Eccone la descrizione che riportiamo dall’Ordo Romanus XII:
“Il mattino di Pasqua, dopo Prima, il Pontefice Romano, rivestito di piviale bianco, con i diaconi Cardinali che indossano le dalmatiche e le mitre, i suddiaconi in tunicella e gli altri ordini inferiori di chierici e i suoi cappellani, va alla cappella di San Lorenzo (...) Qui fatta orazione, (il Papa) riveste i paramenti sino alla dalmatica, quindi si reca ad adorare il Salvatore. Apre l’immagine, bacia i piedi del Salvatore dicendo tre volte: Surrexit Dominus de sepulchro, a cui tutti rispondono: Qui pro nobis pependit in ligno. Alleluia. Baciato il Salvatore, si reca al trono e dà la pace all’arcidiacono, il quale dopo di lui ha baciato il piede dell’immagine, dicendogli: Surrexit Dominus vere; questi risponde: Et apparuit Simoni. Il secondo diacono, baciati i piedi del Salvatore, si accosta a ricevere la pace dal Sommo Pontefice e dall’arcidiacono e si pone in fila. Gli altri Cardinali fanno egualmente (...) In tanto la schola canta: Crucifixum in carne e Ego sum alpha et omega. Terminata la pace il Pontefice indossa la pianeta bianca, il pallio e la mitra solenne”[6] e in processione si va a Santa Maria Maggiore per la Messa pontificale.
Col trasporto della sede in Avignone, la funzione del Resurrexit dinanzi all’Acheropita decadde e quando i Papi tornarono a Roma, la stazione di Pasqua venne trasferita nella basilica di San Pietro. Sarà nella Domenica di Pasqua dell’anno 2000 quando il Resurrexit, l’antico rito della testimonianza di fede del Papa di fronte all’icona del Salvatore, sarà ripreso di nuovo.
Ulteriori approfondimenti, con tutta la storia di questo antico rito, si trovano a questa pagina del sito vaticano da cui è tratta la citazione precedente.
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Surrexit Dominus vere et apparuit Simoni.
Il rito del Resurrexit nella domenica di Pasqua
A Roma, nel Medio Evo la Messa pasquale aveva un solenne preludio nella storica cappella di S. Lorenzo al Laterano (oggi Santuario della Scala Santa). L’Oratorio chiamato ancora oggi comunemente Sancta Sanctorum, era considerato uno dei luoghi più sacri della città di Roma. In esso con la preziosa reliquia della Croce, si custodiva l’immagine Acheropita del Salvatore.
L’immagine era chiamata acheropita perché creduta non dipinta di mano d’uomo (è una parola di origine greca: da "(a-)" privativo, "χείρ (chèir)" (mano) e "ποιείν (poièin)" (fare) il cui significato è "non fatto da mano umana"). L’origine di questa immagine è sconosciuta ma probabilmente fu portata a Roma dall’Oriente. La prima menzione si trova nel Liber Pontificalis nella biografia di Stefano II (752-757)[1]. Riproduce l’immagine completa del Salvatore, in grandezza quasi naturale, seduto in trono, dipinta su tela applicata sopra una tavola di legno delle dimensioni di m. 1,50 x 0,70 circa.
L’icona è stata restaurata diverse volte. Innocenzo III (1198-1216) fece coprire con un rivestimento d’argento tutta la figura ad eccezione del volto. Inoltre, più tardi, fu aperta una porticina all’altezza dei piedi, la quale permetteva di fare la lavanda rituale e l’unzione dei medesimi in talune circostanze (come nella processione del giorno dell’Assunta) e di baciarli quando il Papa si recava a venerare l’immagine.
Nel secolo XII, secondo un’antica tradizione, che già S. Girolamo faceva risalire ai primi secoli cristiani, l’annuncio della Risurrezione veniva dato dal Papa, prima di recarsi a cantare la Messa solenne a Santa Maria Maggiore, la basilica stazionale di Pasqua. Lo attestano il Liber Politicus[2] (anche Ordo Romanus XI)[3], cerimoniale scritto nel 1143-1144, e il Liber Censuum Romanae Ecclesiae[4] (anche Ordo Romanus XII)[5], redatto intorno al 1192 da Cencio Camerario, il futuro Papa Onorio III. Eccone la descrizione che riportiamo dall’Ordo Romanus XII seguendo la traduzione di Schuster:
“Il mattino di Pasqua, dopo Prima, il Pontefice Romano, rivestito di piviale bianco, con i diaconi Cardinali che indossano le dalmatiche e le mitre, i suddiaconi in tunicella e gli altri ordini inferiori di chierici e i suoi cappellani, va alla cappella di San Lorenzo (...) Qui fatta orazione, (il Papa) riveste i paramenti sino alla dalmatica, quindi si reca ad adorare il Salvatore. Apre l’immagine, bacia i piedi del Salvatore dicendo tre volte: Surrexit Dominus de sepulchro, a cui tutti rispondono: Qui pro nobis pependit in ligno. Alleluia. Baciato il Salvatore, si reca al trono e dà la pace all’arcidiacono, il quale dopo di lui ha baciato il piede dell’immagine, dicendogli: Surrexit Dominus vere; questi risponde: Et apparuit Simoni. Il secondo diacono, baciati i piedi del Salvatore, si accosta a ricevere la pace dal Sommo Pontefice e dall’arcidiacono e si pone in fila. Gli altri Cardinali fanno egualmente (...) In tanto la schola canta: Crucifixum in carne e Ego sum alpha et omega. Terminata la pace il Pontefice indossa la pianeta bianca, il pallio e la mitra solenne”[6] e in processione si va a Santa Maria Maggiore per la Messa pontificale.
Col trasporto della sede in Avignone, la funzione del Resurrexit dinanzi all’Acheropita decadde e quando i Papi tornarono a Roma, la stazione di Pasqua venne trasferita nella basilica di San Pietro. Sarà nella Domenica di Pasqua dell’anno 2000 quando il Resurrexit, l’antico rito della testimonianza di fede del Papa di fronte all’icona del Salvatore, sarà ripreso di nuovo[7].
Nel svolgimento di questo momento di preghiera, espressione di fede nella risurrezione, troviamo almeno tre elementi molto antichi, di cui il terzo non è stato ripreso nell 2000: l’annunzio della risurrezione, la venerazione dell’icona e il bacio di pace.
Il primo elemento, l’annunzio festoso della risurrezione Christus Dominus resurrexit! che a Gerusalemme, come sappiamo dal suo Typicon, già nel IV sec. era dato nell’Anastasis dal Patriarca il mattino di Pasqua[8], si constata comune, sebbene con forme diverse, in tutte le Comunità occidentali[9]. E così si fa tuttora nel rito bizantino[10].
Questo gioioso annunzio trova il loro autentico significato nel testo del Vangelo di Luca che descrive lo stupore di Pietro nel vedere il sepolcro vuoto e l’attestazione degli Undici che il Signore era davvero risorto ed era apparso a Simone (Lc 24, 12.34; cf. Gv 20, 3-10). L’apparizione del Risorto a Pietro e agli altri testimoni è il fondamento teologico della fede pasquale. Così lo ricorda il Catechismo: “Le donne furono così le prime messaggere della risurrezione di Cristo per gli stessi Apostoli. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai Dodici. Pietro chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, vede dunque il Risorto prima di loro ed è nella sua testimonianza che la comunità esclama: ‘Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone’ (Lc 24,34)”[11].
Il Papa, Vescovo di Roma e successore di san Pietro, incontra il Signore risorto nell’icona del Santissimo Salvatore e con la semplicità e la spontaneità della Sacra Scrittura grida, Surrexit Dominus de sepulchro. Nel giorno di Pasqua, il Romano Pontefice diventa, il primo testimone davanti a tutta la Chiesa, della risurrezione del Signore.
Il secondo elemento, la venerazione dell’icona risulta parimenti antico. In realtà non possiamo dimenticare che un’espressione di grande importanza nell’ambito della pietà popolare è l’uso di immagini sacre che, secondo i canoni della cultura e la molteplicità delle arti, aiutano i fedeli a porsi davanti ai misteri della fede cristiana. La venerazione per le immagini sacre appartiene, infatti, alla natura della pietà cattolica.
Ambedue gli elementi, l’annunzio della risurrezione e la venerazione dell’icona, caratteristici di questa sosta di preghiera adorante e di fede, che il Romano Pontefice fa nella mattina di Pasqua, ci collegano al linguaggio della pietà popolare. “Il linguaggio verbale e gestuale della pietà popolare, pur conservando la semplicità e la spontaneità d’espressione, deve sempre risultare curato, in modo da far trasparire in ogni caso, insieme alla verità di fede, la grandezza dei misteri cristiani (...) Una grande varietà e ricchezza di espressioni corporee, gestuali e simboliche caratterizza la pietà popolare. Si pensi esemplarmente all’uso di baciare o toccare con la mano le immagini, i luoghi, le reliquie e gli oggetti sacri. Simili espressioni, che si tramandano da secoli di padre in figlio, sono modi diretti e semplici di manifestare esternamente il sentire del cuore e l’impegno di vivere cristianamente”[12].
Così la religiosità, come la pietà popolare, “costituisce un’espressione della fede che si avvale di elementi culturali di un determinato ambiente, interpretando ed interpellando la sensibilità dei partecipanti in modo vivace ed efficace. La religiosità popolare (...) ha come sorgente la fede e dev’essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo, che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri”[13]. Nel quadro di queste parole s’inserisce questo particolare annunzio della Risurrezione da parte del successore di Pietro, prima della celebrazione eucaristica.
Il rito del Resurrexit, come atto di fede, di pietà e di devozione del Romano Pontefice davanti all’icona del Santissimo Salvatore, trova il suo spazio al di fuori della celebrazione dell’Eucaristia, sebbene abbia il suo naturale coronamento nella celebrazione liturgica che si svolge subito dopo. Questa sosta di preghiera adorante, e lieto annunzio del Risorto, prepara la celebrazione.
Come ricordava Benedetto XVI, “la fede dei discepoli ha dovuto adeguarsi progressivamente. Essa ci si presenta come un pellegrinaggio che ha il suo momento sorgivo nell’esperienza del Gesù storico, trova il suo fondamento nel mistero pasquale, ma deve poi avanzare ancora grazie all’azione dello Spirito Santo. Tale è stata anche la fede della Chiesa nel corso della storia, tale è pure la fede di noi, cristiani di oggi. Saldamente appoggiata sulla "roccia" di Pietro, è un pellegrinaggio verso la pienezza di quella verità che il Pescatore di Galilea professò con appassionata convinzione: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16)[14]. E possiamo domandarci, com'è arrivato Pietro a questa fede? E che cosa viene chiesto a noi, se vogliamo metterci in maniera sempre più convinta sulle sue orme? La risposta è chiara: “solo l'esperienza del silenzio e della preghiera offre l'orizzonte adeguato in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza più vera, aderente e coerente, di quel mistero”[15]. Il rito del Resurrexit ci dispone ad essere testimoni e contemplatori di questo grande mistero: Surrexit Dominus vere et apparuit Simoni. Alleluia, alleluia, alleluia.
[2] Cfr. P. FABRE – L. DUCHESNE, Benedicti beati Petri Canonici Liber Politicus in Le Liber Censuum de l'Eglise romaine II, Parigi 1905/1910, 152.
[3] Cfr. J. MABILLON – M. GERMAIN, Museum Italicum seu collectio veterum scriptorum ex Bibliothecis Italicis II, Lutetiae Parisiorum 1724 (PL 78) 1042.
[4] Cfr. P. FABRE – L. DUCHESNE, Gesta Pauperis Scolaris Albini 32, 131 in FABRE - DUCHESNE, Le Liber Censuum de l'Eglise romaine XV, I, Parigi 1905/1910, 297.
[5] Cfr. J. MABILLON – M. GERMAIN, Museum Italicum seu collectio veterum scriptorum ex Bibliothecis Italicis II, Lutetiae Parisiorum 1724 (PL 78) 1077.
[6] I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum I, Ed. Marietti, Casale Monferrato 1963, 379.
[7] Cfr. Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, Magnum Iubilaeum. Trinitati Canticum, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, 287-292; P. MARINI e altri, La nuova icona acheropita di Cristo Salvatore per la liturgia papale nella domenica di Pasqua, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007.
[8] Cfr. J. SUNTINGER, Mimetisch-anamnetische Elemente in der päpstlichen Ostersonntagsliturgie “Verkündigung der Auferstehung” und “Stationsvesper” AM Lateran, Dissertatio ad Doctoratum Sacrae Liturgiae assequendum in Pontificio Instituto Liturgico, Roma 2002, 115.
[9] Cfr. M. HUGLO, “L'Annuncio Pasquale della Liturgia Ambrosiana”, Ambrosius 33 (1957) 88-91.
[10] Cfr. M. RIGHETTI, Manuale di Storia Liturgica 2. L'anno liturgico, Ed. Ancora, Milano 19693.20052, 282.
[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 641.
[12] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su Pietà popolare e Liturgia. Principi e orientamenti, Città del Vaticano 2002, nn. 14-15.
[13] GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 21-IX-2001.
[14] BENEDETTO XVI, Omelia nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, 29-VI-2007.
[15] GIOVANNI PAOLO II, Lett. apost. Novo millennio ineunte (6-I-2001) n. 20.