DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Bambini Down, la strage silenziosa Di fronte all’esito della diagnosi prenatale, nove donne su dieci scelgono l’aborto

DA M ILANO E NRICO N EGROTTI

O
ggi le reazioni all’assurdo gruppo di Facebook sono perlopiù solidali e in­dignate, ma non sempre la nostra so­cietà mostra sentimenti di accettazione ver­so le persone con sindrome di Down (SD). Senza elencare un lungo elenco di discrimi­nazioni più o meno palesi che queste perso­ne devono spesso sopportare, c’è un dato ab­bastanza significativo: nella stragrande mag­gioranza dei casi di fronte a una diagnosi pre­natale di SD, la gravidanza si conclude in un aborto. Non sono opinioni, ma i dati che e­mergono dalle poche indagini scientifiche condotte sull’argomento, come il recente ar­ticolo pubblicato il 26 ottobre scorso dal Bri­tish Medical Journal ( 2009; 339:b3794) che in­dica come Oltremanica nell’arco di vent’an­ni siano leggermente diminuite (meno 1 per cento) le nascite di bambini con sindrome di Down, mentre l’aumento dell’età materna ne faceva prevedere un incremento significati­vo (più 48 per cento): a essere aumentati al­trettanto sono stati i test prenatali. E anche in Europa, secondo un’indagine del 2003, ve­niva indicato un calo nei nati tra il 1975 e il 1999 statisticamente significativo. In Italia l’incidenza dei bambini con SD è di circa 1 o­gni 1000-1200 nati – secondo diverse valuta­zioni – cioè 500-600 bambini l’anno.
L’indagine condotta da Joan Morris, docen­te di statistica medica all’Università di Lon­dra, e da Eva Alberman, professore emerito,
è significativa nella crudezza dei numeri. Ven­gono presi in esame i nati vivi con sindrome di Down e le diagnosi prenatali in Inghilter­ra e Galles tra il 1989 e il 2008, analizzando i dati del Registro nazionale di citogenetica della sindrome di Down. In un riquadro rias­suntivo si indica che era già noto che le ma­dri più anziane sono maggiormente a rischio di concepire bambini con la sindrome di Down, e che gli screening prenatali per la sin­drome di Down sono più disponibili oggi ri­spetto ai primi anni Novanta. Quello che la ricerca aggiunge è che «il numero di diagno­si di sindrome di Down è cresciuto del 71 per cento (da 1075 nel 1989/90 a 1843 nel 2007/2008), mentre i nati vivi sono diminui­ti dell’1 per cento (da 755 a 743), a causa de­gli screening prenatali e delle conseguenti in­terruzioni di gravidanza». Dal punto di vista demografico si osserva che «in assenza di screening prenatali e conseguenti aborti, il numero di nascite di persone con sindrome di Down sarebbe cresciuto del 48 per cento a causa della scelta dei genitori di far famiglia più tardi».
Analoghi risultati ha ottenuto una ricerca condotta nel 2003 da Daniela Pierannunzio, Pierpaolo Mastroiacovo, Piero Giorgi e Gian Luca Di Tanna che ha preso in esame i dati relativi a 31 registri internazionali delle malformazioni congenite raccolti dall’Inter­national Clearinghouse for Births Defects monitoring Systems nel periodo tra 1974 e 2000. I risultati generali indicano che la pre­valenza
alla nascita totale è pari a 9,07 per 10mila nascite con un calo nel corso degli an­ni statisticamente significativo. In particola­re si passa da 16,10 bambini con SD ogni 10mila nati nel 1975 a 6,09 nel 1999: un ri­sultato «dovuto al corrispondente aumento di interruzioni di gravidanza a sua volta do­vuto alla diffusione generalizzata della dia­gnosi prenatale». Si tratta di risultati che devono far riflettere ma che non possono stupire, se solo si ricor­da il dibattito che ha preceduto (e seguito) l’approvazione della legge sulla procreazio­ne medicalmente assistita e la campagna re­ferendaria. Il ritornello di chi sosteneva la ne­cessità di effettuare la diagnosi preimpianto era per eliminare «alcune gravi patologie», quali appunto sindrome di Down (che non è una malat­tia), fibrosi cistica, talasse­mia. Inutile dire che, sicco­me cure per correggere la sindrome di Down non esi­stono, la «cura» si traduce in una eliminazione dell’em­brione: anche perché – si so­steneva (e si sostiene), la donna poi può sempre abor­tire. E anche se la legge 194 non prevede affatto l’elimi­nazione del feto per motivi di discriminazione genetica, questo avviene spesso. Al punto che il clamoroso caso dell’a­borto «sbagliato» nel 2007 all’ospedale San Paolo di Milano non ha sollevato nessuna on­da di protesta. Era stato deciso di abortire se­lettivamente la gemellina con SD: un errore in fase di intervento portò invece alla morte di quella sana. Ma la bambina con SD fu eli­minata con un secondo aborto. Recente­mente sono stati assolti i medici che aveva­no compiuto l’intervento errato: non per vio­lazione della 194, bensì per l’imperizia dell’o­perazione.
La cultura eugenetica strisciante ha portato troppi genitori a considerare come «cura» l’eliminazione dell’embrione segnato dalla sindrome


© Copyright Avvenire 23 febbraio 2010


Avvenire 23 Febbraio 2010
di Marina Corradi
Contro i Down non solo un ignobile gioco
"SCOPERTI"E"CANCELLATI"
BEN OLTRE IL FOLLE DI FACEBOOK
Il `gioco` ignobile del tiro al bersaglio sui Down, spuntato su Facebook nei giorni scorsi, è sparito dalla Rete in poche ore: a furor di popolo, nell’onda di una indignazione generale. La forza di questa sollevazione rassicura: siamo ancora in un mondo umano, verrebbe da dire, se a una simile ripugnante caccia al diverso ci ribelliamo. Possiamo magari, e legittimamente, prendercela con la incontrollabilità dei social network, o con la globalizzazione che ha fatto crollare le frontiere e reso impotenti i codici penali.
Certi, però, che quel `gioco` su Facebook è opera solo di un pazzo, o di un idiota. Che la sua logica («I Down sono solo un peso... come eliminarli civilmente?») è del tutto estranea alla gente normale. E, certamente, è così. Tuttavia, nel leggere questa storia, ci torna in mente una ricerca pubblicata dal

British Medical Journal

tre mesi fa, sull’incidenza della sindrome di Down in Gran Bretagna (ne riferiamo a pagina 7). Dove si spiega come l’aumento dell’età media delle madri negli ultimi dieci anni abbia portato a un incremento molto forte della sindrome; compensato, però, dal progresso degli screening prenatali, sempre più estesi, così che il 70% dei bambini Down viene individuato prima della nascita. Una diagnosi? No, una sentenza capitale: il 92 % delle donne raggiunte dal responso abortisce.
D etect

è il verbo usato dalla dottoressa Morris, della Queen Mary University di Lontra, per indicare l’individuazione dei bambini Down. I «detected babies» ben raramente vengono al mondo. «Detected» – in italiano individuati, scoperti. E cancellati, 92 su 100. Questo è il

British Medical Journal.

Come dice invece quel pazzo su Facebook? («I Down sono solo un peso… come eliminarli
civilmente?») Dove la differenza è nel tempo, in un `prima` e in un `dopo`, tra il feto – nella mentalità corrente, un nulla – e il bambino; ma non è nella sostanza delle cose. Quelli lì, non sono desiderati. E se umanamente l’angoscia di una madre di fronte a un figlio handicappato è comprensibile, resta evidente che tutti o quasi, attorno, le dicono o le fanno capire che no, non bisogna avere un figlio così. Così semplice, così indifeso. Così bambino per sempre. La stessa Morris, intervistata da un quotidiano inglese, si è rallegrata dell’affinamento dei test prenatali. Che riconoscono, nel buio del ventre, i figli `sbagliati`.
Chiamandoli al loro breve destino. Allora il delirio di un vigliacco che, nascosto dietro a un soprannome, ha enunciato sulla Rete il suo `gioco` abietto, non sarà come il materializzarsi di un sottopensiero inconscio, indicibile, che però esiste, almeno quando si tratti di nascituri - di non ancora nati, e dunque secondo alcuni di non­uomini? (In quella frontiera del `prima` e del `dopo` stabilita a ferrea barriera, per difenderci da dubbi e inquietudini). Non sarà, quel gioco di vergogna, come il lazzo di un ubriaco, che però riecheggia qualcosa che in qualche modo si è ascoltato dai sobri? («Eliminandoli civilmente»). I «detected babies» non nascono. Scovati. Presi. E `civilmente` respinti. Ma il 30 % sfugge ai controlli. La dottoressa Morris lamenta che c’è uno zoccolo duro di donne, che non accetta lo screening. Che non si sottopone a un esame che è già quasi verdetto. Che si tiene quel bambino, comunque: già figlio, e non clandestino. E questo zoccolo duro di madri ribelli, meraviglia. Forse più questo, che il rigurgito su Facebook di un ubriaco: che si lascia andare, nella sua ubriachezza nella impunità della Rete, a un vergognoso, ben occultato pensiero.



Il Corriere della Sera 22 Febbraio 2010
di Beppe Severgnini
FACEBOOK E BIMBI DOWN
E`L`ORA DI SANZIONI
RAPIDE E MEMORABILI
Bisogna decidere: solo infami o anche pericolosi? Su Facebook esiste un gruppo chiamato «Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down». Poiché gli idioti moderni amano illustrare le proprie gesta, ecco cosa si legge: «Perché dovremmo convivere con queste ignobili creature... con questi stupidi esseri buoni a nulla? I bambini Down sono solo un peso per la nostra società... Dunque cosa fare per risolvere il problema? Come liberarci di queste creature in maniera civile? Ebbene sì signori... io ho trovato la soluzione. Consiste nell`usare questi esseri come bersagli, mobili o fissi, nei poligoni di tiro al bersaglio».
Il gruppo di Facebook è stato denunciato da Franco Bomprezzi, neoconduttore del forum «Ditelo a noi» nel nuovo canale Salute/Disabilità di Corriere.it. Nel pomeriggio di ieri «Giochiamo al tiro al bersaglio...» aveva 930 iscritti. Siamo andati a controllare: erano 1.317 alle 19.30, 1.361 alle 19.40, 1.378 alle 20, 1.563 alle 20.30. Aumentano, quindi, certi dell`impunità. Hanno nomi e fotografie. Penso all`orrore di un papà e di una mamma se scoprissero, tra costoro, un figlio. Eppure a qualcuno accadrà. La vicenda è così grave che perfino gli attivissimi immorali italiani, sempre pronti a chiamare «moralismo» il normale uso della coscienza, taceranno. Meglio concentrarsi, quindi, sulla risposta: che dev`essere rapida e memorabile. Per prima cosa, niente piagnistei su internet, che non ha colpe, e per i disabili s`è rivelata una vera benedizione. Allo stesso tempo, chiusura del gruppo; ma non sarà immediata, perché richiede l`intervento dei gestori di Facebook, che stanno negli Usa (così dice la polizia postale). Poi, punizione dei responsabili: chi ha creato il gruppo e chi ha aderito. Sono rintracciabili, e loro azioni violano diversi articoli del codice penale. Ma forse, per gli idioti moderni, occorrono pene moderne. Invece di multe, servizio nelle comunità che si occupano dei piccoli Down. Chissà: forse qualcuno capirà quando hanno da darci, quei bambini.
E se anche fosse un atroce scherzo della Rete, resta la nostra condanna. Senza appello.