La chiesa cattolica deve conformarsi
agli standard democratici dell’epoca.
E magari pure inchinarsi alla
lezione cesarobattista di Barack Obama.
A cos’altro allude la caccia agli
untori pedofili? Avvocati nelle corti
federali di Kentucky e Oregon cercano
di portare alla sbarra Benedetto
XVI poiché un prete non sarebbe un
individuo che, come tutti gli altri, è
dotato di libero arbitrio e responsabilità
personale, ma sarebbe soltanto
uno dei tanti “dipendenti del Papa”.
Studi legali anglosassoni bussano alle
case di riposo in cerca di vecchietti
che si dichiarino abusati negli anni
del baby boom e riempiono i giornali
di inserzioni che dal “life is short, get
a divorce” trasmigrano nel più attuale
e redditizio “vuoi diventare milionario?
Metti tuo figlio in seminario
per un anno e poi passa da noi”. Come
ben scrive Messori, trionfa la “ferocia
giacobina” mediatizzata, e nel
nome della “giustizia e della verità”,
il fiele dei Prosperi trova negli editoriali
dello Spiegel la concordante,
sprezzante richiesta di “dimissioni”
di un Papa. Non passa giorno che, alla
vista della grossa preda, l’onda non
si gonfi di schiuma, astio, prepotenza.
Una presidentessa della Svizzera esige
una lista nera dei preti. Una popstar
irlandese si prende come un impertinente
punkabbestia la testa dell’inquisizione
dei preti. Tanto rumore
per nulla? No. Tanto rumore per insegnare
al Papa come abrogare il celibato
sacerdotale con correttezza politica
e come sposare preti-donna con il
diritto canonico del New York Times.
Alle bussole con cui il potere mondano
vorrebbe riorientare il viaggio
della nave del romano Pontefice nei
flutti della storia, il senzapatria Benedetto
XVI ha appena risposto, nella
domenica di vigilia pasquale – e di
passione e di morte e di resurrezione
del Cristo sotto il sole di Satana – con
il dolce e forte “L’uomo può sprofondare
nella palude della menzogna e
della disonestà, ma Gesù conduce
verso il coraggio che non si lascia intimidire
dal chiacchiericcio delle opinioni
dominanti”. Da quale altrove,
dunque, e giusto nell’occhio del ciclone
antipetrino, l’illustre arcivescovo
emerito della più grande diocesi cattolica
del mondo, sua eminenza il cardinale
Carlo Maria Martini, parlò di
“cosa può fare la chiesa per evitare in
futuro nuovi casi di violenza e abuso
a sfondo sessuale?”. Ma certo, egli
parlò dall’altrove dello standard democratico.
Parlò dal regno della “discussione”.
Ma sia chiaro, per quanto
indiscutibile sia il primato del Papa,
“l’obbligo del celibato deve essere ripensato”.
E così, come negli splendidi
e inquietanti gargoyle che incastonano
le facciate delle cattedrali medievali,
la mesta e ambigua tentazione
si affacciò proprio nel mentre la
tempesta anticattolica e antipapista
infuriava. Mai sentimmo tanto profetico
e duro e sorprendente per un alto
prelato il comunicato diffuso la settimana
scorsa dalla diocesi mitteleuropea
di Trieste, il j’accuse intrepido,
firmato dall’arcivescovo Giampaolo
Crepaldi: “Alle persecuzioni nei confronti
di tanti cristiani, crocefissi in
senso letterale in varie parti del mondo,
ai molteplici tentativi per sradicare
il cristianesimo nelle società un
tempo cristiane con una violenza devastatrice
sul piano legislativo, educativo
e del costume che non può trovare
spiegazioni nel normale buon
senso si aggiunge ormai da tempo un
accanimento contro questo Papa… attacchi
a cui fanno tristemente eco
quanti non ascoltano il Papa, anche
tra ecclesiastici, professori di Teologia
nei seminari, sacerdoti e laici,
promuovendo forme di controformazione
e di sistematico magistero parallelo
guidati da molti ‘antipapi’”.
Così, mentre si sprecano i sondaggi
sull’auspicabilità di donne in clergyman
e di preti convolanti a nozze sub
fiori d’arancio, tornano a fare capolino
i vecchi arnesi di quella teologia
della liberazione atterrata nella polvere
con le armi dell’intelligenza e
della carità proprio da quell’ex prefetto
e custode della dottrina cattolica
Joseph Ratzinger oggi sotto attacco leguleio
e mondano. I preti dell’antico
castrismo trasmigrati all’ombra chavezista
assaporano il piatto della vendetta
e si scagliano contro “i tabù sessuali
nella chiesa”. In effetti, come testimonia
il teologo della liberazione
maggiormente in carriera, l’ex vescovo
e presidente del Paraguay Fernando
Lugo che ha avuto un figlio durante
la sua carica di prelato (ma forse
anche più d’uno e, anzi, una dozzina,
come sostengono svariate donne che
dicono di essere state le sue amanti e
che negli scorsi mesi si sono rivolte ai
tribunali per chiedere esami del Dna,
risarcimenti e alimenti dal loro teologo
e presule della liberazione politica
e sessuale), anche i teologi progressisti
devono avere i loro tabù se nel
summit dei presidenti dell’America
latina all’epoca del panico da influenza
H1N1 un giornale brasiliano ha ricordato
loro che invece di avere la
mascherina sulla bocca il loro attuale
leader paraguagio la mascherina dovrebbe
portarla sul pisello.
E’ sempre la solita vecchia storia. A
uno schioccar delle dita, a un saltar
del leone nel cerchietto di fuoco, a
uno strillar di grillante sulla pubblica
piazza, si rispecchiano nel sondaggio
l’ondivagar della folla, l’applaudire
del circo, della Rete il raglio belluino.
E’ sempre la solita vecchia tecnica
non democratica, ma, piuttosto, goebbelsiana
o da “totalitarismo etico”. Si
prende un orecchio e si ascolta solo
ciò che si vuole ascoltare. Si prende il
riflettore e, direbbe Erich Auerbach,
“di tutto un’ampia realtà o narrazione
s’illumina una piccola parte, ma tutto
il resto, che servirebbe a spiegarla e a
dare a ciascuna cosa il suo posto, e
verrebbe, per così dire, a formare un
contrappeso a ciò che è stato messo in
risalto, viene lasciato nel buio. In questo
modo viene detta apparentemente
la verità, poiché quanto è detto è incontestabile,
e tuttavia tutto è falsato,
essendo che la verità è composta di
tutta la verità e del giusto rapporto fra
le singole parti.
Del resto, se vogliamo davvero rispondere
alla famosa tremenda domanda
(“ma quanti sono i preti cattolici
pedofili?”) bisogna rimandare i
lettori all’articolo di Massimo Introvigne
(cfr.www.cesnur.org) e alle sue
non smentite fonti della John Jay College
of Criminal Justice della City
University of New York, la più autorevole
istituzione accademica in materia
di criminologia degli Stati Uniti,
dove i casi di pedofilia nelle chiese
protestanti sono sei volte superiori a
quelli della chiesa cattolica (come è
noto la maggior parte dei preti protestanti
sono sposati, dunque, cosa c’entra
il celibato?): “Dal 1950 al 2002
4.392 sacerdoti americani (su oltre
109.000) sono stati accusati di relazioni
sessuali con minorenni, accusati di
effettiva pedofilia sono 958 in cinquantadue
anni, diciotto all’anno. Le
condanne sono state 54, poco più di
una all’anno. Il numero di condanne
penali di sacerdoti e religiosi in altri
paesi è simile a quello degli Stati
Uniti”.
© Copyright Il Foglio 31 marzo 2010