vorrebbe un tempo Allegretto
È questo l’Allegretto per eccellenza, con il suo ritmo ben scandito, con il suo crescendo inarrestabile, con la sua linea melodica trascinante.
La VII Sinfonia è gioiosa forza vitale che prorompe irresistibile e si esprime in ritmi di danza.
La stessa tonalità di La Maggiore in cui è scritta, la tonalità della gioia più luminosa, ci fa capire che Beethoven vuole erigere un monumento alla vita stessa.
E ci riesce perfettamente.
L’Allegretto, incastonato tra movimenti più vivaci, è come una pausa riflessiva, annunciata dall’accordo inziale di La minore, che sembra dare un tono di velata tristezza.
In realtà il ritmo e il crescendo fanno capire che si tratta di una progressiva conquista della gioia e della pace interiore. Il peso del negativo viene superato in una vittoriosa ascesa verso la luce.
Era un brano particolarmente amato da D. Lorenzo Milani, che lo ascoltava in particolare quando il dolore della sua malattia si faceva maggiormente sentire.
In effetti, l’ascolto del brano dà profonda serenità interiore.
Il video purtroppo è carico di pubblicità (di suo); ma ho scelto questo perché, nonostante tutto, è una registrazione accettabile.
Non mi intendo granché di musica, però le poche esperienze d'ascolto di certe sinfonie hanno lasciato un segno al punto che ho come un sussulto soprattutto quando risento il 2° movimento della VII di Beethoven....
In realtà è questo il sottofondo musicale che mi pare di riudire soprattutto quando incontro D. un carissimo amico che intuisco disperatamente attaccato al desiderio di una felicità che da solo non sa costruire, perchè le circostanze uno non le può modificare e il problema non sono le circostanze, ma il modo con cui uno le affronta. Ma non basta nemmeno conoscere il modo adeguato per affrontare le situazioni. Si può conoscerlo teoricamente e praticamente non riuscire ad adottarlo. Ecco, il ripetersi continuo del solito ritmo sotteso a tutta la composizione è come il battito del cuore che non smette mai di aspirare alla felicità vera. Non solo per D. ma per ciascuno di noi.
Questo 2° movimento della VII di Beethoven mi pare la sinfonia dell'umana esistenza.
Perciò sono andata a cercare nel web una presentazione di questa sinfonia che la descrivesse nei termini con cui l'avevo sentita anch'io presentare e ho trovato quel che cercavo: si tratta della relazione di Pier Paolo Bellini, Musicologo, General Editor della Collana discografica Spirto Gentil.
(...)
E' una Sinfonia di festa, di vittoria, fu commissionata a Beethoven per celebrare la vittoria dell’esercito imperiale prussiano contro Napoleone, immaginate il tono di una affermazione di positività, di vittoria. Accanto a questa circostanza, ce ne sono altre contemporanee che fanno capire lo spirito con cui Beethoven ha cominciato a scrivere questa settima sinfonia. Beethoven aveva dedicato a Napoleone la terza sinfonia, era stato l’ideale di libertà che Beethoven aveva seguito fino a un certo punto: è come se facesse una sinfonia che celebra la dissoluzione definitiva di quell’ideale di libertà che era stato incarnato da Napoleone.
Mi ha colpito quando mi hanno invitato a presentare questa sinfonia a Vienna, nella sala in cui Beethoven l’ha diretta, per me è stata una cosa traumatica perché un italiano va a Vienna per spiegare come funziona la settima di Beethoven. La prima esecuzione è stata diretta personalmente da Beethoven di fronte ai reduci della guerra, di fronte a gente mutilata, e che contraddizione si doveva sentire dicendo che avevano vinto a loro costo, si sentiva che qualcosa strideva.
In questi anni in cui Beethoven compone la sinfonia, arriva il responso definitivo sulla sua malattia, la sordità, sa per certo che può solo peggiorare (la nona sinfonia l’ha scritta da sordo).
Il quadro di questa sinfonia è dentro a una seria di contraddizioni forti: si celebra una vittoria, è una festa, ma c’è qualcosa che pone una domanda drammatica.(...)
Dopo la presentazione del Primo movimento che potrete leggere al link dell'originale, c'è l'interessante Secondo movimento:
Secondo movimento. C’è un’immagine, con la quale don Giussani ha introdotto la sinfonia nella collana e nella nostra storia, dice di immaginare che un uomo per caso, eccentrico, che era in mezzo a quelli che ballavano, per caso a un certo punto decide di uscire dal salone a fumare una sigaretta, si gira. Non aveva mai pensato di vedere la stessa cosa da una altro punto di vista, attraversala finestra vede quello che dentro sembrava tutto. Guarda tutto da un altro punto di vista e ne percepisce la vanità assoluta, perché facciamo festa? Perché è ragionevole essere felici?Su cosa si fonda questa felicità? Anche da un punto di vista tecnico, Beethoven fa una scelta rara (normalmente ci sono delle regole per cui per esempio se il primo movimento è in la maggiore, segue un movimento minore ma relativo, cambia accordo), fa il secondo movimento sulla stessa tonica (la), lo tiene fermo e cambia solo la nota centrale, delle tre dell’accordo, come se rimanesse uguale, ma basta cambiare una nota che la stessa cosa diventa tutt’altro. Vi faccio sentire il finale che avete sentito e il primo accordo del secondo movimento, c’è un capovolgimento tenendo ferma la stessa nota. Stesso accordo, la, è cambiata una nota, bastava cambiare prospettiva e ci si accorge che la stessa cosa, vista prima in un modo, pone delle questioni non rimandabili. Immaginate che tra il primo e il secondo movimento, Beethoven si volti, basterebbe questo, e guarda il suo pubblico, che era la testimonianza vivente del costo umano di quella vittoria, come si può festeggiare senza porsi la domanda: dove è la felicità, dove è la gioia? Il secondo movimento è molto più semplice, questo laghetto è l’alternanza di due movimenti, A e B. A è la ripetizione di un unico frammento per quattro volte, inizialmente solo dagli archi più scuri (violoncelli, contrabbassi e viole), poi arrivano i secondi violini e i primi violini, poi tutta l’orchestra. Sentite il carattere di questo tema. Se ci fate caso è fermo, non c’è una melodia, si muove un po’ e si ferma di nuovo, sembra tutto congelato. L’aspetto ancora una volta essenziale è il ritmo, sempre lo stesso: è impossibile correre, stare in superficie (dopo ci prova). Giussani commenta: “è come se fosse un costante sottofondo, il tema del Destino e della tristezza domina sul tema della vita come un costante sottofondo”. Gli altri che arrivano, è come se si accodassero, partono i più gravi, gli anziani del paese, e cominciano a chiedersi quale rischio c’è da correre, su cosa ci si può basare. Comincia questo cammino, quasi una processione, un funerale, e gli altri si accodano, anche loro vogliono saperlo: alla fine diventa il grido dell’orchestra, un grido lancinante. Quando si arriva all’apice, bisogna chiedersi cosa fare, qui arriva un secondo elemento, strano perché ha una melodia dolce: dopo avere raggiunto questa profondità, come un sogno, il desiderio di cancellare ciò che è stato visto. Giussani dice: “c’è una bellissima melodia, spontanea e naturale. Uno dovrebbe essere contento di questa melodia, ma non può più esserlo”. Sentite questa melodia. E’ un canto che respira. Perché non si può essere più contenti, benché sia così attraente? Mentre cantavo la melodia, forse qualcuno ha notato che sotto continua il ritmo che c’era prima. Non ci si libera, non si può cercare di divagare, c’è sempre quel ritmo, dall’inizio alla fine.
(...) Per introdurre il terzo e il quarto movimento leggo una poesia, di Montale, culturalmente non hanno molto in comune, ma la situazione descritta è simile, e anche l’esito. Montale descrive un uomo qualsiasi, quel tipo del salone, che un mattino, andando, stranamente si volta, come l’altro che era fuori, e vede tutto da un’altra prospettive, Montale è bravissimo nel descrivere: quella strada che ho sempre fatto, quella che ho sempre dato per scontato per andare in università, al lavoro, al ristorante, un giorno, per caso mi volto, e vedo il miracolo. Non si era mai voltato, perché non c’è bisogno, sa che le cose vanno così, è scontata la direzione da prendere, e vede “il nulla alle mie spalle, il vuoto dentro di me, con un terrore di ubriaco”. Come se si chiedesse veramente a cosa serve l’andare là, guardasse i passi dietro, e si chiedesse verso dove sta andando, quanto gli costa questo viaggio, tanto che calcolandolo il saggio non partirà più. Se mi chiedo su cosa mi fondo, mi accorgo che non c’è nulla, “poi come su uno schermo si accamperanno…(?)”, torneranno fuori le cose solite, alberi, case, colli, la moglie, il professore, il direttore del lavoro, come per miracolo. E la chiusura terribile, “sarà troppo tardi, e io me ne andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, con il mio segreto”: Ho intuito che c’è una cosa drammatica, scomoda, se mi faccio qualche domanda sul destino, su cosa serve andare in quella direzione o in un'altra, mi accorgo che non c’è nulla, ma tornano fuori tutte le cose, come per incanto. Ho visto, ma è troppo tardi, mi accomoderò come tutti gli altri con il mio segreto, sapendo che la verità è un’altra.
Chiaramente Beethoven non partecipa del nichilismo e del cinismo di Montale, il destino di quell’uomo uscito dalla sala, come commenta anche Giussani, dopo aver fumato la sigaretta torna dentro. Vi accenno il terzo movimento, sentite il ritmo.
Mi è capitato di leggere di un episodio che don Giussani raccontava, di essere stato invitato a una festa (come questa situazione), vedeva questi giovani liceali che ballavano e si era seduto e commentava questo volteggiare. A un certo punto ha urlato, deve essere terribile come situazione, “Fermatevi!”, e commenta dicendo:”C’è una differenza tra me e voi, in tutta questa bellezza che voi vivete avete dimenticato una cosa. Questa, quando tornerete a casa, e vi metterete a letto, sarà una domanda che sorgerà, come essersi sdraiati sopra un sasso, qualcosa che non vi farà dormire. Perché è la domanda sul senso delle cose, e quel pungolo non è il contrario della festa, ma è la verità della festa. Senza quel pungolo, non resterebbe niente della festa”. La settima sinfonia è indiscutibilmente una danza, una festa, Wagner l’ha definita l’”apoteosi della danza”, infatti tre movimenti non ti lasciano sedere, ma se ascoltassimo attentamente la sinfonia e qualcuno chiedesse cosa è rimasto, quei tre movimenti li metterebbe insieme, quel secondo movimento starebbe lì, come un sasso su cui ci si è stesi, come una domanda: in cosa consiste questo su cui sto costruendo la festa della mia vita? Ed è una domanda scomoda, tanto che Montale dice me ne andrò tra quelli che non si voltano, trattenendo il mio segreto.