DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

P. Raniero Canatalamessa O.F.M cap., «Ecco la Vergine concepirà…», riflessioni sul celibato sacerdotale e la verginità consacrata.

«ECCO, LA VERGINE CONCEPIRÀ…»
Riflessioni sul celibato sacerdotale e la verginità consacrata
di P. Raniero Canatalamessa O.F.M cap.
6 dicembre 2002

“VI SONO ALCUNI CHE NON SI SPOSANO PER IL REGNO DEI CIELI”

“L’angelo del Signore fu mandato da Dio a una vergine” (Lc 1, 26): così comincia il vangelo di domenica prossima, festa dell’Immacolata Concezione. Si ha un bel discutere sul senso e l’origine della parola “vergine”, parthenos; essa sta lì, nella Bibbia, piantata come una roccia. È vero che il racconto lucano dipende, in questo punto, dalla profezia di Isaia 7, 14:
“Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio”, questo però non diminuisce, ma accresce il valore del testo evangelico, mostrandone la lunga preparazione profetica e il radicamento nella storia della salvezza.

La verginità è il mezzo scelto da Dio per dare un nuovo inizio al mondo. Come nella prima creazione, anche ora Dio crea “dal nulla”, cioè dal vuoto delle possibilità umane, senza bisogno di alcun concorso e di alcun appoggio, ex nihilo sui et subiecti, come si diceva nella Scolastica. E questo “nulla”, questo vuoto, questa assenza di spiegazioni e di cause naturali, è rappresentato appunto dalla verginità di Maria. Essa è un segno grandioso che non si può eliminare senza scompaginare tutto il tessuto del racconto evangelico e svisarne il significato.
In questo Avvento, vorrei partire dalla verginità di Maria per una riflessioneserena sulla continenza perfetta per il regno dei cieli. Oggi si tende a riservare il termine “vergine” alle donne consacrate, ma per il Nuovo Testamento esso designa anche quelli “che non si sono macchiati con donne” (Ap 14,4), dunque anche gli uomini che scelgono la continenza perfetta. A questo uso mi attengo anch’io.
Celibato e verginità sono diventati ai nostri giorni un’istituzione, oggetto, dentro la Chiesa, di innumerevoli dibattiti, guardato con sospetto e, talvolta, con commiserazione, fuori di essa, da parte di molti rappresentanti delle cosiddette scienze umane. Uno di essi – per citare il più famoso di tutti, Freud – ha detto che “la nevrosi sostituisce, nella nostra epoca, il convento nel quale solevano ritirarsi tutte le persone che la vita aveva deluso o che si sentivano troppo deboli per affrontarla”1 . La verginità e il celibato sarebbero, secondo lui, l’equivalente antico della moderna nevrosi!
In questa atmosfera è molto facile che le parole celibato e verginità evochino subito l’idea di un problema irrisolto, di una materia “che scotta”, anziché quella di un impegno liberamente assunto e di un dono di grazia. Non si vive serenamente il celibato e non se ne sfruttano tutte le potenzialità spirituali, perché si è frastornati dal chiasso che c’è intorno ad esso, o magari perché si pensa che, chissà, un giorno la legislazione a suo riguardo potrebbe cambiare. Ci fu un momento dopo il concilio di Trento in cui in alcune aree di Europa si era diffusa la convinzione che il celibato obbligatorio del clero sarebbe stato presto abolito; l’attesa servì da pretesto al vescovo-principe di Salisburgo, Wolf Dietrich von Reitenau, per portarsi avanti e avere nel frattempo ben undici figli, come viene a sapere chiunque oggi visita, a Salisburgo, il castello Mirabell da lui costruito per ospitare la numerosa famiglia.
È necessario dunque un rovesciamento di mentalità, e questo può avvenire soltanto con un rinnovato contatto con le radici bibliche di questa istituzione. Viviamo ormai in un contesto sociale in cui, nella difesa della propria castità, non si può più far leva su protezioni di tipo esterno, come la separazione dei sessi, un rigoroso filtro dei contatti con il mondo e tutte le dettagliate precauzioni con cui le Regole monastiche e il diritto canonico circondavano l’osservanza di questo voto.
La facilità delle comunicazioni e degli spostamenti ha creato una situazione nuova; TV, internet, pubblicità e giornali ci riversano a fiotti il mondo dentro casa, ce lo cacciano a forza negli occhi. La custodia della propria castità è affidata ormai, in massima parte, all’individuo stesso e non può riposare che su forti convinzioni personali, attinte dalla parola di Dio. A questo scopo vorrebbero servire le riflessioni che mi accingo a fare, prescindendo volutamente da ogni preoccupazione polemica o apologetica.

“Vi sono alcuni che non si sposano per il regno dei cieli”

La proposta della continenza perfetta è contenuta nel Vangelo di Matteo, al capitolo 19: “Gli dissero i discepoli: Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi. Egli rispose loro: Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini; e vi sono alcuni che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca” (Mt 19, 10-12).
La parola eunuco era dura e offensiva a quel tempo, non meno che per noi oggi. Se Gesù la usa, in questo contesto, probabilmente è perché i suoi avversari accusavano lui di essere un eunuco per non essersi sposato, come lo accusavano di essere un mangione e un beone. Nel riprendere, però, la parola dagli avversari, egli le conferisce un senso del tutto nuovo, spirituale non fisico. Così lo ha sempre compreso la tradizione cristiana, eccetto il noto caso di Origene che, contrariamente alla sua abitudine di spiegare tutto spiritualmente, interpretò questo passo alla lettera e si mutilò, pagando in seguito un caro prezzo per il suo errore.
Nasce così un secondo stato di vita nel mondo e questa ne è la “magna charta”. Non esisteva infatti, prima di Gesù, una condizione di vita paragonabile a questa, almeno nelle motivazioni, se non nel fatto. Essa non annulla l’altra possibilità, il matrimonio, ma la relativizza. Avviene come per l’idea di stato, nell’ambito politico: esso non è abolito, ma radicalmente relativizzato dalla rivelazione della contemporanea presenza, nella storia, di un regno di Dio.
La continenza perfetta sta di fronte al matrimonio un po’ come il regno di Dio sta di fronte al regno di Cesare: non lo elimina, ma lo fa apparire in una posizione diversa da prima. Esso non è più l’unica istanza nel suo campo. Siccome il regno di Dio è di un ordine di grandezza diverso dal regno di Cesare, l’uno non ha bisogno di negare l’altro per sussistere. Allo stesso modo, la continenza volontaria non ha bisogno che sia rinnegato il matrimonio, per essere riconosciuta nella sua validità. Essa, anzi, non prende senso che dalla contemporanea affermazione del matrimonio. Se il matrimonio fosse qualcosa di negativo, rinunciare ad esso non sarebbe una scelta libera, ma un obbligo e nulla più.

La dimensione profetica della verginità e del celibato

Per capire questa nuova forma di vita e la sua intima ragion d’essere, bisogna partire dalla motivazione addotta da Gesù: “per il regno dei cieli”. Il regno di Dio ha una caratteristica che oggi viene espressa mediante i due avverbi “già” e “non ancora”, dejà et pas encore, already and not yet, schon und noch nicht, secondo le varie lingue. Esso è “già” qui; è venuto, è presente. Il regno dei cieli – proclama Gesù – è vicino, è in mezzo a voi. Ma, in un altro senso, il regno dei cieli non è ancora venuto, è in cammino, ed è per questo che preghiamo: “Venga il tuo Regno”.
Poiché il regno dei cieli è già venuto, poiché con Cristo la salvezza finale è già operante nel mondo, dunque – ecco la conseguenza che ci riguarda – è possibile che alcune persone, chiamate da Dio, scelgano, fin d’ora, di vivere come si vive nella condizione finale del Regno. E come si vive nella condizione finale del Regno? Lo dice lo stesso Gesù nel Vangelo di Luca: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20, 34-36; cf anche Mt 22, 30).
In ciò risiede propriamente la dimensione profetica della verginità e del celibato per il Regno. Questa forma di vita mostra, con la sua semplice esistenza e senza bisogno di parole, quale sarà la condizione finale dell’uomo, quella destinata a durare in eterno. Si è tanto discusso, in passato, se la verginità sia uno stato più perfetto del matrimonio e, se sì, in che senso. Io credo che essa non è uno stato ontologicamente più perfetto (ognuno dei due stati è perfetto per chi vi è chiamato), ma è uno stato escatologicamente più avanzato, nel senso che è più simile a quello definitivo, al quale tutti siamo incamminati. “Voi avete cominciato a essere ciò che noi tutti un giorno saremo”, scriveva san Cipriano alle prime vergini cristiane”2 .
Una tale profezia, lungi dall’essere contro gli sposati, è invece anzitutto per loro, a loro beneficio. Ad essi ricorda che il matrimonio è santo, è bello, è creato da Dio e redento da Cristo, è immagine dello sposalizio tra Cristo e la Chiesa, ma che non è tutto. È una struttura legata a questo mondo e perciò transitoria. Quando non si potrà più morire, non ci si dovrà più sposare.
Agli sposati, la verginità ricorda perciò che non si può fare, del matrimonio e della famiglia, l’idolo a cui sacrificare tutto e tutti, una specie di assoluto nella vita. Tutti sanno quanto è facile fare di un buon matrimonio l’ideale e lo scopo supremo della vita, misurando dalla sua riuscita la riuscita stessa dell’esistenza. E siccome il primo a soffrire di questa indebita assolutizzazione è proprio il matrimonio, che è come schiacciato da queste attese sproporzionate, ecco perché dico che la verginità viene in soccorso degli stessi sposati. Essa libera il matrimonio e ognuno dei due coniugi dal peso insopportabile di dover essere il tutto e sostenere le veci di Dio.
La riserva escatologica, che la verginità pone al matrimonio, non ne offusca la gioia, ma la preserva anzi dalla disperazione, perché apre a essa un orizzonte anche dopo la morte. Proprio perché esiste l’eternità e una Gerusalemme celeste, i coniugi che si amano sanno che la loro comunione non è destinata a finire con questo mondo che passa e a dissolversi nel nulla ma, trasfigurata e spiritualizzata, durerà in eterno.
Partendo da questo carattere profetico della verginità e del celibato, possiamo capire quanto sia ambigua e falsa la tesi secondo cui questo stato sarebbe contro natura e impedirebbe all’uomo e alla donna di essere pienamente se stessi, cioè uomo o donna. Il dubbio pesa terribilmente sull’animo dei giovani ed è uno dei motivi che più li distoglie dal rispondere alla vocazione. Non si è tenuto sempre conto che, essendosi la psicologia moderna costituita sulla base di una visione materialistica e atea dell’uomo, quello che essa dice, in questo campo, può avere un certo peso per chi non crede nell’esistenza di Dio e di una vita dopo morte, mentre non ne ha alcuno per chi ha una visione di fede, o semplicemente spiritualista, dell’uomo.
All’amico Jacques Rivière, convinto che scegliere la castità fosse un tagliarsi fuori dalla corrente della vera vita, Paul Claudel rispose con queste illuminanti parole: “Noi viviamo ancora nel vecchio pregiudizio romantico che la felicità suprema, il grande interesse, l’unico romanzo dell’esistenza, consistono nei nostri rapporti con la donna e nelle soddisfazioni dei sensi che ne ricaviamo. Si dimentica solo una cosa: che l’anima e lo spirito sono realtà altrettanto forti, altrettanto esigenti che la carne – lo sono ben di più! – e che, se accordiamo a quest’ultima tutto ciò che essa chiede, è a detrimento di altre gioie, di altre regioni meravigliose, che ci resteranno precluse per sempre. Svuotiamo un bicchiere di cattivo vino in una bettola o in un salotto [qui affiora il poeta] e ci dimentichiamo di questo mare verginale che altri contemplano al levarsi del sole” 3.
La verginità e il celibato non rinnegano la natura, ma soltanto la realizzano a un livello più profondo. Per sapere cos’è l’uomo e cosa è “naturale” per lui, il pensiero umano (specie quello influenzato dalla filosofia greca) si è sempre basato sull’analisi della sua natura, intendendo per natura – secondo il significato etimologico di questa parola – ciò che l’uomo è per nascita: un animale che ragiona, animal rationale.
La Bibbia si basa invece sul concetto di vocazione: l’uomo non è solo ciò che è determinato ad essere dalla sua nascita, ma anche ciò che è chiamato a divenire con l’esercizio della sua libertà, nell’obbedienza a Dio. L’uomo perfetto è Gesù risorto, “l’Adamo ultimo” (cf 1 Cor 15, 45-47), dicevano i Padri della Chiesa. Più un uomo si avvicina a questo modello di umanità, più è lui stesso veramente e pienamente uomo.
Se non ci fosse che la natura, non ci sarebbe un motivo valido per opporsi alle tendenze e agli impulsi naturali, ma c’è anche la vocazione. In un certo senso, potremmo dire perciò che lo stato più “naturale” dell’uomo è proprio la verginità, perché noi non siamo “chiamati” a vivere in un eterno rapporto di coppia, ma a vivere in un eterno rapporto con Dio. È quello che riconosce lo stesso Goethe nei celebri versi finali del suo Faust, riferendosi proprio all’amore terreno tra Faust e Margherita: “Tutto ciò che passa / non è che un simbolo; / solo in cielo l’irraggiungibile / diventa realtà 4.

La dimensione missionaria del celibato e della verginità

Questa è la prima motivazione della verginità e del celibato, derivante dal fatto che il Regno è “già” venuto. Il regno di Dio, però, in un altro senso, dicevamo, “non è ancora” venuto, ma è in cammino. Deve venire in intensità all’interno della Chiesa e delle anime e deve venire in estensione, fino ad arrivare ai confini del mondo.
Ed ecco la motivazione che scaturisce da ciò. Poiché il regno di Dio non è ancora venuto, ma è in cammino, occorrono uomini e donne che, a tempo pieno e a cuore pieno, si dedichino alla venuta di questo Regno. Siamo così alla dimensione missionaria, o apostolica, della verginità e del celibato. Essa non riguarda soltanto i consacrati che di fatto vanno in terre lontane ad annunciare il Vangelo, ma tutti i vergini e le vergini. La Chiesa lo ha riconosciuto, proclamando una claustrale, santa Teresa di Gesù Bambino, compatrona delle missioni.
È difficile immaginare come sarebbe oggi il volto della Chiesa, se non ci fosse stata lungo i secoli questa schiera di uomini e di donne che hanno rinunciato a “casa, moglie e figli”, per il regno dei cieli (cf Lc 18, 29). L’annuncio del Vangelo e la missione hanno riposato in gran parte sulle loro spalle. All’interno della cristianità, essi hanno fatto avanzare la conoscenza della parola di Dio coltivando gli studi; hanno aperto vie nuove al pensiero e alla spiritualità cristiani; all’esterno, hanno portato l’annuncio del Regno ai popoli lontani. Sono essi che hanno fatto sorgere quasi tutte le istituzioni caritative che hanno tanto arricchito la Chiesa e il mondo.
Da quanto si è detto, appare che la verginità non significa sterilità, ma, al contrario, fecondità massima, s’intende su un piano diverso da quello fisico. La prima volta che la verginità compare nella storia della salvezza, è associata alla nascita di un bambino: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio…” (Is 7, 14). La tradizione ha colto questo legame, associando costantemente il titolo di vergine a quello di madre. Maria è la vergine madre; la Chiesa è vergine e madre. “Uno è il Padre di tutti – scrive Clemente Alessandrino – uno anche il Verbo di tutti, uno e identico è lo Spirito Santo e una sola è la vergine madre: così io amo chiamare la Chiesa” 5. Infine, ogni anima, e in particolare ogni anima consacrata, è vergine e madre: “Ogni anima credente, sposa del Verbo di Dio, madre, figlia e sorella di Cristo, viene ritenuta, a suo modo, vergine e feconda”6 .
Si tratta, dicevo, di una fecondità diversa, spirituale, non carnale; ma siccome l’uomo è anche spirito, e non solo carne, si tratta di una fecondità anch’essa squisitamente umana. È lo stesso tipo di fecondità che permetteva a san Paolo di dire, rivolto ai cristiani da lui istruiti nella fede: “Sono io che vi ho generati in Cristo Gesù” (1 Cor 4, 15) e ancora: “Figlioli miei che io di nuovo partorisco nel dolore” (Gal 4, 19).
Lo sa bene il popolo cristiano che, in ogni cultura, ha spontaneamente attribuito ai vergini il titolo di padre e alle vergini il titolo di madre. Quanti missionari e quanti fondatori di opere sono ricordati semplicemente come “il Padre” e quante donne, semplicemente come “la Madre”. Esempi recenti: Padre Pio da Pietrelcina e Madre Teresa di Calcutta. (Anche dopo la sua canonizzazione, si stenta ad abbandonare il titolo di Padre Pio per quello di San Pio, e così avverrà probabilmente anche per Madre Teresa).
Tante crisi affettive nella vita dei sacerdoti, con le conseguenze disastrose che tutti conosciamo, dipendono, penso, dall’assenza di queste esperienze forti di paternità spirituale, dall’”impotenza” a generare figli nella fede, mediante l’annuncio del Vangelo.
Oggigiorno si parla molto della “qualità della vita”. Si dice che la cosa più importante non è aumentare la quantità della vita sul nostro pianeta, ma elevarne la qualità. Ma esiste anche una qualità spirituale della vita ed è la più importante perché riguarda l’anima dell’uomo, ciò che di lui resta in eterno. I vergini per il Regno sono chiamati a spendersi per elevare questa qualità spirituale della vita, senza contare che gli stessi hanno lavorato e lavorano per elevare anche la qualità igienica, sanitaria, sociale e culturale della vita.
San Gregorio Nazianzeno ha creato un verso stupendo a lode della verginità. Quando lo lessi, pensai, sulle prime, che si trattasse di un’espressione un po’ enfatica. Esso infatti viene a dire che la verginità ha un modello più alto della Chiesa, più alto perfino di Maria: la Trinità! “La prima vergine – dice – è la Santa Trinità” 7. Ma ho dovuto costatare, ancora una volta, riflettendoci meglio, che i Padri non dicono mai nulla senza una ragione oggettiva e profonda. Sì, la “prima vergine” è davvero la Santa Trinità e non solo perché verginale è la generazione eterna del Verbo dal Padre, ma anche perché la Trinità ha creato l’universo da sola, senza concorso di alcun altro principio, fosse pure quello di una “materia preesistente” come pensavano i greci e gli gnostici. Ha creato dal nulla, verginalmente.
In ogni generazione di tipo sessuale c’è un elemento di egoismo e di concupiscenza. L’uomo e la donna, nel generare un figlio, fanno dono, ma anche “si fanno” dono; realizzano, ma anche “si realizzano”, avendo bisogno dell’incontro con l’altro per completarsi e arricchirsi. Ma la Trinità, quando crea, realizza, non “si realizza”, essendo già in se stessa perfettamente felice e completa. “Hai dato origine all’universo – dice la Preghiera eucaristica IV – per effondere il tuo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della tua luce”.
Si rimprovera talvolta alla Chiesa cattolica di aver dato un’interpretazione troppo estesa alla parola di Gesù sul celibato per il Regno, imponendolo a tutti i suoi preti. Ora è vero che Gesù non impose la scelta del celibato, ma neppure la Chiesa la impone, né tanto meno impedisce ad alcuno di sposarsi. La Chiesa cattolica ha solo stabilito questo come uno dei requisiti per quelli che desiderano esercitare il ministero sacerdotale, che resta una scelta libera. È lo stesso identico principio, in base al quale la Chiesa ortodossa riserva l’episcopato ai non sposati. Tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa la differenza è solo nell’estensione dell’applicazione, non nel principio.
A me pare che sia molto più seria la mancanza per difetto di quelle Chiese cristiane che si propongono di predicare il “pieno Vangelo”, ma mancano di qualsiasi forma di realizzazione di questa proposta evangelica del celibato per il Regno, come pure di quella di vendere tutto per seguire Cristo in povertà volontaria. Sono stato per oltre dieci anni membro della delegazione cattolica per il dialogo con le chiese pentecostali. Visto il clima sereno e di amicizia che c’era tra noi, ho potuto una volta permettermi una battuta nei loro confronti. “Voi -ho detto loro sorridendo- non fate che parlare di Full Gospel, del “pieno vangelo” da voi predicato; a me sembra che il vostro Vangelo è, sì, pieno, ma pieno di… buchi, full of holes”.
Non essendo di origine divina, la legge del celibato obbligatorio dei preti può certamente essere cambiata dalla Chiesa, se a un certo punto lo ritiene necessario (mi astengo dal discutere questo aspetto del problema, non essendo questo il luogo per farlo), ma nessuno può negare onestamente che, nonostante tutti gli inconvenienti e le defezioni, esso abbia favorito enormemente la causa del Regno e della santità e sia anche oggi un segno efficacissimo del Regno in mezzo al popolo cristiano.

La Vergine Maria

Torniamo con il pensiero alla Vergine Maria da cui siamo partiti. In Maria appare, in tutto il suo fulgore, la motivazione biblica della verginità, espressa dalle parole: “per il regno dei cieli”. Ella è stata scelta; il Regno si è impadronito di lei; l’ha “requisita” e lei si è lasciata requisire (Geremia direbbe: si è lasciata “sedurre”).
Maria ha corrisposto perfettamente, con fede assoluta, alla chiamata alla verginità; ne ha accettato, senza discutere e gioiosamente, tutte le conseguenze, dicendo: “Eccomi!” e divenendo, così, modello per tutta l’innumerevole schiera di giovani e di ragazze che, lungo i secoli, avrebbero ricevuto in sorte la sua stessa chiamata a essere “vergini e madri”, “vergini e padri”.
San Gregorio Nisseno mette in luce la profonda affinità che esiste tra Maria e ogni vergine cristiana e che si fonda su un analogo rapporto con Cristo: “Quello – scrive – che si verificò fisicamente in Maria immacolata, quando la pienezza della divinità risplendette in Cristo attraverso la verginità, si ripete anche in ogni anima che resta vergine seguendo la ragione, anche se il Signore non si fa presente in essa materialmente” 8.
Maria non è solo modello, ma anche “avvocata” e difesa dei vergini. Non si limita ad additare loro la via della verginità, ma li aiuta anche a percorrerla con la sua intercessione e vigile custodia. San Basilio scrive: “Come i corpi limpidi e trasparenti, quando un raggio li colpisce, diventano essi stessi splendenti e riflettono un altro raggio, così le anime pneumatofore, illuminate dallo Spirito, diventano esse stesse pienamente spirituali e rinviano sugli altri la grazia” 9. Maria è, per eccellenza, l’anima “pneumatofora”, portatrice dello Spirito, è il corpo luminoso che riflette sugli altri la luce. Lo stesso Lutero ha dovuto scrivere di lei: “Nessuna immagine di donna dà all’uomo pensieri così puri come questa vergine”10. Per questo una costante attenzione e devozione a Maria è tra i mezzi più efficaci per vivere bene e serenamente il celibato e la verginità per il regno.
Dopo il titolo di Theotókos, di Genitrice di Dio, quello di Aeiparthenos, “Semprevergine”, è il titolo con cui Maria è più spesso invocata nella liturgia, sia latina che ortodossa. Quest’ultima non si stanca di salutarla, nel suo inno mariano più bello, l’Akáthistos, con il titolo di “vergine sposa”: “Ave, di vergini madre e nutrice. Ave, che anime porti allo Sposo. Ave, vergine sposa”. E anche noi la salutiamo così: “Ave, Vergine Sposa”.

NOTE

1 S. FREUD, Cinque conferenze sulla psicoanalisi, 1909, in Opere, VI, Boringhieri, Torino 1974, pp. 129-173.
2 S. CIPRIANO, Sulle Vergini, 22 (PL 4, 475).
3 J. RIVIÈRE – P. CLAUDEL, Correspondance, Paris 1926, p. 261 s.
4 “Alles vergängliche / ist nur ein Gleichnis; / Das Unzulängliche, / Hier wird Ereignis”
5 CLEMENTE ALESSANDRINO, Pedagogo, I, 6.
6 B. ISACCO DELLA STELLA, Sermo 51 (PL 194, 1863).
7 S. GREGORIO NAZIANZENO, Carmi I, 2 (PG 37, 523 A).
8 S. GREGORIO NISSENO, Sulla verginità, 2.
9 S. BASILIO MAGNO, Sullo Spirito Santo, IX, 210 M. LUTERO, Sermoni sui Vangeli (ed. Weimar, 10, 1, p. 68).