quasi un’isola musulmana: la grande maggioranza dei residenti sono immigrati arabi (per lo più marocchini) e turchi. È un quartiere popolare che negli ultimi decenni ha visto l’esodo degli olandesi parallelamente all’insediamento massiccio degli stranieri. Non ci sono bar ma solo botteghe di kebab; nei supermercati molte cassiere portano il velo. Gli stabili sono tutti uguali, dignitosi, con grandi finestre da cui scorgi stanze ampie. Meglio di molte nostre periferie, quanto a decenza e manutenzione: tuttavia, quando ti inoltri in queste strade è evidente che sei in un ghetto. Una città nella città, in cui è tanto raro incrociare un olandese che, se ne vedi uno, ti volti a guardarlo. Nella sera fredda pochi passanti nelle strade debolmente illuminate. Al metrò Lelylaan attorno alle scale mobili ci sono delle barriere di metallo: sono state messe dopo una serie di rapine ai danni dei viaggiatori, ad opera delle bande giovanili del quartiere. L’area di Lelylaan è stata teatro di pesanti scontri fra la polizia e i giovani immigrati, in questi anni. Al momento la situazione sembra più calma, ma fra pochi mesi ci sono le elezioni: e il partito di Gert Wilders, a giudizio di molti xenofobo, si delinea come secondo per consensi. La notte di Slotervaart si presenta buia e silenziosa al passante. Le sfavillanti luci di Natale del centro qui sono scomparse. Solo, qua e là, sui balconi, qualche cometa, un albero di Natale. «Li mettono per fare contenti i bambini, non certo per altri significati», spiega Noureddine Amrani, giornalista e corrispondente del marocchino Alwatan Alaan Magazine, che ci accompagna in un quartiere in cui altrimenti non si andrebbe volentieri, di notte, da soli. La piazza è uno slargo spoglio, due negozi con le insegne in arabo, la caserma della polizia e accanto la moschea – una delle venti moschee di Amsterdam. Stanno per partire i lavori per costruire qui la più grande moschea della città, finanziata con 3 milioni di euro dall’emiro del Qatar. L’unica cosa olandese che resta sono i nomi delle strade. Mondriaanstrat, leggi su una targa all’inizio di una via deserta. Qui, in una casa a due piani uguale a tutte le altre, abitava l’assassino del regista Theo Van Gogh. Poco oltre un campo da pallone, una chiesa protestante. Una insegna, « Sop » . È un centro sociale. Amrani bussa, ci aprono. In una stanza una dozzina di immigrati studiano l’olandese. ( Dopo la lunga stagione del ' multiculturalismo', nelle offerte di lavoro ora si comincia a chiedere un minimo di conoscenza della lingua nazionale). Il presidente del centro, Mohamed Mellouch, marocchino a Amsterdam da anni, pacatamente racconta di com’è questo Paese, visto da Slotervaart. « Gli olandesi mi sembrano un popolo che ha paura di tutto: ha paura di noi, ma anche della destra xenofoba che sale nei consensi. Abbiamo imparato a fidarci, più che dello Stato, della solidarietà delle Chiese protestanti e cattoliche, che accolgono i nostri figli e soccorrono come possono i bisogni dei poveri. Gli olandesi, per noi a Slotervaart, sono solo i passeggeri delle belle auto nuove che passano di qui il venerdì sera, correndo verso l’autostrada per il week end » . ( È singolare come questo giudizio sulla ' paura' degli olandesi sia simile a quello dei cattolici più lucidi). Paura, è un’espressione usata anche dal professor Gianfranco Renda, vicedirettore dell’Istituto di cultura italiano a Amsterdam: « Gli olandesi sono fondamentalmente un popolo tollerante, e gli omicidi Van Gogh e Fortuyn li hanno sconvolti. Ma anche le aggressioni ad omosessuali, che si sono ripetute ad opera di giovani immigrati arabi, destano un forte allarme. Il timore è che questi stranieri non accettino la regola del gio- co fondamentale in Olanda, il rispetto della libertà altrui». E camminare per Slotervaart impressiona, perché non diresti di essere in Olanda. Segregati gli immigrati, gli olandesi qui sono a loro volta stranieri. Nel locale in cui mangiamo tutti i clienti sono marocchini, a eccezione di due ragazze bionde che sembrano venute qui apposta per sfidare l’enclave delle donne velate. Ma le nuove generazioni, ti chiedi, i nati qui, si sentono olandesi o arabe? Herman Kroes, un olandese cattolico, talent scout calcistico che gira i campetti del Paese affollati di bambini marocchini – almeno il tifo per l’Aiax sembra un elemento unificante – fa spesso questa domanda ai ragazzi che ' coltiva': « Mi rispondono: io, prima di tutto, sono marocchino » . I segni di questa integrazione difficile si vedono nelle periferie, dove ciascuna etnia tende a formare la sua tribù. Ma in centro le bande di ragazzi vestono all’occidentale, e mangiano da McDonald’s. Malgrado il fantasma del fondamentalismo sia forte, secondo le statistiche non più della metà dei musulmani sarebbe regolarmente osservante: la secolarizzazione lavora anche fra di loro. Talvolta vedi un ragazzo arabo accanto a una adolescente bionda: i flirt con le olandesi non sono rari. Ma, quando si tratta di sposarsi, quasi sempre ci si sposa fra connazionali. Addirittura si va a cercare una sposa nel Paese di origine; e all’aeroporto di Schiphol, agli arrivi, accade di vedere giovani immigrati nati o cresciuti in Olanda che attendono la promessa sposa, appositamente scelta in Marocco o in Turchia. Perfino dopo una vita a Amsterdam o Rotterdam, l’appartenenza profonda resta straniera. « I nostri immigrati – dice Noureddine Amrani – vengono qui, lavorano, hanno figli, ma da morti spesso vogliono tornare a casa. Molti stipulano un’assicurazione apposta per pagare il ritorno in patria della bara » . E tuttavia, nella vita quotidiana delle città vedi anche il tentativo di questa gente di inserirsi nella vita olandese. Sono le migliaia di netturbini, camerieri, autisti di bus che fanno marciare ogni mattina Amsterdam e ancora di più Rotterdam, forse la città con più forte presenza islamica in Europa. Rasa al suolo dalle bombe durante la guerra, Rotterdam si presenta oggi, almeno in centro, tutta nuova, grattacieli altissimi di vetro e cemento. Nei negozi, nei locali, tutti gli inservienti sono arabi; alcune donne velate ma non moltissime, di chador nemmeno uno. Sul treno per Amsterdam due mamme arabe cullano i loro bambini mentre i vagoni sfilano accanto alle moschee dei quartieri periferici. È Olanda, è Occidente, ma con i segni di una marcata metamorfosi. Negli intenti di una buona parte di quelli che arrivano, pacifica. Ma che fatica e che asprezza, nel contatto fra i due mondi. Nel cielo a Sud di Amsterdam un aereo decolla da Schiphol e si allontana. Chissà se nella stiva riporta a casa, a riposare per sempre, uno dei tanti che erano venuti qua per mangiare e per vivere. |