Pechino (AsiaNews/Agenzie) – L’Amministrazione statale per gli affari religiosi ha istituito nuovi più restrittivi controlli finanziari sui gruppi religiosi. Esperti: questi nuovo obblighi possono essere usati per limitarne di fatto l’attività.
La Costituzione cinese riconosce la libertà di religione, in precedenza bandita per decenni dopo la rivoluzione comunista. Ma in pratica le autorità pretendono che le varie fedi siano svolte all’interno delle organizzazioni statali, divise per culto e governate da funzionari di diretta nomina statale. Ogni gruppo deve chiedere formale riconoscimento a questi enti, che possono negarlo ovvero dare prescrizioni cogenti sull’attività. Il Partito comunista cinese si arroga persino la nomina dei vescovi della Chiesa cattolica, come dei dirigenti degli altri gruppi religiosi.
Secondo l’agenzia Xinhua, ora tutte “le istituzioni religiose” devono dichiarare ogni entrata e fare una denuncia finanziaria annuale alle autorità. Pechino evidenzia la necessità di controllare le entrate finanziarie di 130mila gruppi religiosi esistenti e impedire sottrazioni di fondi pubblici (appunto perché gli enti religiosi sono considerati parte di organismi pubblici).
Anche se le fonti ufficiali non forniscono maggiori dettagli, esperti osservano che la nuova normativa appare ispirata da ragioni simili al nuovo divieto per i gruppi privati di ricevere finanziamenti senza previa autorizzazione. In entrambi casi appare esserci una volontà statale di controllare ogni attività del gruppo, anzitutto controllandone ogni entrata finanziaria.
Nel Paese sono frequenti gli episodi di persecuzione, anzitutto contro i monaci tibetani e i seguaci del falun gong, ma anche contro fedi ufficialmente riconosciute come quella cristiana. Lo scorso ottobre l’annuale rapporto redatto dal Dipartimento di Stato Usa sulla libertà religiosa ha inserito Pechino tra i Paesi dove maggiore è la persecuzione religiosa.