DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

LO SCHIAVISMO. MENZOGNE E VERITA' PER DISCERNERE





I mercanti di schiavi arabi e i mercanti di schiavi europei: Il male è nel cuore dell’uomo e tutti hanno fatto la loro parte



Non discolpa nessuno, non dimostra che gli schiavisti furono altri, ma dimostra che il male è nel cuore dell’uomo e tutti hanno fatto la loro parte, noi cristiani lo chiamiamo peccato
: l’articolo di Camilleri dice che le responsabilità non furono solo occidentali ma anche locali ed arabe ( e questo schiavismo è praticato ancora oggi). Nel corso dei secoli 11 milioni sono stati gli schiavi negri spediti dall’Africa in America, 17 quelli deportati nei Paesi arabi. (Egon Flaig, docente di storia all’università di Rostock ), (ma sulle cifre, senz’altro rilevanti, c’è una “guerra”).

Da innumerevoli fonti sembra prevalere un’evidenza: “In Africa lo schiavismo é sempre stato praticato fra tribù rivali e la tratta degli schiavi nel Medioevo fu una particolarità soprattutto arabo-musulmana ed ebraica esercitata nei confronti dei negri considerati meno che bestie dai loro trafficanti e dominatori…”

gli europei gli schiavi li compravano da capi-tribù di etnie avverse che li avevano catturati in guerra o da loro parenti !!

Questa è la realtà e l’evidenza dei fatti.

Le responsabilità della tratta degli schiavi in Africa. E’ un interessante spunto su cui ricercare. Segnalato da un’amica ho trovato questo articolo dal sito di Rino Camilleri:

Era ora. Riferisce Daniele Zappalà su «Avvenire» del 18 novembre 2009 che il Congresso dei diritti civici (Crc), di cui fanno parte numerose Ong nigeriane, ha fatto mea culpa: «Non possiamo continuare ad accusare gli uomini bianchi allorquando gli africani, in particolare i capi tradizionali, non sono irreprensibili». Scrive il giornalista: «Nell’appello si ricorda che i capi tribali giocarono un ruolo importante “aiutando sistematicamente a condurre dei raid (…) presso comunità senza difesa”, prima ancora dunque della consegna dei prigionieri (talora già schiavi nei rispettivi villaggi) ai battelli negrieri in rotta nell’Atlantico». Funzionava così: i capi tribali razziavano schiavi e li vendevano ai trafficanti arabi, i quali li rivendevano nei paesi islamici o, dal XVI secolo in poi, agli europei per le Americhe. I neri americani, disinformati, negli anni Sessanta diedero vita alla singolare protesta razziale dei black muslim, i musulmani neri, di cui facevano parte anche Malcom X e il pugile Cassius Clay.

Furono inoltre proprio i colonizzatori europei ad abolire la schiavitù nell’800 e nel ‘900 , ma ovviamente dopo la decolonizzazione riprese ad essere praticata come prima…e tuttora permane. Lo schiavismo in Africa venne abolito appunto dai tanto deprecati cattivi sfruttatori europei , ma stranamente dopo la decolonizzazione forzata riprese a pieno ritmo e viene praticato ancora oggi in molti stati di quel continente.”

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Articoli che lo provano:


Il mercato attuale degli schiavi in africa tra africani
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/3652021.stm

Nigeria
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/7692396.stm

West africa
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/7693397.stm

Malì
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/7576444.stm

Sudan
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/6455365.stm

Mauritania
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/4091579.stm

…ed i vari links nelle pagine BBC


LEGGI QUI :

27 nov 2008 ... portati dall'Africa gli schiavi. Venivano usati nei servizi domestici e in campagna. Sotto: festival vudù a Ouidah. ...
suggafrica.pdf


Lo schiavismo presenta il conto. Ma chi paga? di Claudio Moffa

INTERVENTO. Le contraddizioni dei gruppi africani che pretendono un risarcimento per la tratta di tre secoli fa.

[Da "Avvenire", 06 Settembre 2001]

Quanti sono stati gli schiavi neri deportati nel Nuovo mondo dagli Europei fra il XV e il XX secolo? Trenta milioni come sosteneva padre Rinchon nel 1929? O 100, come proponeva De Bosschère nell’età della decolonizzazione? O 70, come per M.L. Diop? E fino a che punto è definitiva la ben più modesta cifra calcolata sulla base di fonti d’archivio da Philip Curtin, nel suo classico The Atlantic Slave Trade: a Census: 12 milioni circa di persone?
Non avrà ragione Ikinori a criticarla, elevandola del 40%? E i morti durante la traversata aumentano il numero complessivo delle persone sottratte all’Africa del 500%, come sosteneva il panafricanista DuBois, o del 13% come ha scritto ancora Curtin?
Bastano questi pochi interrogativi per capire quanto assurda - e pericolosa per la libertà di ricerca storica - sia la richiesta di risarcimento monetario che circola da alcuni anni ad opera di taluni gruppi e rappresentanti africani, per punire quello che comunque fu un crimine dell’Europa ai danni del continente nero. Se le cifre sono così diverse, su quali basi scientifiche sono stati calcolati i 777 trilioni di dollari (!!) richiesti dalla African World Reparations and Repatriation Truth Commission di Accra nel 1999?
La tratta atlantica degli schiavi è come ogni fenomeno storico realtà complessa, da indagare attraverso un salutare processo di revisione storica continuamente capace di correggere errori e carenze senza interferenze "politiche" esterne. Sono troppe le incognite e le variabili di quello che Coquery Vidrovitch ha definito il dibattito fra "massimalisti" e "minimalisti": al ribasso, gli schiavisti potevano avere interesse - un po’ come gli evasori fiscali di oggi - a nascondere una parte dei deportati per pagare meno dazi doganali; al rialzo, ci possono essere state le cifre eventualmente esagerate della pur sacrosanta propaganda antischiavista di fine Settecento. Anche allora - come oggi nel balletto delle cifre sulle fosse comuni di ogni colore, o sul numero degli immigrati, o sugli ebrei sterminati - c’era chi spingeva in un senso o nell’altro, e non c’è nulla di scandaloso nel prenderne atto.
Sul piano storico non è difficile solo il calcolo assoluto degli schiavi neri ma anche quello relativo, il prezzo demografico (e dunque economico) pagato dagli africani per le deportazioni di massa. Quanti abitanti aveva il continente nero agli inizi dell’età moderna? Come calcolare la sua popolazione, in assenza di documenti scritti paragonabili agli "Stati delle anime" dell’Europa cristiana? Quanto alla dimensione politica, è chiaro che il "risarcimento" può attivare una spirale di follia rivendicazionista a tutto campo: alla tratta schiavista ha partecipato non solo "tutta" l’Europa - ivi compresi gli ebrei, come ricordano con l’esempio di Sao Tomé e del "Rotschild della costa occidentale" Pedro Blanco, storici autorevoli del calibro di John Fage e Hubert Deschamps - ma anche gli arabi, nei lunghi secoli che corrono dall’epoca medievale all’Ottocento del Sudan di Gordon e del Mahdi; e anche i latinoamericani, con le piantagioni brasiliane o caraibiche. E i neri: grandi e piccoli regni africani si arrichirono grazie al traffico schiavista.
E allora? Se le "responsabilità" storiche vengono fatte risalire ad una "lunga durata" che azzera completamente rivolgimenti e diversità di regimi e di intere culture, il rischio - un rischio perfettamente "logico", nell’illogicità dell’operazione - è che si attivino giochi geopolitici ambigui, magari di segno opposto a quello desiderato: regimi africani corrotti risarciti dalla Cuba di Castro, ostacoli insormontabili al dialogo afro-arabo, o magari - nonostante siano gli Stati Uniti i più decisamente contrari alla richiesta - a quello euro-africano.
Di fronte a tentazioni come quelle che circolano nella Conferenza di Durban converrebbe piuttosto compiere una operazione molto semplice: primo, separare nettamente il campo della ricerca storica - chiunque vi si impegni, e non solo gli storici di professione - dalle legittime differenti opzioni ideologiche e politiche. Non è possibile sottostare ai ricatti psicologici di chi, sia pure in buona fede, esagera cifre e dimensioni del fenomeno.
Secondo, spostare l’attenzione dall’ormai remoto passato di tre secoli fa, ai grandi problemi dell’oggi che attanagliano il Sud del pianeta nella morsa dello sfruttamento internazionale, del sottosviluppo, e del "nuovo" razzismo: azzeramento del debito, difesa delle sovranità violate, creazione di un ordine economico internazionale "giusto", sviluppo della democrazia.
Ecco alcuni punti all’ordine del giorno "seri" e per i quali ha senso discutere e battersi senza la necessità di aggrapparsi alla condanna - del resto ovvia - della tratta schiavista del XVIII secolo.

Claudio Moffa

© Avvenire


LA SEGREGAZIONE RAZZIALE E LO SCHIAVISMO ISLAMICO
ALLA BASE DEL GENOCIDIO DELLA MINORANZA NERA CRISTIANA E ANIMISTA SUDANESE

di Alberto Rosselli


Come è noto, il Corano non soltanto ammette l’esistenza della schiavitù come un fatto permanente di vita, ma addirittura detta le regole per la sua stessa pratica. D’altra parte, l’antica legge islamica riconosce di fatto l’ineguaglianza fondamentale tra gli uomini appartenenti a diverse religioni e, di conseguenza, quella tra padrone e schiavo (Corano, 16:71; 30:28). In pratica, il Corano assicura da secoli ai suoi fedeli il diritto, teorico e sostanziale, di possedere servi (per essere più precisi: di “possedere i loro colli”) sia attraverso la libera contrattazione di mercato, sia come bottino di guerra (58:3). Non a caso, lo stesso Maometto ebbe dozzine di schiavi, sia maschi che femmine, che era solito utilizzare per certe mansioni o vendere. “L’acquisizione dei servi è regolata dalla legge…ed è possibile per il mussulmano uccidere un infedele o metterlo in catene, assicurandosi in questo caso anche la proprietà legale dei suoi discendenti nati in cattività” (trascrizione dall’opera prima del teologo Ibn Timiyya, Vol. 32, p. 89).
Al contrario, nessun mussulmano potrà mai detenere schiavi della sua stessa religione, “poiché quella islamica è la più nobile e superiore delle razze” (Ibn Timiyya, Vol. 31, p. 380). Nel corso dei secoli il presupposto di matrice cristiana e occidentale di libertà personale quale condizione naturale e inalienabile dell’essere umano non è mai entrato a fare parte del bagaglio culturale e religioso dell’Islam: dottrina religiosa impermeabile agli influssi pre-illuministici ed illuministici. Nel mondo mussulmano, infatti, il consenso divino alla pratica della schiavitù rappresenta una norma codificata e regolata al suo interno da una serie di specifiche “indicazioni” relative ai rapporti tra proprietario e servo e ai loro diritti e doveri. Anche se a ben vedere, per lo schiavo il diritto corrisponde a soli doveri, assolti i quali per costui è possibile fruire della “compassione” del padrone.. La disobbedienza di un servo nei confronti del proprietario può infatti comportare gravi sanzioni e la sospensione della suddetta “compassione”: Secondo l’Islam, “esistono due esseri umani le cui preghiere non saranno mai accettate, né i loro meriti riconosciuti nell’altra vita: lo schiavo che fugge e la donna che non fa felice il proprio marito” (Miskat al-Masabih Libro I, Hadith, 74). Va detto che in origine il Corano prescriveva un avvicinamento umanitario allo schiavismo, suggerendo perfino trattamenti di riguardo nei confronti degli infedeli di un paese conquistato. Questi potevano infatti vivere all’interno della comunità mussulmana come un individuo (dhimmis), almeno finché erano in grado di pagare particolari tasse chiamate kharaj e jizya. Ciononostante, con l’espandersi del dominio islamico (VIII secolo d.C.), i dettami del Corano in materia di schiavismo iniziarono ad essere interpretati in maniera sempre più restrittiva e severa, sia nei confronti delle popolazioni africane animiste, sia verso i cristiani, gli ortodossi, gli induisti e i buddisti.
Già a partire dalla seconda metà del VIII secolo d.C, i mercanti mussulmani avviarono nell’Africa sahariana e sub-equatoriale un intenso traffico di schiavi neri prelevandoli soprattutto dalle regioni corrispondenti agli attuali Mali, Senegal, Niger, Ciad meridionale, Nigeria, Camerun, Kenya e Tanzania. Strappati alle loro terre, milioni di individui vennero trasferiti con la forza verso i grandi mercati del Marocco, della Tunisia, dell’Egitto e della penisola araba per essere venduti o scambiati. Pratica che andò a vanti per secoli. Fino al XVII secolo, ogni anno il regno nubiano (Sudan) era obbligato ad inviare al governatore musulmano del Cairo a titolo di tributo un grosso quantitativo di schiavi neri. I nubiani e gli etiopi, con i loro fisici snelli e i loro nasi sottili, venivano solitamente preferiti ai più robusti e meno aggraziati bantu o mandingo dell’Africa centrale e occidentale, utilizzati per i lavori più duri e per le pratiche di guerra.
Contrariamente allo schiavismo cristiano-occidentale, che durò poco più di 300 anni (più o meno dalla metà del XVI a poco oltre la metà del XIX secolo) e che comportò la tratta di circa 12 milioni di individui africani trasferiti nelle Americhe, quello di matrice islamica andò avanti per ben 1.400 anni (dal VIII al XX secolo) diventando una dell’attività commerciali più remunerative gestite dai mercanti mussulmani, soprattutto quelli della penisola araba (Gedda fu uno dei mercati più importanti). Si calcola che nell’arco di 14 secoli i mercanti mussulmani abbiano messo in catene oltre 100 milioni di soggetti negroidi. Contrariamente a quanto accadde nel Nord America anglosassone dove, a partire dalla seconda metà del 1700, agli schiavi neri africani, impiegati soprattutto in agricoltura, era concesso mettere su famiglia, vivere in proprie case, coltivare piccoli appezzamenti e praticare un commercio minimo, nel mondo mussulmano non accadde mai nulla di simile. I servi erano, infatti, costretti a separarsi dalle famiglie, a vivere in recinti o in tuguri e ad essere sottoposti ad umiliazioni dolorose, come ad esempio l’infibulazione per le ragazze e la castrazione per i maschi. Sebbene la legge islamica richiedesse ai proprietari di trattare umanamente i propri schiavi e a fornirgli cibo e perfino cure, i mercanti e i padroni mussulmani si comportarono quasi sempre con estrema durezza. Secondo alcune consuetudini in vigore per secoli in Mauritania, in Sudan e nella penisola arabica, i servi non avevano diritto ad alcuna proprietà e potevano sposarsi soltanto con il permesso del loro proprietario, al quale spettava tra l’altro ogni diritto sulla prole. Per la cultura islamica lo schiavo rappresentava insomma una sorta di bene mobile e da riproduzione da trattare ed utilizzare nei modi più convenienti. E’ interessante ricordare che la conversione dello schiavo all’Islam spesso non sortiva di fatto alcun beneficio all’individuo. Nella massa, soltanto pochi servi neri convertiti, e dotati di particolari requisiti intellettivi o fisici, potevano ambire, dopo una lunga prigionia, ad un regime di semilibertà accettando di diventare soldati, eunuchi, governanti di casa e di harem o, nel caso delle donne, amanti o prostitute.
Il primo massiccio utilizzo di schiavi neri da parte di un regno mussulmano si verificò quando nel IX secolo il califfo di Baghdad ne acquistò diverse migliaia da mercanti africani da impiegare in agricoltura. Una violenta ribellione mise tuttavia fine a questo esperimento, inducendo gli arabi ad evitare il concentramento in un solo luogo di un numero troppo elevato di servi. Successivamente, i califfi iniziarono ad utilizzare i neri principalmente come domestici, o, nel caso di donne o fanciulli, per i propri piaceri sessuali.
Dopo il declino arabo, la pratica della schiavitù venne mutuata dai turchi che la esercitarono ampiamente nei Balcani, in Russia meridionale e in certe zone del Caucaso (soprattutto nell’Armenia cristiana). Le tribù tartare della Crimea, che godevano della protezione dall’impero ottomano, si specializzarono nella caccia agli schiavi cristiani che poi rivendevano sul mercato di Istanbul e di altre città anatoliche. Un’altra importante fonte di schiavi “bianchi” e cristiani fu la pirateria mediterranea, esercitata soprattutto dagli algerini che per secoli terrorizzarono le popolazioni costiere italiane.
Il traffico degli schiavi da parte dei mercanti mussulmani andò avanti per secoli e bisognò attendere il 1962 per vedere l’Arabia Saudita abolire ufficialmente questa pratica, seguita nel 1982 dalla Mauritania. Anche se va comunque detto che attualmente in Arabia Saudita lavorano ancora 250.000 schiavi de facto, cioè cristiani africani e cristiani filippini che in cambio di vitto, alloggio e bassa paga, vivono in una condizione di costrizione e mancanza di libertà pressoché totale. Ricordiamo anche che, sempre in Arabia Saudita, numerosi schiavi bambini importati dall’Africa vengono diffusamente impiegati – dato il loro trascurabile peso - come fantini negli ippodromi e, soprattutto, nelle gare di corsa dei dromedari e dei cammelli. Sempre ai giorni nostri, in Mauritania e in Sudan la schiavitù viene egualmente tollerata dai locali regimi islamici sostenitori, tra l’altro, di idee palesemente razziste, in senso antropologico, nei confronti dei neri. Nulla di strano in quanto – contrariamente a quanto si possa pensare – molti dotti islamici del passato, ma anche del presente, hanno sempre appoggiato con vigore tali teorie sostenendo che “un mussulmano non potrà mai costringere la sua bella e giovane serva ad unirsi ad un orrendo schiavo nero, se non in caso di estrema necessità” (Ibn Hazm, Vol. 6,Part 9, p. 469).
Nel 1982, la Anti-Slavery Society e nel 1990 la Africa Watch, hanno effettuato un’indagine che ha portato alla scoperta in Mauritania di una popolazione “fantasma” composta da almeno 100.000 schiavi e 300.000 semischiavi neri. Ma perché meravigliarsi, “in fondo anche il capo di stato Mokhtar Ould Daddah era solito tenere in casa sua e nel palazzo presidenziali una torma di schiavi neri” (John Mercer, Rapporto della Anty-Slavery Society del 1982). Sempre secondo la Anti-Slavery Society, in Mauritania sarebbero decine di migliaia i cosiddetti haratine (schiavi neri) reclutati con la forza, armati ed inviati a saccheggiare i villaggi del sud del paese. Nel 1983, anche il governo mussulmano sudanese ha emanato una serie di nuove, dure leggi discriminatorie nei confronti delle minoranze nere del sud del paese e nel 1992, le forze armate sono state autorizzate ad eliminare fisicamente tutti i soggetti neri “ribelli”. Questa spaventosa escalation ha costretto nel 1999 l’allora vice Segretario di Stato americano per gli Affari Africani, Susan Rice, ad investigare e a redigere un rapporto per l’ONU e per la presidenza degli Stati Uniti. Sembra tuttavia che, verso la fine del secondo mandato Clinton tale rapporto sia stato archiviato per esplicito ordine dell’allora presidente, poco incline a mettere il naso nelle faccende interne di un paese potenzialmente pericoloso come il Sudan.
“Con il preciso scopo di eliminare tutta la popolazione del sud – riferiva il rapporto Rice - il governo di Khartoum ha sottratto alla minoranza nera mezzi agricoli, sementi e bestiame, costringendola alla fame […] Oltre a ciò, nelle campagne speciali nuclei dell’esercito islamico hanno incominciato a rimodellare con la forza l’identità religiosa dei nubiani”. Ma non è tutto. “In questi ultimi cinque anni, le milizie di Khartoum hanno incarcerato e poi venduto come schiavi migliaia di neri in Arabia e in altri emirati della penisola. Secondo le stime di Amnesty International, nel 2002 le fanciulle nubiane tra i 15 e i 17 anni venivano vendute sul mercato internazionale degli schiavi ad un prezzo oscillante tra gli 80 e i 100 dollari. “Sembra che il prezzo di ogni singola ragazza dipenda soprattutto dal fatto che sia vergine o meno e dal colore degli occhi e della pelle”. Sorte non migliore tocca ai ragazzi sotto i quattordici anni che, dopo essere stati separati con la forza dai genitori o dai parenti, finiscono anch’essi in qualche bordello o vengono avviati alle scuole coraniche per essere convertiti all’Islam (da Facing Genocide: The Nuba of Sudan, pubblicato da African Rights il 21 luglio 1995).
Proprio nel secondo semestre del 2004, l’amministrazione statunitense repubblicana e l’Onu hanno iniziato finalmente a muoversi per cercare di trovare una soluzione al dramma dei nubiani. Problema tutt’altro che facile da risolversi. Individuare i mezzi e gli strumenti adatti per costringere il governo islamico di Khartoum ad interrompere la sua politica di segregazione e sterminio non è infatti cosa semplice. L’unica soluzione plausibile sembrerebbe quella dell’embargo o delle sanzioni economiche nei confronti del regime sudanese: opzione a doppia lama in quanto potrebbe essere trasformata da Khartoum in un alibi perfetto per fare morire di fame i cristiani e gli animisti del sud. D’altro canto, un intervento dei caschi blu o di contingenti armati occidentali incaricati di proteggere i cristiani neri appare ancora meno plausibile, data l’attuale, esplosiva situazione internazionale e la preannunciata, netta opposizione da parte della quasi totalità degli stati arabi, alcuni dei quali in questi ultimi dieci anni hanno fornito proprio a Khartoum coperture e cospicui aiuti finanziari.

FINE

BIBLIOGRAFIA:

Kevin Bales , I nuovi schiavi, La merce umana nell'economia globale, traduzione di Maria Nadotti, Feltrinelli, Collana Universale Economica, Saggi
Bianca Bradbury,The Undergrounders. Faber&Faber 1966, U.K. edition, Hardbound.
Srdja Trikfovic Xavier, Islam e Schiavitù, University of Louisiana, New Orleans, 14 Novembre, 2003
John O. Hunwick, The African Diaspora in the Mediterranean Lands of Islam (Princeton Series on the Middle East), Paperback, July 2002
David Robinson, Muslim Societies in African History (New Approaches to African History) by, Martin Klein Editor, 2002
Facing Genocide: The Nuba of Sudan, published by African Rights on 21 July 1995



Dal Niger al Sudan, la schiavitù continua a essere praticata e giustificata in nome del Corano. A rilanciare l’allarme sono i vescovi dell’Africa nera, un reporter italiano e una baronessa inglese della House of Lords

di Sandro Magister

ROMA – Iosephina Bakhita, la prima santa del Sudan, canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000, era stata da giovane una schiava, venduta e rivenduta sui mercati di El Obeid e Khartoum. Ebbe la fortuna di finire in Italia. Quando fu liberata e si fece battezzare correva l’anno 1890.

Ma oggi, a più di un secolo di distanza, tra il Sahara e il Nilo di schiavi ve ne sono ancora. Ed è uno schiavismo soprattutto di matrice islamica, erede della tratta che per secoli trasferì a forza dall’Africa sub-sahariana verso le terre arabe e musulmane da 11 a 14 milioni di africani.

Di questa tratta poco si è studiato e poco si dice, a differenza di quella che si diresse verso le Americhe. L’ultima assemblea generale delle conferenze episcopali cattoliche dell’Africa, tenuta a Dakar nell’ottobre del 2003, vi ha dedicato una sessione, introdotta da affermazioni come questa:

“A lungo le analisi su questo tema sono state poste all’indice. Una causa della paralisi di questa coscienza storica è stato l’atteggiamento di molti intellettuali e governanti musulmani riguardo alla tratta trans-sahariana. Per ragioni di sensibilità religiosa non vogliono riconoscere adeguatamente la responsabilità araba e islamica in questo dramma, i cui effetti nefasti continuano tutt’ora. Oggi nel mondo arabo il termine nero significa semplicemente schiavo. Le tracce del commercio trans-sahariano formano strade geografiche che portano nel Maghreb e nel Medio Oriente”.

* * *

Ieri come oggi. Su una di queste strade – attualmente percorsa da africani che da Senegal, Mali, Guinea, Costa d’Avorio, Ghana, Benin, Togo, Nigeria, Camerun convergono sul Niger e da lì, da Agadez (nella foto la moschea), affrontano il deserto fino alle coste della Libia per poi raggiungere l’Italia e l’Europa – l’inviato del “Corriere della Sera” Fabrizio Gatti s’è imbattuto in casi di schiavitù da XXI secolo, e ne ha dato conto in un reportage pubblicato in cinque puntate tra il 24 dicembre 2003 e il 2 gennaio 2004 sul maggior quotidiano italiano.

Sull’attuale rotta trans-sahariana degli emigranti, l’epicentro della schiavitù è l’oasi di Dirkou, nel Niger, appena passato il deserto di Téneré. I clandestini vi arrivano senza più un soldo, derubati di tutto dai militari del Niger nei frequenti posti di blocco. E allora, scrive Fabrizio Gatti:

“Per non morire di fame lavorano gratis, nelle case dei commercianti o nei palmeti. Lavano pentole, curano orti e giardini, raccolgono datteri, impastano mattoni. In cambio di una scodella di miglio, un piatto di pasta, il caffè, qualche sigaretta. Volevano arrivare in Italia, sono diventati schiavi. Solo dopo mesi di fatica il padrone li lascia andare, pagando finalmente il biglietto per la Libia: 25 mila franchi, 38 euro e 50. Ma la paura è di finire come quelli che sono prigionieri da più di un anno. Sono diventati pazzi e vivono nella boscaglia”.

E la filosofia di questa nuova tratta degli schiavi? Un caporale di fanteria, “faccia e cognome arabi”, la spiega così all’inviato del “Corriere”, additando i neri in ginocchio nella sabbia:

“Noi già pregavamo Allah che quelli ancora suonavano i tamburi e si mangiavano tra loro come animali. Quelli là non sono come noi. Se possono pagarsi il viaggio fino in Italia, vuol dire che sono ricchi. È giusto che lascino qualcosa in Niger, a noi che non abbiamo i soldi per andarcene”.

Il reporter commenta:

“È una vecchia storia. Arabi libici e neri hausa del Niger considerano gli abitanti della costa africana semplicemente inferiori. Un tempo attraversavano il Ténéré e il Sahara sulla stessa rotta, per comprarli e rivenderli come schiavi. Adesso li ammassano sui camion peggio delle bestie. Cammelli e capre fanno viaggi di prima classe, a loro confronto. Hanno spazio per sdraiarsi, fieno e acqua. Dei clandestini a nessuno importa se muoiono nel deserto”.

* * *

A est del Niger c’è il Ciad. E poi il Sudan, traversato dal Nilo e segnato da una lunga guerra civile tra il nord arabo e musulmano, detentore del potere, e il sud nero e non islamizzato. Nel Sudan, da parte dei dominanti arabi, la schiavitù continua a essere non solo praticata, ma anche teorizzata in nome del Corano.

Un libro pubblicato a Londra nel giugno 2003 dall’istituto britannico Civitas documenta che in Sudan, in aree a popolazione nera come Bahr El-Ghazal, i monti Nuba, il Sud Kordofan e il Darfur, sono ricorrenti le incursioni di gruppi arabi armati, finalizzate a “uccidere gli uomini e trarre in schiavitù le donne e i bambini”.

Il libro riporta le testimonianze di donne e ragazzi sfuggiti alla schiavitù e mostra come negli anni Novanta la prassi sia stata incoraggiata dal National Islamic Front, il partito egemone a Khartoum, diretto da un leader di spicco dell’islamismo mondiale, Hassan Al-Turabi:

“Capi del NIF mobilitavano le tribù arabe, le incoraggiavano a partecipare alla jihad, promettevano loro gli schiavi come bottino di guerra, assicuravano che la schiavitù era giustificata dal Corano come mezzo per convertire all’islam, e fornivano l’appoggio logistico ai raid, con cavalli, armi e truppe”.

Uno degli autori del libro è la baronessa Caroline Cox, membro ed ex vicepresidente della House of Lords, la camera alta britannica. Nel suo primo viaggio in Sudan, la baronessa Cox arrivò in un villaggio, Nyamlell nella regione di Bahr El-Ghazal, dove poco prima 80 uomini e 2 donne erano stati uccisi e 282 donne e bambini erano stati portati via come schiavi. In seguito fece un’altra ventina di viaggi in Sudan, spesso in aree proibite, raccogliendo una documentazione sempre più vasta.

Il libro riferisce anche colloqui con mercanti arabi di schiavi. Sostengono che la shari’a, la legge islamica, li autorizza a ridurre in schiavitù i figli e i famigliari degli uomini contro i quali sono in guerra. E affermano di vendere schiavi ad arabi di altri paesi.

Una ex schiava originaria di Karko sui monti Nuba, Mende Nazer, ha raccontato la sua storia in un libro uscito l’anno scorso in tedesco e ora anche in inglese. Catturata nel 1992, fu prima schiava di una ricca famiglia di Khartoum e poi, dal 2000, di un diplomatico sudanese a Londra, dal quale scappò chiedendo asilo politico.

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Il libro della baronessa Cox e del direttore di Civitas con in appendice il “case study” sulla schiavitù in Sudan:

Caroline Cox, John Marks, “The ‘West’, Islam and Islamism. Is ideological Islam compatible with liberal democracy?”, Civitas, London, 2003, pp. 127, £ 6,00.


UN AFRICANO CONSIDERA

LO SCHIAVISMO ISLAMICO

INFLITTO AGLI AFRICANI

AFRICANI LIBERATI DALLE MANI DI UN NEGRIERO ARABO DEL ZANZIBAR NEL 1884 (Ofosu-Appiah, p. 82)

I. LE PRETESE DELL’ISLAM

Al giorno d’oggi ci sono parecchi afrocaraibici e afroamericani che si convertono all’Islam. Secondo le ricerche, questi nuovi islamici si sono convertiti primariamente perché avevano l’idea che l’Islam fosse una religione di "fratellanza" e di uguaglianza. Molti di loro credevano che l’Islam non avesse problemi razziali e che non fosse coinvolto nella tratta degli schiavi, come parecchi stati occidentali europei.

‘Abd-al-Aziz’ Abd-al-Zadir Kamal dice nel suo scritto "L’Islam e la questione razziale": "Nell’Islam, l’umanità costituisce una sola grande famiglia, creata (con) ... diversità di colori della pelle ... (perciò) ... adorando Dio tutti gli uomini sono uguali, e un arabo non ha la precedenza su un non arabo... Tutti gli esseri umani sono ... uguali ... e i matrimoni sono conclusi senza alcun riguardo del colore della pelle." Egli asserisce dunque che nell’Islam ci sia l’armonia razziale e che tutti, indipendentemente dal loro colore, abbiano "gli stessi diritti sociali ... obblighi legali ... opportunità di lavoro e ... la protezione della loro persona" (pag. 64).

Ma è vero? Queste pretese sono valide alla luce della storia? Guardiamo per esempio la questione della schiavitù nell’Islam.

II. LE FONTI ISLAMICHE CONFERMANO QUESTE PRETESE?

Sfortunatamente ci sono molte persone di pelle nera che credono che l’attacco accanito degli arabi all’Occidente collimi con la causa africana. È uno sbaglio mortale. I primi scrittori musulmani delle tradizioni islamiche (che sono state redatte abbastanza tardi, cioè fra il nono e il decimo secolo d.C.) ammettono che già al tempo di Maometto era diventato appropriato propagare le sue idee tramite conquiste militari. Il suo obiettivo principale era il controllo politico e militare; perciò non ci sorprende che secondo la tradizione abbia detto: "L’atto più meritevole ... e la migliore fonte di guadagni è la guerra" (Mishkat II, pag.340).

Quando i primi leader della conquista araba (cioè Abu Bakr, Umar e altri) invadevano i paesi, la storia dimostra che gli abitanti innocenti potevano essere dominati da loro oppure "accettare la morte tramite la spada" (Dictionary of Islam, pag.24).

Lo stesso Corano comanda ai musulmani: "...uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati..." (sura 9:5). Inoltre raccomanda ai musulmani di avere schiavi e schiave (sura 4:24-25).

Secondo la tradizione islamica il generale Abu Ubaidah, durante l’assedio di Gerusalemme, diede l'opzione agli abitanti di "accettare l’Islam oppure di prepararsi ad essere uccisi con la spada" (Rau Zatu, Volume II, pag.241).

I compilatori musulmani del tardo nono secolo ammettono francamente che Maometto fosse un condottiere militare. Mentre le prime descrizioni della vita di Maometto dicono poco della sua attività profetica, abbondano di racconti delle sue battaglie. Al-Waqidi (morto nell’820) stima che Maometto fosse coinvolto personalmente in 19 delle 26 battaglie (Al-Waqidi 1966:144). Ibn Athir dice che il numero era 35 (Ibn Athir, pag.116), mentre Ibn Hisham (morto nel 833) lo valuta a 27 (Ibn Hisham, pag.78).

Il consiglio bellico di Maometto ai suoi seguaci fu questo: "Gareggiate con me in fretta per invadere la Siria, forse avrete le figlie di Al Asfar" (Al-Waqidi 1966:144). C’è da osservare che Al Asfar era un LIBERO uomo d’affari africano con figlie bellissime, fino al punto che "la loro bellezza era diventata proverbiale" (Al-Waqidi 1966:144).

Di conseguenza, i poveri discepoli di Maometto non rimasero poveri per molto tempo. Diventarono straricchi con i bottini di guerra, e accumularono molti animali e SCHIAVI, nonché molto oro (Mishkat, Volume II, pag.251-253, 405-406).

Non c’è da meravigliarsi che Ali Ibn Abu Talib si millantava dicendo: "I nostri fiori sono la spada e il pugnale. Narcisi e mirti non sono nulla; la nostra bevanda è il sangue dei nostri nemici, il nostro calice è il loro cranio dopo averli combattuti" (Tarikh-ul Khulafa, pag.66-67).

Non sorprende che il Corano echeggia questo pensiero dicendo: "Quando (in combattimento) incontrate i miscredenti colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati,..." (sura 47:4) e "Combattete coloro che non credono in Allah ..., e quelli, tra la gente della Scrittura (cioè i giudei e i cristiani)..." (sura 9:29).

III. LA STORIA CONFERMA QUESTE PRETESE?

Il generale musulmano Amr Ibn Al‘As invase l’Egitto dal 639 al 642 (Williams 1974:147-160). L’Egitto non gli bastò e per questo cercò di colonizzare la Makuria, un regno cristiano indipendente. Il re Kalydossas però sventò le sue macchinazioni nel 643. Al‘As cercò nuovamente di soggiogare la Makuria nel 651, ma fallì e fu costretto a firmare un trattato di pace (Williams 1974:142-145).

Nel 745 il generale Omar, il nuovo governatore dell’Egitto, intensificò la persecuzione dei cristiani, ma il re Cyriacus della Makuria riuscì ad arginare questo nuovo attacco (Williams 1974:142-145). Nel 831 il re Zakaria, il nuovo monarca della Makuria, si allarmò per i cacciatori musulmani di schiavi che stavano invadendo il suo paese (l’odierno Sudan). Egli mandò una delegazione internazionale al califfo di Bagdad affinché queste violazioni del trattato di pace fossero fermate, ma non ricevette alcun aiuto (Williams 1974:142-145).

Il sultano Balbar dell’Egitto continuò a violare il trattato del 651 (vedi sura 9:1-4). Più tardi, nel 1275, i musulmani, del soggiogato Egitto, cominciarono a colonizzare e a distruggere la Alwa, la Makuria e la Nobatia, i tre regni cristiani antichi in Africa. I popoli di queste nazioni, una volta indipendenti e splendide, furono venduti come schiavi.

Mentre l’Islam e la cultura araba dilagavano in Africa, si diffondevano anche lo schiavismo e il genocidio culturale. Si cominciava a fare guerre per avere schiavi africani. Kumbi Kumbi, la capitale del Ghana, fu distrutta dagli invasori musulmani nel 1076. Il Mali aveva una "mafia" musulmana che "incoraggiava" i re africani del Mali ad abbracciare l’Islam. Questa "mafia" controllava le importantissime carovaniere e i porti commerciali dell’Africa. I musulmani riuscirono a impadronirsi dei posti più importanti nel governo e cominciarono a cambiare la storia antica del Mali in modo che gli eventi preislamici fossero cancellati. Per ragioni di sicurezza, il governo ganaense dei Mossi, che era conscio del potere dei commercianti musulmani, istituì un dipartimento governativo per controllare lo spionaggio musulmano (Davidson, Wills e Williams).

La tratta islamica degli schiavi si svolgeva anche intorno al Lago di Ciad negli stati musulmani di Bagirmi, Wadai e Darfur (O’Fahley e Trimmingham 1962:218-219). Nel Congo, i negrieri Jallaba commerciavano con i Kreish e con gli Azande, un popolo nel nord (Barth e Roome). Ugualmente frequentata era la rotta che seguiva lo spartiacque tra il Nilo e il fiume Congo, dove i negrieri arabo-musulmani (per esempio Tippu Tip del Zanzibar) arrivavano dalle zone orientali dell’Africa (Roome 1916, e Sanderson 1965).

Nell’Africa orientale, i promotori del commercio degli schiavi erano i popoli Yao, Fipa, Sangu e Bungu, che erano tutti musulmani (Trimmingham 1969 e Gray 1961). Sulla riva del Lago Nyasa (ora chiamato Lago di Malawi) fu istituito nel 1846 il sultanato musulmano di Jumbe con lo scopo preciso di favorire il commercio degli schiavi (Barth 1857 e Trimmingham 1969). Nel 1894 il governo britannico valutò che il 30 per cento della popolazione di Hausaland fosse costituito da ex schiavi. Era così anche nell’Africa occidentale francese fra il 1903 e il 1905 (Mason 1973, Madall e Bennett, e Boutillier 1968).

IV. L’ISLAM OGGI

A. SONO VALIDE QUESTE PRETESE?

Gli africani moderni hanno per troppo tempo praticato l’amnesia selettiva riguardo allo schiavismo islamico. Quelli di colore hanno messo giustamente l’enfasi sull’impatto distruttivo del colonialismo europeo e del commercio transatlantico degli schiavi, ma stranamente hanno ignorato la molto più duratura e devastante tratta arabo-musulmana degli schiavi in Africa.

Non si sente quasi mai parlare degli africani che erano costretti a migrare a causa delle incursioni dei negrieri musulmani dall’est, dall’ovest e dal nord dell’Africa dopo il settimo secolo. Gli schiavi africani, trasportati per via nave da Zanzibar, Lamu e altri porti estafricani, non erano portati in Occidente (come molti musulmani vogliono farci credere), ma finivano in Arabia, in India e in altri stati musulmani in Asia (Hunwick 1976, e Ofosu-Appiah 1973:57-63). Rapporti non ufficiali valutano che oltre 20 milioni di africani sono stati venduti come schiavi dai musulmani fra il 650 e il 1905 (Wills 1985:7)! È interessante notare che la maggioranza di questi 20 milioni di schiavi non era costituita da uomini, ma da donne e bambini che sono più vulnerabili (Wills 1976:7). È logico, visto che la posizione delle femmine nel Corano è sempre stata inferiore a quella dei maschi (sura 2:224; 4:11,34,176).

I teologi musulmani, come il famoso Ahmad Baba (1556-1527), sostenevano che "... la ragione dello schiavismo imposto ai sudanesi è il loro rifiuto di credere ... (Perciò) è legale impossessarsi di chiunque venga catturato come miscredente ... Maometto, il profeta, ridusse in schiavitù le persone perché erano Kuffar ... (È dunque) legale avere in possesso gli etiopi ..." (Baba pag.2-10).

Hamid Mohomad (alias "Tippu Tip"), che è morto nel 1905, era uno dei più affaccendati negrieri di Zanzibar. Ogni anno vendeva oltre 30.000 africani (Lewis pag.174-193 e Ofosu-Appiah 1973:8). È importante ricordarsi che la tratta degli schiavi a Zanzibar è continuata fino all’anno 1964! Infatti, nella Mauritania la tratta non è stata ufficialmente dichiarata illegale prima dell’anno 1981, mentre nel Sudan continua persino fino al giorno d’oggi secondo un rapporto dell’ONU del 1994 (vedi anche Ofosu-Appiah 1973:57-63; "The Times" del 25 agosto 1995; Darley 1935; MacMichael 1922 e Wills 1985). Tutti questi esempi riguardano uno schiavismo esclusivamente islamico.

B. BISOGNA RICONOSCERE QUESTE PRETESE?

I fatti soprannominati vengono generalmente sorvolati, ignorati o dimenticati nella letteratura di oggi, semplicemente perché non è "politicamente corretto" parlarne. Essendo io stesso africano, dico onestamente che dobbiamo rivalutare il ruolo dell’imperialismo europeo del diciannovesimo secolo riconoscendo che esso, malgrado la "stampa cattiva" che gode, è stato una delle poche forze che hanno fermato l’imperialismo arabo-musulmano nel continente africano. Gli arabo-musulmani di oggi screditano l’imperialismo occidentale del passato senza considerare o discutere l’argomento della loro propria sordida storia nel continente.

CONCLUSIONI:

Questo è stato un breve riassunto dello schiavismo islamico in Africa. I compilatori del Corano e gli scrittori islamici posteriori ammettono che la guerra e la tratta degli schiavi fossero i mezzi più efficaci per impadronirsi di nuovi ed indipendenti paesi in Africa. Questa teologia ha danneggiato gravemente non soltanto la vita familiare africana, ma anche l’antica eredità cristiana in Africa e lo sviluppo economico fino al giorno d’oggi. L’Islam ha attaccato deliberatamente prima le donne e i bambini, la parte più vulnerabile e importante della popolazione africana. Gli uomini che non sono stati venduti come schiavi sono semplicemente stati uccisi. La colonizzazione e lo schiavismo islamici sono cominciati oltre 1000 anni prima della più recente e breve tratta europea e transatlantica (Hughes 1922:49). Molte culture africane, sia pagane che cristiane, sono state distrutte. Perché?

Inoltre, perché i musulmani non protestano contro la schiavitù imposta agli africani nel Sudan odierno, e perché non la fermano? Il loro silenzio è molto eloquente! Mentre gli schiavi nei paesi occidentali sono stati liberati secoli fa, gli africani si chiedono per quanto tempo lo schiavismo durerà ancora nel continente africano.

Il Signore Gesù Cristo ha detto: "Andate e predicate l’Evangelo in tutto il mondo", inclusa l’Africa (Matteo 28:19-20). Non ci ha chiesto di fare la guerra o di ridurre i popoli in schiavitù. Al contrario, quando il Figlio di Dio ti avrà liberato sarai davvero libero. Infatti, la Bibbia condanna ogni tipo di imperialismo, sia arabo, europeo, asiatico che africano (vedi Esodo 23:4-5; Levitico 19:15; Deuteronomio 27:17; Proverbi 10:2-4, Isaia 5:20; Matteo 5:13-16; 38-48; 15:19; Giovanni 18:36-37; Romani 1:16-3:20; Ebrei 11:8-16 e Giacomo 4-5). Gesù ha anche detto: "Li riconoscerete dai loro frutti". I bianchi cristiani moravi della Germania deliberatamente vendevano loro stessi come schiavi per poter predicare l’Evangelo agli schiavi neri nelle Indie occidentali! Gli arabi musulmani hanno mai fatto qualcosa di simile per i neri? Il buon albero di Cristo porta frutti buoni. L’albero cattivo dell’Islam ha portato frutti cattivi in Africa dal 639 in poi, e continua a farlo fino al giorno d’oggi. Sta a te fare il confronto e prendere posizione.

Fratello Banda


http://debate.org.uk/gesu-corano/index.htm



Lo schiavismo islamico

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Mauritania, marzo 2009 - Biram ould Dah ould Abeid è un esponente di SOS Esclave della Mauritania. I lettori di ossin lo conoscono per gli interventi e le interviste ospitate sul sito. In questi giorni Abeid è fatto oggetto di minacce di morte, pronunciate contro di lui, nelle moschee, dagli esponenti di quel clero schiavista contro il quale egli si è sempre battuto. Pubblichiamo il suo ultimo intervento, manifestandogli tutta la nostra solidarietà








RITI NEGRIERI E FONDAMENTALISMI IDENTITARI DI FRONTE ALL’UMANISMO ED UNIVERSALISMO DELL’ISLAM

La religione mussulmana è messa da secoli alla prova, da una parte, dai cliché poco brillanti che le vengono attribuiti e, dall’altra, dalla rappresentazione che da sempre ne danno le autorità temporali e spirituali che si sono succedute nel mondo mussulmano ed i gruppi dominanti nelle società mussulmane. Le guerre dei crociati, la riconquista della Spagna, la distruzione dell’impero ottomanno, l’espansione coloniale, il conflitto israelo-arabo e l’irruzione del fondamentalismo jihadista sono tappe di un confronto tra civiltà e religioni nel quale, sempre di più e fino ad oggi, l’Occidente giudaico-cristiano si rivela essere il vincitore.
E in effetti la supremazia tecnologica, politica, economica e militare di cui l’Occidente gode ha assai largamente rafforzato la sua posizione di fronte al mondo mussulmano e all’Islam, entrambi spesso percepiti attraverso la mediatizzazione spinta di cliché made in Occidente. Quanto ai gruppi dominanti nelle società e negli Stati islamici, la loro rappresentazione dell’Islam si limita alla strumentalizzazione di questa religione per coprire di un velo di sacralità le loro pratiche ed i loro costumi e le loro tradizioni anti-islamiche, fatte di ingiustizie, schiavitù, razzismo, oppressione e tirannia…
Senza dubbio ci sono stati uomini, famiglie, tribù, gruppi o sette che si sono alternate al potere nei diversi Stati e società mussulmane dopo il rovesciamento del Califfato Rachideo, nell’anno 35 dell’Egira (il calendario islamico), da una fronda di Toulagha (i graziati) Koraichiti, ciò che ha segnato la rottura del carattere ortodossamente consensuale ed altamente morale dell’autorità mussulmana, come del principio fondamentale della stretta osservanza del Corano e degli insegnamenti del Profeta Maometto (Pace e Salute a lui). Uno dei più evidenti simboli di questa rottura o reazione radicale è stata la vendetta dei Toulagha nei confronti del più stretto cerchio dei compagni più fedeli e più pii del Profeta, attraverso maltrattamenti ed umiliazioni pubbliche e le loro esecuzioni massicce e crudeli.
Ma fortunatamente non c’è bisogno di uno sforzo straordinario per saper distinguere tra i fondamenti della religione mussulmana e i grandi delinquenti della Oumma islamica (Uomini di Stato, Sultani, Re, Ulema ed Eruditi, guidati dalla loro avidità e al servizio dei più forti) che regnano in nome dell’Islam.
Molti popoli mussulmani nel mondo, come quelli che hanno vissuto e ancora vivono sul territorio che oggi si chiama Mauritania, praticavano guerre inter-mussulmane, una economia di razzie contro altri mussulmani per uccidere e nutrirsi; uccidere per vivere, semplicemente, come le bestie. Questo modo di vivere che ha consentito la nascita e l’espansione della schiavitù è stato, come la schiavitù, legittimato dalla quasi totalità degli eruditi e dottori mussulmani nel corso della storia. Peggio ancora, questi stessi ulema ed eruditi continuano a praticare e perpetuare la schiavitù prodotta da simili forme di banditismo. Gli aristocratici guerrieri che hanno messo in piedi questo sistema lo hanno fondato su delle leggi che riciclano i crimini più ignobili, una pratica di criminalità teologica inventata da un clero identitario e di classe. Va notato che ai giorni nostri questo clero è quello che oppone la resistenza maggiore contro ogni riforma abolizionista e i progressi democratici in questo paese.
La questione sulla quale vorrei maggiormente soffermarmi nel corso di questa conferenza stampa è l’azione posta in essere da taluni ambienti vicini all’Alto Consiglio di Stato e da loro appendici, Ulema schiavisti, clientele politiche e mafia degli sperperi. Questi hanno utilizzato un vostro collega del Quotidien de Nouakchott, ed altri scagnozzi che vengono infiltrati durante le preghiere in certe moschee della capitale, per attaccarmi personalmente e nella mia fede davanti ai fedeli.
I sostenitori del razzismo, della schiavitù e dell’oscurantismo si sono gettati su questa campagna di menzogne per coprire la loro incapacità di smentire i numerosi episodi di violazioni gravi e massicce dei diritti umani commessi ogni giorno ai danni dei più umili di questo paese, alcuni dei quali sono legittimati dalla perniciosa strumentalizzazione ch’essi fanno della religione mussulmana.
E in effetti io ho subito diversi tentativi di intimidazione da parte di quelle forze del male, particolarmente gli ideologi dell’assolutismo e dell’autoritarismo, mossi da interessi e privilegi materiali.
Interessi e privilegi che si sono trasmessi di padre in figlio in spregio della morale islamica e di ogni morale umana e con il martirio delle persone umili.
Senza alcun tentennamento e senza rimorso, io dichiaro la mia avversione perpetua verso questo clero dalle idee schiaviste e razziste, vivaio di sprechi e imbrattatore della fede. Faccio inoltre dichiarazione davanti a Dio e agli uomini di voler praticare, fermamente e senza concessioni, il sovvertimento delle idee dominanti e dei sistemi ideologici e “religiosi” attraverso i quali alcuni uomini, alcune famiglie e alcuni gruppi vendono la fede, la libertà e la libertà di pensiero di pezzi interi della nostra società. Prendo dunque solennemente le distanze dalla versione locale del rito Malekita e da tutte le altre scuole del Sufismo, che esaltano le diseguaglianze e la schiavitù, pretendendo di interporsi tra il credente e Dio, favoriscono la sottomissione ai tiranni ed all’avidità dei beni materiali. Ma insieme al rifiuto di questo rito negriero nelle sue varie forme, io rifiuto anche la versione etnicista e nazionalista che alcuni riformatori vorrebbero farci bere a colpi di “fatwa”, pretendendo a torto e falsamente che la loro connivenza di carattere identitario e di razza col tiranno Omar El Bechir (presidente del Sudan) sia di essenza fondamentalmente divina.
E’ ridicolo tentare di imballarci in un sistema di solidarietà Jahelita mentre noi sentiamo in tutte le sue dimensioni il senso di universalità della religione dell’Islam e del messaggio del profeta Maometto (Pace e Salute a lui). L’universalità di questa religione attraverso il caso del dramma delle popolazioni del Darfur, si collega in modo perfetto ad un’altra universalità che ci è cara: quella dei diritti umani.
A Dio non piace che noi accettiamo che l’Islam sia una rifugio, una muraglia di sicurezza per i criminali ed i responsabili di genocidio. Da ciò noi lavoriamo con tutte le reti di difesa dei diritti umani e di lotta contro l’impunità nel mondo perché tutti i torturatori, di casa nostra o altrove, siano giudicati dalla giustizia internazionale, per la giustizia, quella vera, la giustizia divina.


Nouakchott, 24 marzo 2009


Biram ould Dah ould Abeid



E RIPARLIAMO DI ISLAM 2

Perché mai questi brani coranici ci dovrebbero turbare più di certi brani biblici come Esodo 21:7–11, che precisa le regole per poter vendere la propria figlia come schiava? Perché nell’islàm non esiste l’equivalente della Regola Aurea, come specificata da Gesù: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.” (Matt. 7:12). La tradizione islamica più vicina a questo detto, può essere considerato un adith in cui Maometto dice “Nessuno di voi avrà fede finché non desidererà per il suo fratello (musulmano) quello che desidera per se stesso”. Il “musulmano” tra parentesi nella frase precedente è stato aggiunto dal traduttore Saudita e non appare nell’originale Arabo; tuttavia, nella tradizione islamica, “fratello” è un termine che non viene usato per indicare chiunque, ma solo i “credenti”, membri della comunità musulmana. Inoltre contraria all’interpretazione universale di questa massima è la netta distinzione tra credenti e non credenti che permea tutto l’islàm. Il Corano dice che i seguaci di Maometto sono “spietati con i miscredenti, ma misericordiosi tra di loro” (48:29), e che i miscredenti “di tutta la creazione sono i più abbietti” (98:6). Si può esercitare la Regola Aurea con i correligionari musulmani, ma questa cortesia, secondo la concezione espressa dai precedenti versetti e molti altri simili, non può essere propriamente estesa ai miscredenti.
Questa è una delle ragioni principali per cui la prima fonte di schiavi nel mondo musulmano sono stati i non musulmani, sia Ebrei, Cristiani, Indù o pagani. Nell’islàm molti schiavi erano non musulmani, catturati durante le guerre di jihad. La studiosa Bat Ye’or, antesignana degli studi sul trattamento dei non musulmani nelle società islamiche, spiega il sistema che si sviluppò a seguito delle conquiste della jihad.
L’organizzazione della schiavitù del jihad, includeva contingenti di schiavi, sia maschi che femmine, consegnati annualmente in accordo coi trattati di sottomissione sottoscritti dai sovrani che erano tributari del Califfo. Quando Amr conquistò Tripoli (Libia) nel 643, costrinse i Berberi, sia Cristiani che Ebrei, a consegnare mogli e figli come schiavi all’esercito Arabo come parte della loro jizya [tassa sui non musulmani]. Dal 652 fino alla sua definitiva conquista nel 1276, la Nubia fu obbligata ad inviare annualmente un contingente di schiavi al Cairo. Trattati conclusi con le città della Transoxiana, Sijistan, Armenia e Fezzan (Marocco) durante il califfato Omayyade e quello Abbasside prevedevano un invio annuale di schiavi di entrambi i sessi. Tuttavia, le fonti principali dell’approvvigionamento di schiavi rimasero le regolari razzie nei villaggi del dar-al-harb [la Casa della Guerra, cioè le regioni non islamiche] e le spedizioni militari che rastrellavano molto più profondamente le terre degli infedeli, svuotando città e campagne dei loro abitanti.
Lo storico Speros Vryonis osserva che “fin dall’inizio delle razzie Arabe nella terra di Rum [l’Impero Bizantino] il bottino umano era diventato la parte più consistente delle spoglie di guerra”. I Turchi, che continuavano a conquistare parti sempre più cospicue di Anatolia, ridussero in schiavitù le comunità residenti, Greche o comunque non musulmane: “Fecero schiavi uomini, donne e bambini di tutti i maggiori centri urbani e della campagna dove le popolazioni erano senza difesa”. Lo storico Indiano K. S. Lal afferma che ovunque i jihadisti conquistarono un territorio “si sviluppò un sistema di schiavitù tipico del clima, del terreno e della popolazione del posto”. Quando le armate musulmane invasero l’India, i suoi abitanti furono fatti schiavi in massa per essere venduti all’estero o utilizzati in varie funzioni per lavori sia servili che non così servili nel loro stesso paese”.
Gli schiavi subivano pressioni per convertirsi all’islàm. Patricia Crone, in un’analisi delle teorie politiche dell’islàm, nota che, dopo la conclusione di una battaglia della jihad, “i prigionieri maschi potevano essere uccisi o fatti schiavi … Dispersi in famiglie musulmane, gli schiavi quasi sempre si convertivano, incoraggiati o spinti dai loro padroni, indotti dalla necessità di unirsi ad altri, superando l’isolamento, o abituandosi lentamente a vedere le cose attraverso gli occhi dei musulmani, anche se cercavano di resistere”. Thomas Pellow, un Inglese, schiavo in Marocco per ventitré anni, dopo essere stato catturato nel 1716 mentre era imbarcato come mozzo su di un piccolo vascello Inglese, fu torturato fino a quando si convertì all’islàm. Per settimane fu picchiato e privato del cibo e alla fine si arrese quando il suo aguzzino ricorse a “staccare la mia carne dall’osso col fuoco, cosa che fece più volte, in modo estremamente crudele”.
La schiavitù era data per scontata durante tutta la storia dell’islàm, così come pure in Occidente fino a tempi relativamente recenti. Eppure, mentre la tratta degli schiavi praticata da Europei e Americani ottiene una fin troppo abbondante attenzione da parte degli storici (come pure da parte dei minacciosi sostenitori del risarcimento e i loro contemporanei politici, sprovveduti e pieni di sensi di colpa), il commercio degli schiavi dell’islàm in realtà durò più a lungo e causò sofferenze a un maggior numero di persone.
È veramente ironico che l’islàm sia stato presentato agli Afro-Americani come l’alternativa egalitaria alla “religione schiavista dell’uomo bianco”, il Cristianesimo, poiché lo schiavismo islamico operò su una scala molto maggiore di quello Occidentale e durò più a lungo. Mentre gli storici stimano che il commercio transatlantico di schiavi, che operò tra il sedicesimo e il diciannovesimo secolo, coinvolse circa 10,5 milioni di persone, il commercio di schiavi islamico nelle aree del Sahara, del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano iniziò nel settimo secolo e durò fino al diciannovesimo, coinvolgendo oltre 17 milioni di persone.
Inoltre, la pressione per far cessare la schiavitù passò dalla Cristianità all’islàm, e non viceversa. Non ci furono né un Clarkson, né un Wilberforce o un Garrison musulmani. Infatti, quando nel diciannovesimo secolo il governo Britannico accolse come proprie le idee di Wilberforce e degli altri abolizionisti e quindi iniziò a premere sui regimi favorevoli allo schiavismo, il Sultano del Marocco fu stupefatto proprio per l’audacia dell’innovazione proposta dagli Inglesi: “Il traffico di schiavi – rilevò – è un argomento su cui tutte le sette e le nazioni sono state d’accordo dal tempo dei figli di Adamo … fino ad oggi” . E aggiunse che “non sapeva se fosse mai stata proibita da qualche legge o da qualche setta” e che la sola idea che qualcuno volesse mettere in dubbio la sua moralità era assurda: “nessuno ha necessità di fare questa domanda, perché il fatto è chiaro sia al grande che all’umile e non richiede più dimostrazione da quella richiesta dalla luce del giorno”.
Tuttavia, non fu l’unanimità dell’umanità riguardo alla schiavitù a soffocare decisamente i movimenti abolizionisti nell’islàm, ma le chiare parole del Corano e di Maometto. La schiavitù fu abolita per la pressione Occidentale; il commercio di schiavi Arabo musulmano in Africa finì per la potenza delle armi Britanniche nel diciannovesimo secolo.
Ci sono anche prove che la schiavitù continua ad essere ancora praticata in modo sommerso in qualche paese a maggioranza musulmana – in particolare l’Arabia Saudita che abolì la schiavitù nel 1962, nello Yemen e nell’Oman, che dichiararono la schiavitù illegale nel 1970 e il Niger che la abolì solo nel 2004. Nel Niger il divieto è largamente trasgredito e circa un milione di persone è ancora schiavo. Gli schiavi vengono allevati, spesso stuprati e, in generale, trattati come animali.
Alcune delle prove che la schiavitù islamica continua, consistono nel profluvio di casi di schiavitù che coinvolgono musulmani negli Stati Uniti. Un Saudita, Homaidan Al-Turki, fu condannato a 27 anni di reclusione nel Settembre 2006, per aver tenuto nella sua casa in Colorado una donna come schiava. Da parte sua, Al-Turki sostenne di essere vittima di un pregiudizio anti-islamico. Disse infatti al giudice: “Vostro Onore, non sono qui per scusarmi di cose che non ho fatto e di crimini che non ho commesso. È lo Stato che ha criminalizzato questi normali comportamenti musulmani. Aggredire i comportamenti musulmani tradizionali era il punto centrale dell’accusa”. Il mese successivo, una coppia Egiziana residente nel Sud della California ricevette una multa e fu condannata a una pena detentiva, seguita poi dall’espulsione, dopo essersi dichiarata colpevole di aver tenuto come schiava una ragazzina di dieci anni. E in Gennaio 2007, a Washington, un attaché dell’Ambasciata del Kuwait e sua moglie furono inquisiti per aver tenuto come schiave, nella loro casa in Virginia, tre domestiche Cristiane, cittadine Indiane. Una delle donne dichiarò: “Credevo di non avere scelta e di dover continuare a lavorare per loro, anche se mi picchiavano e mi trattavano peggio di una schiava”.
A tutt’oggi la schiavitù è praticata apertamente in due Stati islamici, il Sudan e la Mauritania. In accordo con la tradizione islamica, i trafficanti di schiavi musulmani in Sudan catturano principalmente non-musulmani, in particolare i Cristiani. Secondo la Coalition Against Slavery in Mauritania and Sudan (CASMAS; Coalizione Contro la Schiavitù in Mauritania e Sudan), un movimento abolizionista e per i diritti civili, fondato nel 1995, “l’attuale Governo di Khartoum vuole imporre al Sud Nero e non-musulmano la Shariah, come scritta e interpretata dal clero musulmano più conservatore. Il Sud nero, animista e Cristiano, ricorda molti anni di incursioni schiaviste di Arabi da Nord e da Est e si oppone al dominio della religione musulmana e alla sua prevedibile conseguente espansione economica, culturale e religiosa”.
Uno schiavo Cristiano Sudanese di oggi, James Pareng Alier, fu rapito e fatto schiavo quando aveva dodici anni. La religione fu uno degli elementi principali del suo dramma: “Fui costretto a imparare il Corano e fui ribattezzato Ahmed. Mi dissero che il Cristianesimo era una pessima religione. Dopo un po’ di tempo ricevemmo un addestramento militare e ci fu detto che saremmo andati a combattere”. Alier non aveva idea di dove fosse la sua famiglia. La BBC nel Marzo 2007 comunicò che le incursioni per catturare schiavi “erano una comune caratteristica della guerra di 21 anni tra Nord e Sud del Sudan che terminò nel 2005 … Secondo uno studio dell’Istituto Keniano “Rift Valley”, circa 11.000 giovani, tra ragazzi e ragazze, furono catturati e spostati oltre il confine interno – molti verso gli stati del Darfur meridionale e del Kordofan occidentale … Molti di loro furono costretti a convertirsi all’islàm, gli furono dati nomi islamici e gli fu intimato di non parlare la loro lingua nativa”. Eppure, anche oggi, quando i non-musulmani sono stati fatti schiavi e spesso costretti a convertirsi all’islàm, la loro conversione non gli procura la libertà. L’attivista Mauritano contro la schiavitù, Boubacar Messaoud, spiega che “è come avere pecore o capre. Se una donna è schiava, anche i suoi figli saranno schiavi”.
Gli attivisti anti-schiavitù, come Messaoud, incontrano una grande difficoltà a contrastare questo atteggiamento, poiché è radicato nel Corano e nell’esempio di Maometto. In particolare, quando gli schiavi non sono musulmani, non esiste un solo versetto del Corano che corrisponda al versetto della Bibbia tanto caro a Lincoln, Genesi 3:19, che i musulmani contrari alla schiavitù possano invocare contro coloro che continuano ad approvare e a praticare la schiavitù.
Molti Occidentali non si sono presi il disturbo di imparare questa storia, e nessuno gliela viene a raccontare. Se qualcuno lo facesse, tutto l’apparato dei fabbricanti di colpevolezza per la schiavitù crollerebbe. E noi adesso non possiamo permettere che succeda … o possiamo? (Qui)

Robert Spencer è il Direttore di Jihad Watch. È autore di nove libri sulla jihad e il terrorismo islamico, tra cui i bestsellers del New York Times: “The Politically Incorrect Guide to Islam (and the Crusades)” [Guida (politicamente scorretta) all'Islam e alle crociate, Editrice Lindau, 2008] e “The Truth About Muhammad”.

La “Guida politicamente scorretta all’Islam” è stata recensita in questo blog e si trova qui, per chi se la fosse persa. E poi, naturalmente, c’è sempre lui che ci spiega perché le cose islamiche sono di molto ma di molto più migliori assai delle nostre.

http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/



Altro che gli europei. I veri schiavisti sono stati gli arabi

di Angelo Allegri
Angelo Allegri

I veri schiavisti sono stati gli arabi e non i bianchi occidentali. Anzi, di più: il mondo islamico «è il più grande e durevole sistema schiavistico del mondo» e «la conquista coloniale dell’Africa» da parte degli europei nei secoli passati può essere considerata come un «intervento umanitario». Provocazioni? Niente affatto, secondo Egon Flaig, docente di storia all’università di Rostock, che ne ha fatto la tesi centrale del suo ultimo libro, «Storia mondiale della schiavitù» e che ha aperto l’ultimo fronte del revisionismo in terra tedesca. La pubblicazione del testo ha avuto in Germania l’effetto di una bomba. Giornali liberal come l’amburghese die Zeit o la Süddeutsche Zeitung di Monaco di Baviera hanno aperto una polemica durissima. Andreas Eckert, docente all’università di Berlino, ha accusato il collega di aver scritto una sorta di «libro nero dell’islam» aggiungendo che «più la descrizione di Flaig si avvicina all’epoca moderna, più ardite sono le sue tesi». La Süddeutsche Zeitung ha parlato di «scandalo» e di «contributo alla polemica e non all’informazione». In difesa del libro, sia pure con qualche distinguo, è intervenuta la Welt (centrodestra) e il risultato è che la stessa Welt ha paragonato la contesa a quell’Historikerstreit (controversia tra storici) aperta una ventina d’anni fa da Ernst Nolte che, parlando di «guerra civile europea», sottolineò legami e somiglianze tra nazismo e stalinismo.
Le tesi di Flaig partono da un numero: nel corso dei secoli 11 milioni sono stati gli schiavi negri spediti dall’Africa in America, 17 quelli deportati nei Paesi arabi. La caccia alle popolazioni dell’Africa nera è iniziata contemporaneamente all’espansionismo islamico ed è stata elemento costitutivo di tutte le occupazioni musulmane nella storia: dalla Spagna, all’Africa del Nord, fino all’Asia centrale. Ovunque gli islamici siano arrivati la tratta di esseri umani ha assunto un ruolo fondamentale sia in termini sociali sia economici. E in molti regni musulmani la presenza di reparti di truppe di élite reclutate tra gli schiavi (dai mammalucchi egiziani ai giannizzeri ottomani) è stata pilastro fondamentale per il mantenimento delle strutture politiche islamiche. Al centro del commercio di carne umana slavi, popolazioni caucasiche, cristiani, e soprattutto neri.
Secondo il libro lo schiavismo musulmano è stato propedeutico a quello occidentale: «Solo questa struttura funzionante e collaudata ha consentito ai portoghesi prima, ad olandesi, inglesi e francesi poi, di procurarsi in Africa i rifornimenti di esseri umani da impiegare nelle loro piantagioni nel Nuovo Mondo». E il triangolo del commercio umano tra Africa, Stati Uniti ed Europa, in cui lo zucchero e altre materie prime finivano dall’America nel Vecchio continente e da qui partivano merci e beni di consumo verso l’Africa, ha il suo esatto corrispondente nell’Oceano indiano nei traffici tra mondo arabo, Africa e India.
Quanto a Flaig in passato ha dimostrato che le polemiche non lo spaventano. Nel 2006 scrisse un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il giornale di Francoforte, caposaldo del conservatorismo tedesco, in cui si scagliava contro tutto il pensiero dominante sul mondo islamico e che gli provocò un diluvio di critiche. Nel mirino finì chi contribuiva a diffondere la «favola» di un islam «tollerante» e deformato solo da alcune interpretazioni estremistiche. Al contrario, sosteneva Flaig, l’islam non è una religione come le altre, ma appoggiandosi alla lettera dello scritto coranico, è orientata al tentativo di conquistare, per di più con mezzi violenti, la supremazia mondiale». Non cogliere questa verità, scriveva Flaig, significa «indebolire quegli intellettuali arabi, che seriamente lavorano a quella riforma dell’islam moderato iniziata in maniera così promettente nel diciottesimo secolo» e che tentano di «depoliticizzare l’islam radicale».
Angelo Allegri

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