DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il caso Boffo: paga Feltri, impuniti i suoi megafoni.

I vaticanisti gossippari e tutti gli orchestrali che hanno suonato la sinfonia delle menzogne sotto la direzione di Vittorio Feltri la fanno franca. Il solo colpevole è il Direttore. Poco importa, in fondo la verità è venuta a galla. Vorremmo ritirar fuori articoli che giacciono ammuffiti, veline e scoop da quattro soldi, ma sarebbe fatica sprecata. La sorgente (Il Giornale di Feltri) era infetta. Chi se n'è abbeverato ha scritto, ovviamente, cose avvelenate. Di menzogne. Le ferite inferte alla Chiesa però son lì, ancora aperte. Picconate gratuite che, indirettamente e mica poi tanto, hanno contribuito alla seguente marcia dei carri armati internazionali carichi di fuoco attizzato negli scandali di pedofilia. Triste e sinistra coincidenza, il caso Boffo non è stata che un overtoure del gran concerto strimpellato dagli anticlericali globalizzati. Ed un unico, identico, obiettivo: il Corpo di Cristo, il suo Capo e le sue membra. Così va il mondo. E così va la Chiesa, perseguitata, da sempre e per sempre per un semplice "Non licet vos esse", "non vi é lecito esistere", come recitava il principio della legge senatoriale di Roma del 35 d. C. Son vere oggi, come lo sono state ogni giorno da duemila anni a questa parte, le parole della Lettera a Diogneto: "Come la carne odia l'anima e le fa guerra, senza aver ricevuto alcuna offesa, ma solo perché le proibisce di godere dei piaceri: anche il mondo odia i cristiani che non gli hanno fatto alcun torto, solo perché si oppongono ad un sistema di vita fondato sul piacere". Di questo mondo, spesso camuffandosi, fan parte molti vaticanisti gossippari e giornalisti autorevoli. Anche per loro la Chiesa offre la propria vita. Questo è il nostro vanto, e questo nessuna velina, nessuno scoop, nulla e nessuno potrà mai strapparcelo.

Antonello Iapicca pbro



Verità e sconcezze. Editoriale di Marco Tarquinio sulla sospensione di Feltri per il caso Boffo

Pochi lo sanno, pochi ci credo­no, ma anche i giornalisti han­no il loro tribunale. Un tribunale morale, ma con un potere vero. Se qualcuno di noi scrive «falsamen­te » e mette in circolo «informazio­ni non vere» e perciò «viola la di­gnità e l’onore » di una persona «compromettendo il rapporto di fi­ducia tra stampa e lettori» e tutto questo viene provato, per lui scat­tano sanzioni. E la sua colpa viene proclamata al cospetto dell’opi­nione pubblica. È accaduto ieri a Vittorio Feltri, condannato in pri­mo grado dall’Ordine dei giornali­sti di Milano. I lettori di Avvenire ne conoscono benissimo il motivo: perché dal 28 agosto 2009 per die­ci giorni di fila scrisse con ferocia e malizia falsità contro Dino Boffo, per quindici anni generoso e lim­pido direttore di questo giornale, arrivando ad attaccare la stessa Chiesa. Poi – tre mesi dopo – Feltri fece ammenda, a fatica. E dopo qualche altra settimana tornò a far­si sentire, industriandosi ad alzare polveroni per coprire le proprie col­pe. Se ora, per lui, c’è ' solo' una pesante sospensione e non una de­finitiva radiazione dalla professio­ne giornalistica, non è per le corti­ne fumogene, ma perché, in qual­che modo, a dicembre, provò in parte a rimediare al malfatto. Ieri però sulla bocca di Feltri sono tornate sconcezze e oscene allusioni, anche contro la Chiesa. E questo è di una gravità intollerabile. Eppure Feltri dovrebbe averlo capito: il tempo è un giudice morale inesorabile, esalta i galantuomini ed è inflessibile con gli spacciatori di fango e di menzogne.
Peccato per gli uomini politici e di governo che ieri sono stati così avventati da tenere bordone al direttore del Giornale, finendo per difendere la sua pretesa di impunità e dimenticando che, in questa storia, l’unica vittima è stato Boffo. L’Ordine dei giornalisti milanesi avrebbe forse potuto evitare di sentenziare su un caso così emblematico alla vigilia di una consultazione elettorale, ma certo nessuno può dire che questo giudizio sia arrivato troppo presto. E nessuno, soprattutto, dovrebbe essere così fazioso e cieco da non inchinarsi di fronte alla verità.



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Uno spietato attacco a freddo


DA MILANO

I
L caso esplode del tutto inatteso il 28 agosto con una pagina nella quale il direttore del Giornale dice di voler «smascherare i moralisti» prendendosela col collega di Avvenire «in prima fila nel­la campagna di stampa contro Berlusco­ni ». Boffo gli replica il giorno dopo definendo quella che Feltri ha evocato – l’ammenda per una vecchia querelle giudiziaria a Ter­ni, di nessun rilievo ma rinforzata da una lettera anonima spacciata per 'nota infor­mativa' nella quale si adombravano fre­quentazioni omosessuali – «una vicenda inverosimile, capziosa, assurda», un’ope­razione che sa di «killeraggio giornalisti­co »: «Siamo – scandisce Boffo – alla bar­barie ». Il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, non esita a definire quello del
Giornale
un «attacco disgustoso e molto grave», rinnovando a Boffo «tutta la stima mia personale e quella di tutti i vescovi i­taliani e delle comunità cristiane». Men­tre la redazione è sommersa da un’onda­ta di messaggi di solidarietà, che non si arresterà prima di un mese, Feltri prose­gue con titoloni e paginate di 'rivelazio­ni': «Finché questi censori speculeranno su ciò che accade sotto le lenzuola altrui, noi ficcheremo il naso (turandocelo) sot­to le loro», scandisce il 29 agosto, fidando in documenti rivelatisi poi falsi.
Il 30 agosto i 'fatti' vengono smontati pez­zo a pezzo dal direttore di
Avvenire: «Co­me avrà mai fatto il primo degli astuti – si chiede Boffo – a non porsi una domandi­na elementare prima di dare il via libera alla danza (infernale): questo testo che ho in mano è realmente un’'informativa' che proviene da un fascicolo giudiziario op­pure è una patacca che, con un minimo appiglio, monta una situazione fantasio­sa, fantastica, criminale?». Ci vorranno tre mesi perché giunga la sola risposta pos­sibile. Le certezze del Giornale sembrano però vacillare, e il 1° settembre sul quoti­diano sparisce la 'nota' mentre viene e­sibito a tutta prima pagina – senza spazio per le controdeduzioni di Boffo – il «cer­tificato generale del casellario giudiziale». Su Avvenire viene chiarita la verità, e la tempestiva verifica del Gip di Terni («non c’è assolutamente alcuna nota che ri­guardi inclinazioni sessuali» nel fascicolo giudiziario dichiara il magistrato, confer­mando quanto anticipato dal ministro de­gli Interni Maroni) rafforza quel che Boffo va dimostrando. Il giudice confermerà poi che non ci sono state intercettazioni te­lefoniche né processo, e dunque nem­meno un patteggiamento, così come non si deve parlare di condanna ma solo di de­creto penale che dispone un’ammenda (una «bagattella e non uno scandalo», ri­conoscerà dopo mesi lo stesso Feltri).
Si arriva così al 3 settembre, quando
Av­venire
smaschera in modo definitivo le «dieci falsità» con una ricostruzione tut­tora reperibile su l’al­tro, si dimostra che Boffo non ha mai a­vuto relazioni omosessuali e che mai è sta­to 'attenzionato' dalla Polizia. Niente di niente. Ma lo stesso giorno il direttore di

Avvenire
decide di dimettersi, e lo fa con una lettera che resta una pagina memo­rabile di dignità e di giornalismo libero, vergata da un «direttore galantuomo» che chiede solo di sapere – scrive – perché gli «è stato riservato questo inaudito tratta­mento »: «In questo gesto, in sé mitissimo – spiega Boffo – è compreso un grido al­to, non importa quanto squassante, di ri­bellione: ora basta. (...) Bisognerebbe che noi giornalisti ci dessimo un po’ meno a­rie e imparassimo a essere un po’ più ve­ri secondo una misura meno meschina dell’umano».
Solo molto più tardi, 99 giorni dopo aver lanciato le accuse, Vittorio Feltri ingrana definitivamente la retromarcia, espri­mendo a Dino Boffo persino «ammira­zione » dopo averlo ingiustamente attac­cato per giorni. «La ricostruzione dei fat­ti descritti nella nota, oggi posso dire – so­no parole di Feltri il 4 dicembre 2009 – non corrisponde al contenuto degli atti pro­cessuali
». Il resto è cronaca più recente, con il riac­cendersi di nuove polemiche, interviste e successive precisazioni, detti e contrad­detti su contrasti all’interno della Chiesa che sarebbero stati all’origine del caso Fel­tri e delle false accuse a Boffo. Fino a pro­vocare addirittura una nota di dettagliata smentita da parte della segreteria di Sta­to vaticana.




Feltri sospeso sei mesi per le menzogne su Boffo
L’Ordine regionale: non solo violati l’onore e la dignità del collega ma compromesso anche il rapporto di fiducia tra stampa e lettori


DA M ILANO D AVIDE
RE
L’
Ordine dei giornalisti della Lombar­dia (5 voti contro tre) ha sanzionato il direttore del Giornale Vittorio Fel­tri per le false accuse a Dino Boffo. Sei mesi di sospensione per quanto scritto sul quotidia­no della famiglia Berlu­sconi, la scorsa estate, contro l’ex direttore di
Avvenire..
Perché, si leg­ge nel dispositivo del­l’Ordine dei giornalisti «ha pubblicato una se­rie di articoli in cui ha at­tribuito falsamente al tribunale di Terni infor­mazioni non vere relati­ve al collega Dino Boffo violando gli articoli 2 e 48 della legge istitutiva dell’Ordine e la n.69 del 1963 e la carta dei dove­ri del giornalista che prevede la pubblicazio­ne di notizie vere e veri­ficate, il dovere dell’at­tendibilità della fonte e la rettifica tempesti­va in caso di notizie pubblicate inesatte». In pratica, «il comportamento di Vittorio Feltri ha violato non solo la dignità e l’onore del colle­ga Boffo, ma anche compromesso il rappor- to di fiducia tra stampa e lettori».
L’Ordine dei giornalisti della Lombardia, oltre all’attacco a Boffo discusso qualche giorno fa, ha trattato anche altre due vicende, che han­no visto ancora come protagonista il diretto­re del
Giornale. Feltri è stato assolto, a riguar­do di un pezzo pubblicato sul presidente del­la Camera Gianfranco Fini, poiché «ha agito nell’ambito del diritto di cronaca e di critica». Nel pezzo uscito sul Giornale infatti si faceva riferimento a presunte inchieste che avreb­bero coinvolto lo stesso presidente della Ca­mera, ex segretario e parlamentare di Allean­za nazionale, vicende contenute in alcuni dos­sier, ma i consiglieri dell’Ordine hanno rite­nuto l’azione di Feltri del tutto legittima.
In relazione al caso Farina (ex vicedirettore di

Libero
) l’Ordine lombardo ha comminato la sospensione di 2 mesi allo stesso Feltri «per a­ver consentito, fermo restando il diritto san­cito dall’articolo 21 della Costituzione, nella sua qualità di direttore responsabile prima di
Libero
e poi del Giornale, la pubblicazione di circa 270 articoli a Renato Farina, ex giornali­sta radiato dall’Ordine» a causa della sua col­laborazione con i servizi segreti. Così «con­sentendo a Farina di eludere gli effetti del prov­vedimento inflittogli dallo stesso Ordine pro­fessionale ». In questo modo, si legge nel di­spositivo, «Feltri ha so­stanzialmente vanifica­to e delegittimato aper­tamente la funzione di­sciplinare dell’Ordine violando così gli articoli 2 e 48 della legge nume­ro 69 del 1963». Il consi­glio dei giornalisti della Lombardia ha tuttavia «inteso la sospensione di 2 mesi relativa al proce­dimento Farina assorbi­ta dalla maggior sanzio­ne (procedimento Boffo) comminando quindi la sospensione complessiva di 6 mesi». Le mo­tivazioni delle tre sentenze saranno depositate nei prossimi giorni.
Il direttore del
Giornale, tuttavia, potrà conti­nuare per il momento ad espletare le sue fun­zioni.
La sospensione non sarà esecutiva fino al decorso del termine di impugnazione (30 giorni), davanti al secondo grado di giudizio, cioè il Consiglio nazionale dell’Ordine dei gior­nalisti (che è un ente di diritto pubblico), co­me prevede l’articolo 60 della legge profes­sionale. «È una sentenza ingiusta e sbagliata – ha detto Gabriele Fava, l’avvocato del diret­tore del Giornale –. Faremo ricorso non ap­pena saranno rese note le motivazioni».
Soddisfatti, invece, i promotori del ricorso al­l’Ordine dei giornalisti, la 'Società Pannun­zio per la libertà d’informazione': «L’Ordine ha riconosciuto che Feltri nella sua campa­gna contro Boffo non solo ha diffamato una persona, ma soprattutto ha leso il diritto dei lettori a non essere turlupinati con un’infor­mazione falsa». Da notare, infine, come nella giornata di ieri il sito internet de il
Giornale ri­portava la notizia in maniera distorta rispet­to a quanto comunicato dall’Ordine dei gior­nalisti, come se la sanzione principale ri­guardasse il caso Farina e non invece gli at­tacchi a Boffo.

Francesco Ognibene