P arole come non ne avevamo mai sentite dalla mite voce di Benedetto XVI. Parole come colpi di maglio. Gli episodi di pedofilia avvenuti nella Chiesa irlandese e gli errori di giudizio che li hanno preceduti e seguiti «hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione». Chi ha abusato di innocenti ne risponderà ai giudici, e «davanti a Dio onnipotente». È un tuono, la voce del Papa nella lettera ai cattolici d’Irlanda. Del tuono ha la potenza, e l’eco bassa, gonfia di dolore e di sgomento. Vi si tocca con mano quel «senso di tradimento» affermato nelle prime righe: vi sono stati affidati degli innocenti, e li avete traditi. Lettera sacrosanta, e spaventevole. Evoca la severità di padri, cui non siamo più abituati. Evoca l’ira di un Dio, di cui abbiamo perduto la memoria. Non è, il Dio di questa lettera, il Dio bonario, e talvolta buonista, cui siamo stati educati a pensare. È un Dio che chiede vergogna e rimorso; e il Papa, a nome della Chiesa, esprime personalmente «vergogna e rimorso», per quei ragazzi violati da «atti peccaminosi e criminali». È un Dio che esige aperta consapevolezza di ciò che è stato perpetrato. Che si riconosca, davanti a Dio e agli uomini, il male fatto. Un Dio che pretende penitenza: ai fedeli di Irlanda viene indicata la via di una sorta di Quaresima lunga un anno: un anno di venerdì di digiuno e preghiera. (Penitenza, altra parola antica, a molti estranea. Ricorda, questa misura di Benedetto XVI, la severità di santi predicatori di altri secoli. Cui, pure, non siamo più abituati).
Consapevolezza piena, invoca dunque il Papa. Occorre riconoscere la gravità di ciò che è accaduto. Le responsabilità di una Chiesa attorno, di vescovi, che non sono intervenuti. Occorre giustizia: quella degli uomini, nei tribunali. E fin qui la lettera parla, appunto di giustizia; mentre afferma netta: «So che nulla può cancellare il male che avete sopportato ». La frase resta come per un attimo sospesa. (A cosa servirà la giustizia, se «nulla può cancellare il male sopportato»?) Già, umanamente, nulla. E però il Papa chiede alle vittime di non perdere la speranza. Quale speranza? «Credo fermamente nel potere risanatore dell’amore di Cristo», scrive.
Ora l’eco di tuono e d’ira si fa voce leonina, certezza granitica. Certezza di un Dio che «ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati, e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali». Per cui l’ultima parola rivolta ai sacerdoti colpevoli della infamia peggiore è: «Non disperate della misericordia di Dio». L’ultima parola, non è di disperazione. Dove la giustizia si ferma, può allargarsi, se domandata, se implorata, la misericordia: la giustizia secondo Dio, capace di ricreare gli uomini.
Probabilmente, i passi più ripresi di questa lettera saranno altri. Forse queste righe rimarranno ignorate. Si parlerà di 'condanna senza appello': certo, condanna del peccato. Vergogna e penitenza per il peggiore, il più infame dei peccati. Ma misericordia per il peccatore che si converta: «Non disperate della misericordia di Dio». E questo, in un tempo come il nostro che rinnega ogni speranza e insegue, magari in forme gaie, il nulla, è lo sbalorditivo segno, lo stigma di diversità del cristianesimo. L’affermare con certezza di roccia che nulla è perduto, finché l’uomo domandi a Dio. Perché «là dove abbonda il peccato, sovrabbonda la Grazia», come scrive Benedetto, citando Paolo.
Lettera ai cattolici di Irlanda, da restare senza fiato. Per la inaudita fermezza di un padre – un padre come ne vorremmo ancora – che autorevolmente ordina di ammettere le colpe. Che evoca quel Dio, cui bisognerà rispondere. Ma dice alle vittime, con un’umiltà che è quasi preghiera: possiate riscoprire l’infinito amore di Cristo. E ai violentatori: pagate, ma non disperate.
Il più infame dei mali, quello contro i nostri figli, quello che al solo pensiero ci acceca d’odio: nemmeno quello vince, per chi crede in Cristo, nel Figlio che s’è fatto carne e ha vinto la morte. È vero, nulla cancella certi ricordi. Solo Cristo, annuncia il Papa, li risana.
© Copyright Avenire 21 marzo 2010