Israele è stato il primo paese al
mondo a mandare aiuti a Haiti. Eppure
la notizia non è finita sui giornali.
Una massa impressionante di
beni, uomini e strutture d’emergenza,
soprattutto paragonate all’avarizia
dell’Arabia Saudita, secondo la denuncia
del Los Angeles Times. I regnanti
di Riad per ora hanno inviato
solamente un messaggio di condoglianze
al governo di Haiti. “L’Arabia
Saudita, ricca di petrolio – scrive il
quotidiano statunitense –, è una delle
nazioni più benestanti del pianeta.
Ma mentre è generosa quando si tratta
di costruire scuole religiose islamiche
e moschee nel mondo, l’Arabia
Saudita è stata abbastanza tirchia
quando si è trattato di aiutare il popolo
di Haiti, colpito dal terremoto”.
Israele ha inviato 40 medici, 20 infermieri
e altrettanti paramedici per
mettere su un ospedale da campo capace
di curare 500 feriti. Sono partiti
anche 100 soldati dell’esercito israeliano.
Accadde anche con lo tsunami
in Asia. Quando lo stato ebraico fu
tra i paesi più generosi. Il popolo di
Israele ha una lunga storia alle spalle
che lo rende in qualche modo
“specializzato in catastrofi”. Dopo
aver raggiunto la capitale di Haiti, gli
israeliani si sono spostati in altre zone
del paese dove hanno lavorato soprattutto
per recuperare e identificare
i corpi delle vittime. Lo stesso avvenne
anche dopo l’11 settembre,
quando patologi israeliani aiutarono
i colleghi americani al lavoro a
Ground Zero. Un ospedale da campo
israeliano, il più grande e il meglio
attrezzato presente attualmente nel
martoriato paese, è stato immediatamente
installato sul territorio e messo
al servizio delle popolazioni colpite
dal sisma fin dalle prime ore dopo
il disastro. E’ lì, nelle tende di
Tsahal, che è nato il primo bambino
haitiano dopo il terremoto. La mamma
non ha avuto dubbi sul nome da
dargli: Israel. Una delle pochissime
immagini di gioia in questo turbinio
di morte e dolore è stata la scena della
squadra di soldati israeliani che,
mentre salvava un haitiano sepolto
dalle macerie del terremoto, la gente
assistendo applaudiva e gridava: “Viva
Israele”.
Il Foglio 19 gennaio 2010