Un passo importante per il rinnovamento della Chiesa irlandese: così, il cardinale Sean Brady, arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda, ha commentato la Lettera pastorale di Benedetto XVI ai cattolici irlandesi in tema di abusi sessuali ai minori, pubblicata ieri. Un documento di straordinario valore pastorale ed ecclesiologico. E’ quanto sottolinea l’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, intervistato da Luca Collodi:
R. – Io colgo un triplice valore. Anzitutto, sul piano dello stile. E’ una Lettera caratterizzata da quella che, con termine paolino, si chiamerebbe la 'parresìa', cioè un grande coraggio nel dire la verità, nel chiamare per nome le cose e tutto questo sulla base della fiducia, della certa fiducia, che Dio è Verità. Secondo, è una Lettera destinata ad una pluralità di destinatari da parte del Vescovo di Roma come padre, ma si presenta anche con tutta la ricchezza della sua umanità e prossimità a questi vari destinatari: le vittime, i colpevoli, i genitori, i ragazzi, i sacerdoti, i vescovi, i fedeli tutti dell’Irlanda. Finalmente, è una Lettera che sceglie la via evangelica di voler piacere a Dio, di confidare in Lui e dunque di non voler, dal punto di vista umano, cedere a calcoli, a misure che possano in qualche modo soddisfare la volontà umana di sicurezza.
D. – Il Papa, in questa Lettera, affronta anche il tema tra la Chiesa e lo 'scandalo':
R. – C’è una forza, una chiarezza nel dire le cose che mi sembra assolutamente salutare, liberante; nello stesso tempo, però, c’è un velo di misericordia che guarda anche al colpevole, al carnefice, proprio perché ne vuole la redenzione. Così come, naturalmente, guarda alle vittime e in profonda vicinanza a loro mostra non una compassione emotiva, ma una volontà ferma di vicinanza, di prossimità, di aiuto anche nella disponibilità a pagare di persona da parte della Chiesa per sostenere i cammini di liberazione interiore di queste persone.
D. – L’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla via religiosa: forse poi, alla fine, anche qua sta un po’ il nocciolo del problema …
R. – Qualche volta, negli anni del post-Concilio, la preoccupazione del calo numerico delle vocazioni potrebbe avere indotto ad abbassare la guardia nel discernimento necessario delle qualità umane, anzitutto, e poi cristiane e finalmente sacerdotali che sono necessarie per dare l’ordinazione sacerdotale ad un candidato. Questo può essere stato uno dei motivi per cui a volte persone umanamente immature e soprattutto affettivamente instabili o con gravi tare hanno potuto essere ammesse all’Ordinazione. Questa è una preoccupazione sulla quale, naturalmente, bisogna vigilare.
D. – Con questa Lettera pastorale, ancora una volta il Papa sta dalla parte delle vittime …
R. – Io trovo meraviglioso in questo Papa proprio questo stile di farsi prossimo alla sua Chiesa, a tutti - ai pastori, ai sacerdoti e ai vescovi, ai fedeli - di farsi prossimo alle vittime, ai genitori di questi ragazzi, ai ragazzi stessi, di farsi prossimo ai colpevoli con una grandissima umanità, ma nello stesso tempo di dire senza ombra la verità di Dio. E questa coniugazione che apparentemente sembrava impossibile e che invece è la grande forza di questo Magistero: essere totalmente umani e proprio per questo e contemporaneamente e inseparabilmente essere totalmente di Dio, in obbedienza a Lui. In fondo, è così che la Chiesa è la Chiesa del Verbo Incarnato che in sé unisce, senza confusione e mescolanza, ma anche senza divisione e separazione, l’umano e il divino.